4 cuori +1

Quello della Prima Guerra Mondiale è uno scenario che il videogioco ha sondato non troppo spesso. Non si sa se per la malinconia del momento storico, per una generale povertà di idee, o perché, semplicemente, è effettivamente difficile descrivere adeguatamente una guerra complessa e logorante com’è stata quella vissuta tra il 14 e il 18. Come che sia, quest’anno si ricorderanno i 100 anni dallo scoppio di quel sanguinoso conflitto, e tra quelli che hanno deciso di tributare, degnamente, il loro commiato, c’è (non senza sorpresa) Ubisoft, che dopo anni di cazzate pseudo-storiche con Assassin’s “siamo alla deriva” Creed confeziona, finalmente, un gioco dal sapore storico molto deciso. Deciso come un pianto amaro, come una perdita sofferta, come il filo spinato con cui si potevano adornare le trincee dell’epoca.

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Pochi tratti che non sdrammatizzano affatto, ma piuttosto descrivo benissimo la cupezza dell’atmosfera.

La guerra nel cuore

Valiant Hearts: The Great War è il secondo progetto di quest’anno sviluppato da Ubisoft con il suo bellissimo motore UbiArt Framework, che già aveva ottimamente animato le nuova gesta di Rayman, e più di recente Child of Light, titolo dal sapore ruolistico e dai richiami JRPG. Valiant Hearts è però un progetto molto diverso, è quasi un punta e clicca in una salsa diversa, un’avventura grafica dallo stile particolarissimo e il cui intreccio narrativo, fatto di ben quattro personaggi, ripercorrerà gran parte del Primo Conflitto Mondiale. Quattro anni di storia buia, che nonostante lo stile grafico leggero e quasi abbozzato, non mancheranno di colpire per la loro crudeltà. Il distacco, la paura, la morte, sono solo alcune delle tematiche accennate in Valiant Hearts, la cui potenza comunicativa del tutto inattesa sembra ricordare la più pregiata opera Pixar, non tanto per le qualità grafiche, ma per la capacità di descrivere, morbidamente, i lati più duri della vita. E così, snodandosi in quattro capitoli, Valian Hearts ci fa rivivere l’avanzata dei tedeschi sulla Marna, la battaglia della Somma, o il tentativo di liberazione di Neuve-Chapelle, facendo del conflitto storico uno sfondo malinconico in cui i personaggi si scontrano, senza sconti, con la durezza della loro vita e della loro condizione. Ubisoft, in tal senso, ha costruito una storia di fantasia perfettamente credibile, che tiene fede alle atmosfere e alle atrocità della guerra, alle sue conseguenze ed alla sua eredità. Un titolo che, in tal senso, si propone quasi come una lezione di storia a cui l’utente può assistere come no, facendo del profilo ludico – se proprio deve – l’unica calamita della propria attenzione. I protagonisti, dunque, saranno Emile, Freddie, Anna e Karl. I primi tre arrulati nelle forze francesi, mentre Karl, di origini tedesche, sarà richiamato proprio dal suo paese natale per combattere tra i nemici. Proprio Karl, genero di Emile, sarà il motore della vicenda, poiché il suo allontanamento da casa, e dalla figlia di Emile da cui ha appena avuto un figlio, farà da primo espediente narrativo per la mobilitazione del vecchio francese, che si imbarcherà in guerra non solo perché convocato, ma soprattutto nella speranza di riportare a sua figlia l’amore della sua vita.

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Il cane Walt gioca un ruolo fondamentale nell’impatto emotivo del titolo.

La bellezza narrativa di Valiant Hearts è forse l’aspetto più affascinante dell’opera che, nelle sue meccaniche di gioco molto semplici, e talvolta forse un po’ acerbe, non costituirebbe, di per sé un potente pretesto ludico. Eppure, come avrete capito, a combinazione vincente data dallo scenario bellico, unito alla conoscenza che faremo dei personaggi (cui, tra le altre cose, si unirà anche un cagnolino), farà si che la vicenda vi entri dentro e, in qualche modo, vi conquisti. La scelta, poi, di osare dal punto di vista narrativo, senza abbandonarsi a facezie o semplicismi, rende l’opera tutta di ancora maggiore impatto e si sposa perfettamente, soprattutto nelle battute finali, con l’idea che il gioco vuole dare, e col messaggio che vorrebbe insegnare: la guerra non fa sconti. A nessuno.

