Fama e tradizione

Conosciuta in occidente soprattutto per la sua diffusione nella cultura di massa, in film, fumetti e videogiochi, la Yakuza è una potente organizzazione criminale radicata nel sistema giapponese. Il mondo del crimine nipponico ha assunto connotati completamente nuovi a partire dal secondo dopoguerra, imponendosi presto come un cancro della società civile in un paese che cercava disperatamente di rimettersi in sesto dopo essere stato umiliato e sconfitto. Ma quanto sappiamo effettivamente della Yakuza? Ecco una serie di aneddoti che (forse) non conoscevate su questo noto gruppo criminale.

 

1 – Venditori ambulanti

Secondo molti studiosi che hanno provato a ricostruire il fenomeno, il primo nucleo della Yakuza sarebbe nato durante il periodo Edo del Giappone Feudale. Sarebbe tre le categoria a cui si farebbero risalire le orgini della Yakuza. La prima sarebbe quella dei venditori ambulanti, i tekiya (的屋 o テキ屋, appunto “venditori ambulanti”), noti per smerciare merci truffaldine, spesso rubate.

Il governo non considerava illegale questa attività. Al contrario, in essa vedeva una funzione sociale di elevata importanza. Permise quindi agli ambulanti di organizzarsi in gruppi e diede loro la possibilità di armarsi per difendersi e proteggere i propri interessi. Inutile dire che la cosa ben presto degenerò in un uso delle armi differente dalla semplice difesa, portando a un giro di estorsioni che si radicò nella società giapponese.

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2 – Giochi pericolosi

Il secondo gruppo a cui viene fatta risalire la Yakuza sono i bakuto (博徒), i giocatori d’azzardo itineranti che viaggiavano per il Giappone alla ricerca di fortuna e polli da spennare. Il gioco d’azzardo proibito in Giappone fino al secondo dopoguerra, costringendo i bakuto a fare causa comune e formare gruppi per potersi guardare le spalle a vicenda dalle autorità. Erano tra i pochissimi gruppi  a mostrare apertamente i tatuaggi, tradizione ereditata dalla Yakuza.

La Yakuza dovrebbe ai bakuto anche il proprio nome. Stanto a una ricostruzione dello scrittore Atsushi Mizoguchi il nome deriverebbe del punteggio più basso ottenibile in un gioco di carte giapponese, l’Oicho-Kabu (おいちょかぶ), 8, 9, 3, pronunciato hachi, kyuu e san (ha-kyuu-sa, da cui ya-ku-za).

3 – Alla Deriva

Più discussa è la vicinanza della criminalità giapponese ai Rōnin (浪人, “uomo alla deriva”). Come è ormai noto si tratta di samurai che avevano perso il proprio signore. A questi guerrieri senza causa non restava altro che il vagabondaggio, vendendo la propria spada ai villaggi rurali per denaro o improvvisandosi guardie del corpo. Proprio da questa forma di protezione potrebbe essere nato il sistema della Yakuza moderna. In esso si nasconderebbe uno dei motivi dell’accettazione della società giapponese verso questo fenomeno criminale.

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4 – Dalle ceneri della guerra

La fine della Seconda Guerra Mondiale comportò la rovina economica del Giappone. Il paese era in ginocchio già da tempo, ma il colpo derivante dalle sanzioni di guerra degli Alleati ebbe l’effetto di un’umiliazione. Tra i vari provvedimenti ci fu quello di demilitarizzare un paese con una forte tradizione bellica, privandolo di ogni possibile arma di offesa. Poco importa che si trattasse di aerei, cannoni o spade risalenti a epoche remote, magari retaggio tradizionale di qualche famiglia.

