Mercurio Loi e Alessandro Bilotta, contro il logorio della vita moderna

Ancora un piccolo sforzo“. Certo, non furono parole memorabili, queste che accompagnarono l’esordio di Mercurio Loi scritto da Alessandro Bilotta e disegnato da Matteo Mosca sul numero 28 de Le Storie, la testata antologica di casa Bonelli.

Se a volte la frase d’entrata può essere d’aiuto per comprendere lo spirito di un personaggio, il suo savoir-faire, in questo caso per capirlo è necessario procedere nella lettura. Poche pagine e già entriamo dentro l’atmosfera: scopriamo che questo bizzarro character, un uomo dal muso vagamente scimmiesco, che maneggia un bastone col bordone a forma di lupo e dai modi brillanti, sta esplorando delle catacombe dove si è risvegliato in compagnia del suo compagno d’avventure nonché assistente: Ottone De Angelis.

Insieme, affrontano i Luperci, una setta di uomini dediti al culto della Lupa che cercano di riportare in vita gli antichi fasti della religione romana pre-imperiale. “Ma è una follia!” commenta Ottone. “Sì, ma è ben organizzata!” risponde con sarcasmo Mercurio Loi. Presto, tuttavia, scoprono che dietro questi pazzi si cela Tarcisio Spada, l’acerrimo nemico che ha organizzato per loro una trappola mortale. Trappola a cui, senza badare troppo all’eleganza, i nostri riescono a sfuggire per tornare poi a fare quello che amano di più: passeggiare per le strade di Roma in piena notte.

mercurio loi

Su Mercurio Loi, cercare di ricondurre alle primissime frasi e inquadrature di una storia a fumetti le origini del suo successo rischia di risultare fuorviante. Però, può essere di sicuro un buon punto di partenza anche perché, nella stragrande maggioranza dei casi, stiamo parlando di racconti per cui è fondamentale riuscire a stregare fin dal subito il lettore, o quanto meno fargli capire che ha di fronte qualcosa di nuovo e di diverso mettendo le carte in tavola.

Molti personaggi Bonelli hanno sfruttato a proprio vantaggio questa consuetudine. Come dimenticare, per esempio, il “Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?” con cui Tex Willer entrava in scena o il “Mi chiamo Dog, Dylan Dog” dell’Indagatore dell’Incubo, presentazioni seguite istantaneamente da un ingresso deciso del mondo di queste icone. Da quel momento, si entra nel giusto mood, fatto di epica western per la creatura di Gianluigi Bonelli e Galep e composto da mostri, orrori, citazionismo e umanità per il figlio prediletto di Tiziano Sclavi.

Neppure Mercurio Loi è esente da questa regola anche se, per certi versi, segue più l’esempio di Tex, visto che quando facciamo la sua conoscenza lo troviamo nel mezzo dell’azione a rischiare la vita…

Eppure, già abbiamo modo di entrare in sintonia con le sue ambientazioni. Lo vediamo esporre la sua erudizione a colpi di dialoghi colti e memorabili siparietti con Ottone (assistente di Mercurio suo malgrado), lo osserviamo mentre fronteggia una banda di pazzi ossessionati dalla Roma antica e apprendiamo persino che ha una terribile paura dei… Ragni! Ma questo è solo il primo passo all’interno dell’immaginazione straripante di Alessandro Bilotta.

Mercurio Loi: guida per lettori senza meta

Apparso dunque su Le Storie, nel già menzionato numero 28 del gennaio 2015, Mercurio Loi non esita a guadagnarsi l’attenzione degli appassionati di fumetti. Intriga quella figura che, a metà tra uno Sherlock Holmes e Hercule Poirot nostrano, indaga su complotti, omicidi e stranezze di ogni tipo, sullo sfondo della Roma papalina del 1826, epoca in cui la futura capitale del Regno d’Italia era popolata da “pazzi” di ogni tipo. E dunque eccolo tornare, Mercurio Loi, nel primo numero della sua serie regolare uscito a maggio del 2017, intitolato appunto “Roma dei pazzi” e di cui vi abbiamo parlato in tempi non sospetti (qui, per la precisione).

