Zoolander 2: il fallimento di Ben Stiller?

Che cosa succederebbe se, di punto in bianco, numerose pop star di fama mondiale cominciassero a morire in circostanze misteriose, consegnandoci come lascito soltanto dei selfie con un’espressione inconfondibile? Chi sta uccidendo queste famose star della musica e perché? Soltanto un uomo può smascherare un complotto millenario, un uomo bello bello in modo assurdo: Derek Zoolander. Dopo il crollo del suo centro di recupero per ragazzi che non sanno leggere bene e vogliono imparare altro, la morte di sua moglie Matilda e la perdita di suo figlio Derek Jr. (preso in custodia dagli assistenti sociali), l’ex modello più famoso al mondo vive ora in completa solitudine, come un granchio eremita. L’unico che può convincerlo a tornare sulle passerelle è il suo nemico/amico Hansel, ancora ricercatissimo da stilisti e settimanali di gossip.

Ci sono voluti ben quindici anni affinché Ben Stiller riuscisse finalmente a portare sul grande schermo Zoolander 2. Quindici anni in cui i fan di tutto il mondo hanno invocato il nome del mitico Derek a gran voce, memori di una pellicola diventata immediatamente un cult del cinema demenziale e una delle colonne portanti del cinema di Ben Stiller. L’attesa è salita quindi alle stelle, complice anche una campagna pubblicitaria (anche virale) davvero martellante. Eppure, vogliamo dirvelo da subito, Zoolander 2 è un film veramente imbarazzante. Già dalle prime battute la pellicola appare patinatissima, pomposa (complice anche l’inutile scelta di ambientare il film a Roma, forse perché non si sapeva come sperperare il lauto budget a disposizione della produzione) e lontana anni luce dall’atmosfera piacevolmente fake-glamour del primo film. Qui si sfocia diverse volte nel trash più totale, soprattutto nel momento in cui ci si rende conto che Stiller e Wilson si sono cimentati in una squallida parodia de Il codice Da Vinci. Le gag con protagonisti Zoolander e Hansel sono banali e scontate, tanto che nemmeno l’ingresso in scena di Will Ferrell a.k.a Mugatu (di solito garanzia di risate) riesce a salvare una sequela di gag che a stento hanno strappato qualche risolino durante la proiezione stampa.

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L’imbarazzo era tangibile, tanto che qualcuno ha pensato bene di abbandonare la sala prima della fine del film. Il problema fondamentale di questo inutile sequel, infatti, è che non si ride mai, complice una sceneggiatura pasticciata che della brillantezza e dell’irriverenza del primo Zoolander non ha praticamente niente e anzi mette in mostra un Ben Stiller lontano anni luce dall’esilarante Tropic Thunder e da quel gioiello intitolato I sogni segreti di Walter Mitty (ad oggi il punto più alto della sua carriera di attore e regista). Non riescono a incidere nemmeno le new entry del cast, un’insopportabile Penelope Cruz e un impalpabile Cyrus Arnold nei panni di Derek Jr., un personaggio che avrebbe potuto dire qualcosa, proprio per quell’interessante contrasto tra il suo essere brutto e obeso e alla continua ricerca della perfezione del padre. Questo dualismo si esaurisce invece in una manciata di sequenze anch’esse banalotte e dalla debole verve comica. Il resto del film sono una sequela di situazioni atte a favorire i numerosi cameo di famosi attori, cantanti e stilisti, da Valentino a Marc Jacobs, passando per Katy Perry, Sting e Justin Bieber.

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Si scade diverse volte nel cattivo gusto e nemmeno un finale volutamente assurdo e sopra le righe (copia-incolla) di quello del primo film, riesce a sortire l’effetto sperato. Stiller dalla sua appare incomprensibilmente ingessato, con una magnum costantemente sparata in faccia che però, da sola, non basta a farci ridere di gusto. Owen Wilson, se possibile, è l’emblema della tristezza di questo film: spettano a lui, infatti, le battute e le gag più sceme, di quelle dove si sentivano addirittura le mosche volare in sala. Inutile e maldestro il tentativo di scimmiottare costumi e tendenze delle ultime generazioni come i social network e gli smarthphone, elemento che aggiunge anche un tocco di pretestuosità ad un film che si era già ampiamente affossato con le proprie mani. Insomma un film da dimenticare, che riesce addirittura a intaccare l’aura leggendaria del suo predecessore (che tenta a più riprese di “imitare”, con scarsissimi risultati), facendocelo rimpiangere amaramente. Brutto, ma davvero tanto brutto, in modo assurdo per giunta.

Simone Bravi
Nasce nella capitale dell'impero tra una tartaruga ninja, un Mazinga e gli eroi del wrestling dell'era gimmik. Arriva a scoprire le meraviglie del glorioso Sega Mega Drive dal quale non si separa mai nonostante l'avvento della PlayStation. Di pari passo con quella per i videogame vanno le passioni per il cinema, le serie Tv e i fumetti. Sembra Sheldon di The Big Bang Theory ma gli fanno schifo sia Star Trek che Star Wars. E' regolarmente iscritto all'associazione "Caccia allo Juventino".