In questo periodo il contrabbando di armi era diventato pertanto una delle pratiche più redditizie e fu così che la Yakuza riuscì a diventare una presenza fissa nella società giapponese. Nel corso del dopoguerra le opere sociali della mafia furono molto e questo contribuì a rafforzare la visione dei suoi appartenenti come uomini d’onore. Visione che ottenne anche una sorta di approvazione ufficiale, visto che in breve tempo riuscì a guadagnarsi la stima del comando supremo delle forze alleate (SCAP).

5 – Bushido

Almeno fino ai primi anni ‘90 per il governo giapponese la Yakuza non sembrava rappresentare una problema. E anche tra la popolazione c’era la convinzione che non ci fosse nulla di negativo nell’organizzazione, che sembrava assicurare protezione alle classi meno privilegiate laddove lo stato mancava di intervenire. Anzi, per molti gli Yakuza erano gli eredi dei samurai, un’aura di nobiltà che tende a rimanare saldamente ancorata sulla criminalità. A rafforzare quest’immagine c’era una formale adesione alle regole del bushido, il codice d’onore dei guerrieri.

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6 – Il codice della Yakuza

E, parlando di codici, alla base delle yakuza vigono tre comandamenti: 1) Non toccare la moglie dei seguaci; 2) mai rivelare i segreti dell’organizzazione; 3) rimanere sempre fedeli al proprio capo.

Parlando di tradizioni, una delle più note è il taglio della falange del dito mignolo, il caratteristico yubitsume (指詰め, “accorciamento di dita”). In questo modo cui si possono mostrare fedeltà o pentimento nei confronti del capo dell’organizzazione.

Questo gesto sembra essere di origine tradizionale. C’è chi lo ritiene legato sia al gioco d’azzardo (un modo per saldare un debito) e chi pensa sia invece derivato dalla scherma, dato che uno spadaccino con il mignolo amputato aveva una presa meno salda sull’elsa ed era maggiormente bisognoso di protezione (e meno pericoloso in caso di ribellioni). Allo scopo di nascondere queste amputazioni e le protesi delle falangi, alcuni mafiosi hanno preso l’abitudine di portare anelli vistosi.

7 – Armi tradizionali

Come abbiamo detto gli Yakuza fecero gran parte della loro fortuna con il contrabbando di armi. Tra queste non mancavano anche le armi tradizionali dei samurai, le katane, magari oggetti d’arte che dovevano essere salvati dalla distruzione voluta dagli occupanti americani.

Ma la loro identificazione con la classe dei samurai comportò presto anche l’utilizzo di queste armi, specie in quelle uccisioni che dovevano avere il sapore di un esecuzione pubblica. Per un pesce piccolo una pallottola basta e avanza. Ma un personaggio pubblico merita una fine da guerrieno, che può avvenire a fil di spada. Esemplare fu il caso di Juntaro Suzuki, Vicepresidente della Fuji, ucciso nel 1994 con un colpo di katana.

8 – Difesa giuridica

Se è vero che la Yakuza mantiene una ferrea tradizione nei suoi modi di fare, non per questo disdegna la modernità. Ne è un esempio il metodo che i clan principali svilupparono come sistema di difesa giuridica, il jonokin. In buona misura non è altro che una quota associativa che i subordinati versano nelle casse della famiglia.In questo modo i boss potevano ottenere tutti i guadagni delle attività criminali rimanendo però “formalmente” innocenti. Estranei a ogni atto criminale commesso in nome della Yakuza e quindi non processabili per questo.

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9 – Sulla pelle

Come accennato i bokuto sono stati tra i gruppi originali fondatori della Yakuza. Per questo gruppo i tatuaggi erano qualcosa di fondamentale. Gli irezumi (da ireru, “inserire”, e sumi, “inchiostro”) erano destinati  a marchiare a vita le persone, con strisce nere sulle braccia o addirittura con l’ideogramma di “cane” sulla fronte. Si trattava di un modo per identificare i bari in modo che tutti potessero riconoscerli, una sorta di lettera scarlatta indelebile. Ben presto la cosa cambiò prospettiva: i tatuaggi divennero per i bakuto un segno distintivo da portare con orgoglio, che permetteva loro di identificarsi.