Si tratta, in poche parole, della prima pietra di un progetto ambizioso, molto ambizioso, voluto dal direttore generale Davide Bonelli (il figlio di Sergio). Il progetto è infatti quello di portare in edicola una testata completamente diversa dai prodotti tipici che affollano gli scaffali, una testata capace di farsi sì portatrice della lunga e consolidata tradizione della Bonelli, ma anche di battere una strada fino ad allora inesplorata.

mercurio loi

Il primo numero è già una dichiarazione d’intenti: alle copertine troviamo Manuele Fior, straordinario autore del cosiddetto “fumetto d’autore” che negli ultimi anni, tramite Coconino Press, ha pubblicato alcune delle graphic novel più impressionanti presenti sul mercato, oltre che blasonato artista pieno di collaborazioni con alcuni dei più importanti quotidiani nazionali.

Dietro il frontespizio (sempre opera di Fior), poi, al posto dei soliti editoriali, c’è una singolare “Guida per camminatori senza meta“, una sorta di vademecum in cui Alessandro Bilotta stesso spiega il punto focale dell’albo, attraverso discorsi complessi, profondi e ricchi di riferimenti che spaziano dalla letteratura alla filosofia. E poi il colore, elemento che più di tutti sembra allontanare questa testata non solo dai suoi concorrenti ma anche dalla stragrande maggioranza delle altre produzioni Bonelli.

Mercurio Loi, insomma, è nato per essere differente da tutto il resto, per essere unico. E non si tratta del ritorno del seriale d’autore che ormai, da Dylan Dog in poi, è un’immancabile presenza tra i prodotti cosiddetti “popolari”. No, Mercurio va ancora oltre. Lo potremmo quasi definire un “seriale intellettuale”, un “fumetto erudito”: scegliete il vostro preferito. Ad ogni modo, ideato per essere il manifesto dell’attuale think different della Bonelli.

In fondo, come identificare Mercurio Loi è una cosa a cui penseranno in futuro gli storici della Nona Arte. Al lettore basta sapere che ha tra le mani un buon fumetto. Anzi, un grande fumetto che osa, che non ha paura di sperimentare e di mostrare tutta la sua strabordante erudizione, senza tuttavia dimenticarsi il suo compito: raccontare belle storie. Nella serie, non ci si sofferma di fronte allo specchio della proprio bellezza, non si indugia di fronte alla propria sconfinata genialità.

Mercurio Loi è un personaggio vivo circondato da un cast prodigioso, che lo accompagna nelle sue avventure assurde, spesso fuori testa, al limite del surreale, misteriose, appassionanti e impressionanti. Brevemente, non annoia mai. Ma proprio mai. Esattamente come l’uomo che l’ha creato: Alessandro Bilotta.

A lezione di fumetto da Alessandro Bilotta

Bisogna sempre fare attenzione quando si maneggia un’etichetta pericolosa come quella di “maestro“. In primo luogo perché viene decisamente abusata, soprattutto negli ultimi tempi dove sembra che ogni fumetto capace di guadagnarsi un buon successo venga circondato da un’aura quasi mitica. In secondo, perché spesso questo titolo viene dato a quegli autori che danno l’impressione di aver esaurito la propria carica innovativa, di non essere più un’avanguardia bensì di appartenere al passato, per quanto importante.

Ecco, Alessandro Bilotta non fa parte né dell’uno né dell’altro gruppo, ma si merita senza ombra di dubbio l’appellativo di “maestro contemporaneo” del fumetto italiano, al pari di altri moderni come Tito Faraci, Mauro Boselli e Francesco Artibani, tanto per citare alcuni dei più celebri sceneggiatori sulla piazza. Una carriera iniziata lentamente, quella di Bilotta, dal quasi anonimato fino alle luci della ribalta, che l’ha probabilmente trasformato nella penna più originale in circolazione. Difficile trovare, in tutto il panorama italiano, uno sceneggiatore capace di agire perfettamente nel solco della tradizione Bonelli e offrire qualcosa di rivoluzionario senza snaturarlo, che si tratti di Dylan Dog, de Le Storie o di miniserie. 

mercurio loi

Mercurio Loi è probabilmente il simbolo dello status autoriale raggiunto da Alessandro Bilotta. Infatti, all’inizio la serie sembra presentarsi come il più classico dei prodotti made in Bonelli: ambientazione storica e personaggio fisso (con tanto di assistente) che nelle sue uscite affronta l’avventura di turno, il mistero di turno, il nemico di turno.

