Discorrendo e volando

Attendevo molto Ace Combat 7. Già da tempo si vociferava sulla qualità di questo titolo e si percepiva nell’aria un ritorno alle origini, almeno per quel che riguarda lo spirito più arcade della serie. Arriva infatti nei negozi depauperato di tutte quelle caratteristiche che hanno reso gli ultimi capitoli forse più immediati, ma decisamente meno interessanti dal punto di vista del Gameplay. Sono un fan di AC, non tanto perché apprezzo i simulatori di volo o i giochi sfondo militare in genere, ma perché amo i giochi arcade. Ace Combat 7 mi ha ricordato, dopo diversi anni dalla sua ultima iterazione, quanto è potente e preziosa questa sua connotazione, e quanto in effetti oggi sia merce rara. Il settimo capitolo della saga si presenta quindi come un prodotto di nicchia. Esiste uno zoccolo duro di estimatori che permette di sopravvivere alla serie, ma che rimane nicchia.

Per pura casualità, mi sono ritrovato pochi giorni fa a giocare uno shoot ‘em up vecchio stampo, Steredenn. Cosa c’entra direte voi. Ebbene, giocando successivamente ad Ace Combat ho avuto un’epifania. Mi sono reso conto del perché mi divertivo così tanto. In qualche modo infatti solcare i cieli nell’opera di Bandai Namco e ingaggiare scontri aerei sopra i cieli dell’Usea mi ricorda quel tipo di feeling e quel modo di giocare. Ace Combat 7, o la serie più in generale rappresenta per me un’evoluzione concettuale degli Shoot ‘em up a scorrimento old school, come DoDonPachi, Raiden, Ikaruga, e molti altri. Ma andiamo per gradi. Ace Combat 7 è un gioco che presenta un background narrativo particolare, ambientato in un mondo distopico, imbastisce un contesto fantapolitico metaforizzando molti conflitti che hanno animato la storia dell’umanità, ma ne prende le distanze in termini di realismo, come spesso si faceva appunto, creando il semplice canovaccio dei vecchi shooter arcade.

Ovviamente l’impianto narrativo è estremamente più curato in questo caso. In particolar modo nel settimo capitolo, che racconta in maniera estremamente articolata il conflitto bellico tra diverse nazioni mettendo anche una certa componente umana al centro delle vicende. Quello che però è importante in questo gioco -come lo era nei classici shoot’em up- è che tutto serve a “colorire” e creare una certa epicità drammaturgica intorno al fulcro dell’esperienza, che rimane assolutamente l’impianto ludico. Ci troveremo quindi, come molti possono immaginare, in una serie di missioni in cui, mantenendo un contatto radio con i nostri alleati che porteranno avanti il “racconto” commentando l’azione e i suoi risvolti, dovremmo combattere contro altri velivoli di fazione opposta. Banalmente quindi l’attività principale di AC7 è abbattere dei bersagli (volanti o di terra) in volo. Una formula “ripetitiva” e reiterata in cui gli sviluppatori hanno concentrato qualsiasi risorsa in modo da renderla avvinghiante per il giocatore.

Un obiettivo tanto difficile ora quanto lo era ai tempi in cui il genere spopolava anche nelle due dimensioni. In questi giochi era molto importante attuare delle “strategie” durante il gioco, se così vogliamo chiamarle. Ma non parliamo in nessun modo di operazioni specificatamente tattiche, si trattava di mettere in campo invece una discreta capacità di improvvisazione analizzando lo schermo in pochi attimi.

Muovere la nostra navicella, evitare asteroidi, detriti, navicelle spaziali, fuoco nemico; colpire con precisione, cercare di sfruttare la spazialità del quadro di gioco in maniera quasi istintiva, facendo un largo uso di una memoria muscolare acquisita in ore e ore di tentativi, in modo da alternare in maniera istintiva e automatica armi secondarie e principali, o decidere in un frangente di secondo se avere un approccio più diretto verso il nostro target o piuttosto aggirarlo.

Questo gameplay che ben veniva sintetizzato nel game design degli Shoot’em up tradizionali è incredibilmente valido anche per Ace Combat, nella misura in cui tutto però viene declinato verso un approccio più realistico delle dinamiche nel combattimento aereo e inserendo ovviamente, la terza dimensione, che porta con sé quindi differenze sostanziali ma non determinanti nell’allontanare totalmente l’anima del gioco ai suoi illustri antenati.