I tatuaggi della Yakuza vengono eseguiti con metodi tradizionali. Sono realizzati sotto pelle, utilizzando strumenti fatti a mano come aghi di bambù o di acciaio affilato. La procedura è dolorosa e può richiedere anni di sessioni, ma il risultato è spesso artistico, al punto che le pelli di alcuni Yakuza alla loro morte vengono vendute al mercato nero. Macabre opere d’arte che qualche riccone espone in gallerie lontane da occhi indiscreti.

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10 – Famiglia, riviste e videoclip

La Yakuza si basa su un sistema familiare. Grazie anche alla complicità con la società ogni famiglia ha una propria sede fisica sulle quali spesso vengono sfoggiati apertamente i simboli dell’organizzazione.

Tra le famiglie Yakuza la Yamaguchi-gumi è la più grande del Giappone. Venne fondata a Kobe nel 1915 come associazione di lavoratori portuali e oggi conta 30.000 in tutto il mondo. Anche per i canoni conservatori della yakuza è estremamente tradizionalista. Per questo motivo ha da qualche anno subito una scissione, dovuta alla volontà dei membri più giovane di liberarsi delle restrizioni dell’organizzazione. Un esempio? La volontà di con consumare e non commercializzare droga. L’invito a non assumere stupefacenti è stato anche espresso in un videoclip musicale patrocinato dalla famiglia.

La musica non è però l’unico interesse di questo gruppo, dato che nel 2013 diede alle stampe una rivista, Yamaguchi-gumi Shinpo. Se vi state chiedendo cosa potrebbe mai contenere il magazine di una nota famiglia criminale, potreste rimanere sorpresi. Al suo interno c’era poesia haiku, articoli sulla pesca sportiva e sulle opere sociali. Se vi sorprende vi basterà sapere che la rivista uscì in concomitanza con alcuni arresti che incrinarono l’immagine “romantica” della famiglia.

11 –  Una gerarchia familiare

La struttura della Yakuza è piramidale. Ci si riferisce all’organizzazione come ikka (ovvero “famiglia fittizia”, termine che può indicare anche un concetto ampliato di nucleo familiare). Il processo con cui si diventa affiliati dell’organizzazione mafiosa è legato, in Giappone come nel resto del mondo, a una forte ritualità. Gli “adepti” devono scambiarsi una tazza di sake con il Capo-famiglia davanti a un altare dedicato alla dea del sole Amaterasu e al patrono dei guerrieri, Hachiman.

Entrando nella yakuza si ottiene il titolo di jun kosei-in (apprendisti) incaricati della protezione dei membri anziani e dediti a svariate mansioni (rispondere al telefono, autisti, servire gli ospiti). Di quest’ultimi fanno parte anche le figure periferiche (shuhensha), detti talvolta kigyo shatei (fratello o socio in affari), non legati all’organizzazione in modo diretto. Sopra di loro si trovano i waka-chu (giovani organizzatori), alle dirette dipendenze dei kanbu (dirigenti). Infine, al vertice, si trovano i saiko kanbu (dirigenti supremi).

Poco nota è che anche le donne possono ricoprire incarichi importanti all’interno di queste società. Benché la Yakuza sia un’organizzazione maschilista, qualche donna riesce a emergere e raggiungere posizioni elevate, ottenendo il titolo ane-san, ovvero “sorella maggiore”.

12 – Infiltrazione

Le attività della Yakuza sono varie e diversificate. Pur essendo rimasta una componente umanitaria come agli inizi del fenomeno, essa ha assunto i tratti di una facciata. Un modo per con cui si cerca di mantenere una parvenza di legalità, quando in realtà tra le attività più redditizie della Yakuza ci sono contrabbando e traffico di armi, droga ed esseri umani.

