Al Cinema per il Giorno della Memoria

Il Viaggio di Fanny è un film tratto da una storia vera, come ci tiene a sottolineare la regista Lola Doillon fin dai titoli di testa: liberamente ispirato all’omonimo romanzo autobiografico di Fanny Ben-Ami, racconta la storia di un gruppo di bambini ebrei durante la Seconda guerra mondiale.
Il film uscirà nelle sale in occasione della giornata della memoria, in un evento dedicato, il 26 e il 27 gennaio.

La storia è di quelle semplici ma efficaci: durante la seconda guerra mondiale, in Francia, alcune famiglie ebree facoltose decisero di spedire i loro figli in appositi istituti nel sud del paese, sperando così di evitargli gli orrori del conflitto. Questi luoghi non sempre riuscirono ad assolvere il loro compito, come nel caso di Fanny e degli altri piccoli protagonisti.
Il viaggio del titolo è quello che questo assortito gruppo di bambini deve affrontare per scappare dalla Francia occupata verso la neutrale Svizzera, senza – per sbaglio – attraversare il confine italiano e finire nelle mani dei fascisti.
Non esattamente uno scherzo, tenendo conto che i ragazzi non hanno alcun punto di riferimento geografico sulla loro posizione e i due adulti che dovrebbero aiutarli riescono a fare ben poco.

Nel giro di poche ore dalla partenza, quindi, Fanny si trova – volente o nolente – ad essere un leader per forza e dovrà usare tutta la sua caparbietà per provare a raggiungere l’obiettivo di tutti.
Proprio questo passaggio tra l’infanzia e l’età adulta, imposto dalle condizioni in cui si trovano i ragazzi, sembra essere la chiave di lettura del film.
L’opera di Dolloin è infatti piena di momenti di sconforto: fame, freddo, sonno e paura sono i principali compagni di viaggio dei bambini, ed in più di un’occasione ci siamo chiesti come sia stato possibile per loro anche solo andare avanti.

La risposta ce la fornisce la regista in qualche poetico momento del film: nonostante le difficoltà che si trovano costretti ad affrontare quotidianamente, i protagonisti sono pur sempre dei bambini e come tali hanno la capacità di divertirsi con poco, cancellando anche solo per qualche istante l’orrore della guerra. Se proprio bisogna fare un appunto alla Doillon, è l’eccessivo utilizzo di questo escamotage per ricordare allo spettatore l’età dei protagonisti. Alla terza scena di gioco e allegria nate con poco, la sala ha iniziato a rumoreggiare.
Molto intensa ed efficace, invece, la distanza della guerra rispetto al centro del film: un paradosso se pensate che ogni azione di ogni personaggio della storia ha come motivazione principale il dover scappare dalla guerra o il voler andare a combattere. Il fatto che però la regista abbia deciso di sposare esclusivamente il punto di vista dei bambini, le ha permesso automaticamente di non mostrare combattimenti o efferatezze gratuite. Il secondo conflitto mondiale è presente quasi solo in termini di uniformi naziste.

Passando al comparto tecnico, non possiamo che elogiare il lungo lavoro di ricerca che il cast tecnico ha dovuto fare: le ambientazioni sono in alcuni casi mozzafiato (a proposito, che bella la Francia rurale!) e i costumi sono estremamente curati.

Gli attori, partendo dai piccoli protagonisti, si dimostrano all’altezza (nonostante il doppiaggio in italiano ci abbia impedito di poterne apprezzare le effettive capacità). Una particolare nota di merito deve essere data a Cécile de France (recentemente vista in The Young Pope) che, nei pochi minuti in cui appare, riesce a rappresentare magnificamente la direttrice del secondo istituto in cui sono ospiti i bambini: è lei che, con la sua lungimiranza e il suo coraggio, mette in moto gli avvenimenti di tutto il film.
Ispirata a due figure femminili fondamentali per la storia di Fanny Ben-Amy, Nicole Weil-Salon e Lotte Schwarz, l’attrice dimostra quanta bravura sia necessaria per essere determinata, dura e al contempo estremamente dolce e affettuosa.

In fondo, come sempre, le inevitabili critiche: le scene di tensione nelle rare sequenze di incontro/scontro con gli occupanti nazisti sono, forse, leggermente forzate. In alcuni momenti mancava solo la slow motion per esasperare ulteriormente i toni drammatici della scena. Infine, vedere dei soldati tedeschi sparare peggio degli stoormtrooper di Star Wars ci ha strappato più di un sorriso.
Ma, evidentemente, era tutto funzionale alla storia.

Felice Garofalo
Fin da quando riesce a ricordare è stato appassionato di fumetti, di cui divora numeri su numeri con buona pace dello spazio in libreria, sempre più esiguo. Ogni tanto posa l’ultimo volume in lettura per praticare rigorose maratone di Serie TV, andare al cinema, videogiocare, battere avversari ai più disparati giochi da tavolo, bere e mangiare schifezze chiacchierando del mondo. Gli piace portare in giro la sua opinione non richiesta su qualsiasi cosa abbia visto o letto. Sfoggia con orgoglio le sue magliette a tema.