Certo, in Ace Combat non abbiamo mai a che fare con improbabili piogge di proiettili incessanti. Non esiste il fenomeno “bullet hell”, e l’impianto delle battaglie aeree è ovviamente molto diverso. Ma fidatevi: la memoria muscolare, la forma mentis richiesta al giocatore per approcciarsi bene ad Ace Combat 7 è di fatto molto simile, laddove il ritmo forsennato dell’attacco nemico viene sostituito con aspetti di ugual peso che non cambiano il peso specifico dell’esperienza. Uno di questi è proprio la più complessa navigazione del proprio velivolo, che richiede quindi sicuramente manovre più articolate in accordo con una riproduzione estremamente stilizzata ma pur presente, delle regole dell’aerodinamica.

Ma una volta che si sono negoziate delle “difficoltà” in sostituzione a delle altre, rimane la forte esigenza di accompagnarle nuovamente nel nostro giocare con un grande spirito di improvvisazione, con la capacità di saper gestire bene tutti elementi grafici che fanno parte della schermata di battaglia. Ecco quindi che sostanzialmente i principi di questi arcade che si sperdono nei cieli rimangono fondamentalmente inalterati nei decenni, pur mutando fortemente la forma.

Ace Combat 7 sicuramente non è un gioco semplicissimo, proprio perché richiede una concentrazione costante sulle dinamiche che ci sono durante una battaglia aerea, che non premia inutili virtuosismi in volo ma solo la capacità di lettura dei movimenti nemici e la velocità di risposta offensiva e difensiva.

Inoltre riesce a riempire uno spazio neutro aperto e idealmente vuoto come quello aereo in maniera sorprendentemente varia, con una pletora di obiettivi che scongiurano la ripetitività della formula di gioco. In alcune missioni avanzate ci troveremo di fronte a target di natura diversa da dover affrontare in maniera intelligente e repentina. Potrebbe quindi succedere nella stessa missione di dover colpire dei bersagli terreni, come Torrette che aprono il fuoco nella nostra direzione o altri veicoli, e allo stesso tempo dover tenere a bada caccia nemici o droni militari che ci sparano, che seguono traiettorie diverse, che si muovono in gruppo o isolati, ecc.

Insomma c’è tutto un ecosistema aereo estremamente dinamico e denso di situazioni per la quale, ancora una volta e a dispetto delle apparenze, ci si accorge che i meccanismi mentali di gioco non sono così diversi rispetto a quelli dello shooter tradizionale. Ribadiamo quindi che in Ace Combat 7 è incredibilmente importante comprendere bene l’interfaccia grafica in tutti i suoi elementi come il radar che indica le posizioni di ogni oggetto volante in movimento, indicatori di lock-on che mostrano il bersaglio ingaggiato, quello prossimo all’ingaggio e relative distanze.

Dobbiamo sempre ben capire qual è l’avversario più vicino da colpire, qual è quello più di facile da abbattere per la nostra linea di tiro. È necessario calcolare sempre il prossimo movimento in tempi rapidi per portarsi in una posizione strategica ideale, bisogna capire in un istante come alternare il nostro fuoco missili standard e secondari, che possono essere o missili ad esplosione multipla o missili di terra o ancora di gittata più o meno ampia. La gestione della strumentazione di bordo e del campo di battaglia deve essere veloce e precisa e in breve lascia ben poco spazio alla riflessione che non sia puro intuito.

Se vi sembra troppo azzardato il parallelo con gli shooter della vecchia scuola, pensate a quali sono le pulsioni, il feeling, l’approccio mentale che Ace Combat ci chiede durante la battaglia. Ingaggio del nemico, tempismo nel far fuoco, fulmineo utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione, gestione della nostra posizione in uno spazio privo di barriere repentina e pressante e continua. Namco è riuscita con la serie Ace Combat a creare l’unica evoluzione dello shoot ‘em up classico. Una delle poche realtà nipponiche legate allo sviluppo di videogiochi che si è posta il problema di evolvere il genere dai suoi stilemi iniziali.

Se ci pensate, concettualmente il parallelo è uguale a quello che si può fare tra i platform, come può essere un Super Mario Bros, e quelli tridimensionali che quindi articolano le meccaniche, dilatano e adeguano i ritmi dell’azione e la risposta ai comandi a una nuova realtà spaziale che è quella della tridimensionalità, ma ne mantengono assolutamente le stesse finalità ludiche. Un altro esempio di decostruzione del genere analoga potrebbe essere quella degli action game come Devil May Cry, il cui concept deriva sostanzialmente da quelle ibridazioni tra platform e giochi d’azione primordiali come potevano essere uno Shinobi, o un Ninja Gaiden per Nintendo 8 bit.

Mentre questi generi hanno trovato nell’era moderna dei videogame infinite espressioni della loro evoluzione, gli Shooter 2D non hanno solleticato la fantasia e la creatività degli sviluppatori allo stesso modo. Non è quindi così scontato dire che chi li apprezza possa arrivare ad amare anche Ace Combat, serie che ne mantiene il DNA.