Un’altra pratica molto utilizzata è quella dell’infiltrazione nelle società giapponesi, con interessi che spaziano dall’energia nucleare all’industria dell’intrattenimento. Per realizzare tutto ciò la yakuza fa in modo di mettere le mani su un numero esiguo di azioni. Una volta ottenuto l’ingresso nel consiglio di amministrazione dell’azienda iniziano una serie di minacce ed estorsioni ai danni del CdA per poter ottenere un’influenza su di essa ben maggiore di quella che spetterebbe ai boss in base alle proprie quote.

13 – Olimpiadi

Come accennato l’atteggiamento verso la malavità da parte del governo giapponese fu generalmente piuttosto rilassato fino all’inizio degli anni Novanta. Ci fu però un’eccezione.

Con i giochi Olimpiaci di Tokyo nel 1964 il governo giapponese fece le prime mosse per ripulire la capitale. Vennero delle leggi speciali volte a restituire al mondo la miglior immagine possibile del paese, in vista dell’evento che per il popolo giapponese rappresentava un momento di forte riscatto dopo la guerra. Furono eseguiti centinaia di arresti che smantellarono diversi gruppi. Queste azioni erano mirate per lo più contro il gioco d’azzardo e l’estorsione e si rivelarono utili solo nell’immediato. Furono inefficaci a lungo termine e le bande affiliate alle famiglie si ricomposero in fretta.

14 – Passione sportiva

La presenza dei boss e dei rappresentanti di spicco della Yakuza negli eventi sportivi del Sol Levante è fortissima, primo tra tutti nel puroresu, il wrestling giapponese. In questa disciplina i Boss sono soliti assistere alle manifestazioni non negli skybox, come succede per gli eventi di calcio e baseball, ma in prima fila, nelle zone limitrofe al ring.

Il wrestler Sabu, campione di match hardcore, raccontò di un episodio accorso nei suoi anni in Giappone, durante il quale nell’esecuzione di una mossa fuori dal ring avrebbe urtato un membro della Yakuza. Per mantenere il suo personaggio heel (cattivo), tipico di molti lottatori gaijin, Sabu non si sarebbe scusato, ottenendo delle minacce nello spogliatoio a match concluso. Fu costretto a rimanere chiuso nella sua stanza d’hotel per ore, prima che il pericolo passasse.

Anche la leggenda canadese Chris Jericho raccontò di un incidente che avrebbe coinvolto la rottura di un vaso davanti a un boss della Yakuza. In questo caso il wrestler si scusò rapidamente e pulì tutto, memore anche di quanto successo al suo collega tempo prima.

L’influenza della Yakuza in questo sport è fortissima, tanto che nel 2012 la promotion NOAH venne coinvolta in uno scandalo dovuto a dei fondi provenienti proprio da questa organizzazione.

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15 – Il rapporto con la legge

Pur condannando la yakuza a livello formale il Governo giapponese, a causa dei numerosi contatti mantenuti con le famiglie, per lungo tempo non prese provvedimenti contro la criminalità organizzata.

Già alla fine della Seconda Guerra Mondiale all’organizzazione fu affidato il compito di mantenere l’ordine pubblico, ottenendo in cambio avrebbe ottenuto degli appalti nell’edilizia. Nello stesso periodo riuscì a infiltrarsi nel Partito Liberal Democratico, al quale fornì protezione e voti, facendo uso di minacce e violenza.

Solo nel 1992, di fronte all’ormai consolidato potere delle famiglie, il Governo fu messo alle strette ed emanò la legge anti-boryokudan. Con questo provvedimento venne dichiarate illegali tutte quelle associazioni che facevano uso di violenza e intimidazione. Almeno in pricipio le cose parvero funzionare. Oltre mille membri delle famiglie finiro dietro le sbarre. Altre vennero tagliate fuori dal proprio giro di affari. Ma, ancora una volta, il tempo non fu clemente con questa legge, che si rivelò negli anni inefficace.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.