La guerra nel corpo

VH_screen_karlprison_e3_140609_4pm_1402164090Dal punto di vista del gameplay, come detto, Valiant Hearts si presenta come una sorta di punta e clicca, con una spruzzata di adventure, e un certo gusto per l’esplorazione (sottesa, ma amplificata dalla presenza di oltre 100 oggetti collezionabili). Gli Scenari, sette per ognuno dei quattro capitoli, potranno così essere esplorate con visuale laterale, permettendoci di spostare il nostro personaggio a destra e sinistra e solo raramente in profondità (magari per accedere a un edificio o ad una trincea). Ogni scenario sarà fondamentalmente padrone di un certo numero di enigmi la cui risoluzione, mai troppo complessa, contribuirà ad un proseguimento piacevole. Si dovrà quindi far fronte ad un problema concreto, come superare un passaggio invalicabile, o piuttosto risolvere le questioni di alcuni NPC il cui concatenamento porterà, infine, all’ottenimento di un risultato utile al proseguimento dell’avventura. Il punto, purtroppo, è che non sempre Valiant Hearts esce vincente da queste meccaniche, sin troppo semplici e basilari, e sovente ripetitive e solo occasionalmente spezzate da alcune divagazioni non proprio smaglianti. Certo, ci sono delle trovate simpatiche e del tutto inattese, come delle fughe in auto scandite a tempo di musica e veramente ben congegnate, ma il tutto serve a ben poco e, in fin dei conti, nonostante la brevissima durata dell’avventura (non oltre le 5 ore per chiudere tutto al 100%), Valiant Hearts risulta piuttosto monocromo nella sua proposta. Il punto, comunque, come avrete capito è la storia, il suo cuore pulsante e il suo contratto strettissimo e raffinato con la realtà storica, cui si può accedere attraverso una foltissima serie di documenti e immagini dell’epoca. Per fortuna la lunghezza del titolo, seppur breve agli occhi di qualcuno, risulta in fin dei conti ben tarata ed anche quando alcune sezioni sembrano stonare (ideomatiche, in tal senso, quelle dedicate ad Anna), il gioco fila comunque liscio, senza lasciare troppa amarezza per la ripetitività e ciò, in fin dei conti, nonostante l’estrema linearità del tutto. Potremmo dire, in fin dei conti, che la matrice ludica di Valiant Hearts è semplicemente un mezzo, uno strumento al servizio della trama e del suo prosieguo, perché il cuore è lì: nella squisita narrazione.

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Nel suo piccolo, il gioco cerca di proporre varietà ludica anche con semplici sezioni stealth, essenziali ma piacevoli.

La Guerra negli occhi

Se, dunque, si può muovere qualche critica oggettiva al comparto giochereccio, non si può invece dir nulla alla caratterizzazione artistica, ed alla qualità con cui essa viene messa a schermo dall’UbiArt Framework. Il team pare essersi letteralmente sbizzarrito nella concezione dell’opera tutta, creando un titolo dall’apparenza morbida, ma dal tratto molto deciso e squadrato, tale da ricordare una certa scuola fumettistica molto essenzialista e cara alle “bande dessinee” del fumetto nord europeo. Il risultato è, come era già stato per i predecessori che pure erano mossi dallo stesso engine, un misto tra un cartone animato e un fumetto digitale, con tanto di balloon utili a capire meglio i bisogni dei personaggi in cui ci imbatteremo. Dulcis in fundo, il gioco ha anche un’ottima campionatura audio che unisce lingue originali (tedesco, francese e inglese) a un comparto di suoni ambientali perfettamente in grado di restituire l’idea di una guerra. Non manca poi una colonna sonora bellissima e malinconia, perfetta per accompagnare ogni momento del gioco, persino l’esplorazione degli essenzialissimi menù.