Un DNA fatto di immediatezza, che in AC è solo apparentemente nascosta dalla breve curva di apprendimento iniziale; fatto di gestione di un ambiente navigabile nella sua interezza; fatto di performance, punteggi, perfezionamento.

Come i capitoli precedenti, anche AC7 cura parecchio la narrativa del gioco. Largo spazio è lasciato alle cutscene e ai dialoghi, ma come nell’abbozzatissimo contesto di un R-Type, Gradius o After Burner (titolo per altro molto simile al nostro Ace Combat) il contesto socio-politico è chiaramente inventato e sopra le righe, perché tutto questo serve semplicemente a creare più coinvolgimento nel giocatore, fattore che insieme a quello stilistico vero e proprio (importante come non mai per creare una identità nell’oceano di proposte con lo stesso concept di gioco), ha sempre caratterizzato questi prodotti.Ma AC7, oltre che ultimo capitolo di una serie come abbiamo visto, in qualche modo “rivoluzionaria”, è anche uno dei migliori episodi. Le 20 missioni in cui si compone la campagna riescono a essere incredibilmente diversificate, la risposta ai comandi è sempre precisa e coerente a quell’archetipo di fisica rappresentato. Inoltre Namco Bandai riesce ad inserire in maniera brillante una ulteriore variabile: le diverse condizioni meteo che influiscono in maniera abbastanza tattica sugli scontri aerei.

Ci sono tempeste di fulmini e di sabbia, folate violente che ci tolgono il pieno controllo della direzione di volo, pioggia e nuvole che ci rendono la visibilità sicuramente molto ridotta e che addirittura provocano il congelamento con conseguente stallo del nostro aereo. Fenomeni atmosferici pericolosi che però possono anche essere sfruttati a nostro vantaggio. Ad esempio entrare in un corpo nuvoloso ci permette di eludere la ricerca del missile nemico che ci punta. Creano insomma quel giusto scompiglio nelle battaglie, senza però diventare una dinamica invasiva che tolga il focus dallo scontro aereo vero e proprio. Focus che rimane sempre e comunque ancorato alle performance del giocatore, ai suoi riflessi, alla capacità di calcolare gli spazi, la balistica, le distanze, nella maniera più precisa e più veloce possibile. Si tratta di un gioco d’azione che richiede agilità, di un gioco arcade a tutti gli effetti, al punto che Namco Bandai non riesce a implementare l’intera esperienza in una modalità per il PlayStation VR.

Usare il visore di Sony per solcare i cieli di AC7 è qualcosa di incredibilmente immersivo. Penso che PlayStation VR sia lo strumento adatto è perfetto per due tipi di giochi: il primo sono le esperienze horror e il secondo quei giochi che richiedono di stare seduto dentro un abitacolo.

Librarsi in volo con PlayStation VR è una cosa è una cosa fantastica, ma si percepisce che la struttura del gioco principale forse sarebbe stata troppo complessa per essere portata su visore in maniera completa. Forse da un punto di vista tecnico, chi può dirlo, magari anche da quello ludico. Un conto è gestire una spazialità a 360° relegata nella cornice di un televisore, un altro è avere sotto controllo perfettamente lo spazio reale intorno a noi. Difficile avere lo stesso tipo di immediatezza, difficile riuscire a orientarsi velocemente allo stesso modo, e difficile avere la stessa prontezza. Potremmo quasi considerare comprensibile la decisione di ridurre al minimo l’esperienza VR, non perché il gioco non si presti all’utilizzo del visore, ma semplicemente perché forse andrebbe fatto un altro gioco, un diverso Ace Combat appositamente pensato per la realtà virtuale.

Ace Combat 7 tirando le somme, per molti versi è un’esperienza quasi unica oggi come oggi. Non perfetta, certo, perché oltre ai limiti del suo concept che può non piacere a tutti, c’è qualche piccola imperfezione, come una difficoltà non sempre ben bilanciata e una gestione del lock-on non comodissima. Ma il gioco poche volte ci pone dinanzi a un reale disagio, rimane un titolo galvanizzante, bello da vedere, giocare e anche da sentire. Permettetemi infatti di creare un’ultima linea di collegamento tra il vecchio e il nuovo. Negli shoot ‘em up veniva data un’enorme valore alla colonna sonora, perché fondamentale nel caricare ed enfatizzare l’azione di gioco. Una regola che AC7 non tradisce visto che le sue musiche sono assolutamente spaziali e addirittura dinamiche e capaci di descrivere in tempo reale l’azione.

Insomma, potreste amare un genere ed essere inconsapevoli che ne esiste una deriva moderna e brillante, il cui ultimo magnifico esponente si chiama Ace Combat 7.

 

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!