Invece, basta poco per rendersi conto della sua portata epocale. Non solo perché piano piano abbozza i dettagli di un appassionante continuity, capace di svilupparsi senza tentennamenti o sbavature di sorta, ma per il suo esatto contrario. Mercurio Loi porta infatti all’estremo il concetto di “albo del mese“. Ogni 30 giorni esatti (60, dopo il passaggio al bimestrale), Mercurio Loi affronta sì l’avventura di turno, però il classico schema che ci aspetteremo di vedere viene disatteso ogni volta in maniera differente per favorire storie libere, senza vincoli e dunque imprevedibili.

Con Mercurio Loi non ci si annoia davvero mai: il lettore sa che troverà determinate situazioni, che l’eroe dovrà fare delle cose precise, ma questa aspettativa viene puntualmente “tradita” e “innovata”. Alessandro Bilotta gira continuamente la frittata, trova spunti inediti e straordinari anche laddove ci si aspetterebbe un po’ di sana monotonia. E non solo sul piano del contenuto e della riflessione intorno a cui viene strutturato l’intero episodio, ma anche dal punto di vista visivo. 

In ogni occasione, assistiamo ad una trovata che sfrutta un componente tipico del medium fumetto e ne porta al massimo le potenzialità. Come in A passeggio per Roma, che è forse la storia a bivi perfetta (altro che Bandersnatch); oppure Il colore giallo che narra l’intera vicenda sfruttando il punto di vista di un colore; L’uomo orizzontale che utilizza le sfumature disturbanti delle vignette verticali; o lo stupefacente Una settimana come tante che sfrutta la rigidità della gabbia bonelliana per dare un senso di ripetitività opprimente. Ho citato alcuni numeri dove questa ricerca della forma viene esaltata, ma questo discorso andrebbe fatto per tutti, dove c’è sempre qualcosa da sottolineare, che sia un magistrale montaggio analogico, oppure movimenti e inquadrature che scompongono il tempo della lettura attraverso lo spazio.

Alessandro Bilotta gestisce con un talento raro tutte le peculiarità del fumetto e scopre davvero strade nuove, realizzando un po’ quello si augurano Scott McCloud e Nick Sousanis quando parlano di “fumetto ancora tutto da inventare” e di “nuove formule visive da coniare“. Il risultato è che ogni albo di Mercurio Loi è un albo unico. Il canone Bonelli, che dal 1948 vuole offrire ogni mese un’avventura degna di essere letta a prescindere da tutto, raggiunge così il suo apice creativo e filosofico.

Mercurio Loi e la Bonelli: non smettere mai di camminare

Un lavoro straordinario sui dettagli, sul non detto, sia per quanto riguarda la qualità della scrittura, del disegno e specialmente sul colore, che in Mercurio Loi non è mai un mero riempitivo ma aggiunge davvero un senso alla lettura. E questo, per forza di cose, vuol dire rivolgersi ad un pubblico molto più smaliziato del solito. Alessandro Bilotta con la sua creazione in ogni vignetta chiede al lettore uno sforzo ulteriore, consapevole che poi lo ripagherà con gli interessi.

Ne rispetta l’intelligenza e lo esorta ad un usarla, non cerca di offrirgli lo svago di mezz’ora buono per passare il viaggio in treno o per rilassarsi prima di andare a dormire. Mercurio Loi vuole stimolare l’acume del lettore. Cosa rara, in tempi dove il fanservice dilaga e dove gli autori sembrano rivolgersi all’ombelico del pubblico invece che al loro cervello.

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La sensazione è che la Bonelli abbia voluto spendere il meglio che può offrire, sia in termini qualitativi che d’investimento, in questa serie mettendo in cantiere qualcosa di profondamente diverso.  Non è andata bene, visto che chiude dopo 16 numeri e un repentino passaggio al bimestrale, nonostante la testata abbia praticamente vinto tutti i premi che poteva vincere.

Non importa, non sempre si riesce ad azzeccarla, specialmente in questo periodo difficile per l’editoria. Non importa, anche se forse l’edicola non era il canale migliore per un prodotto di una simile qualità e se molti prevedevano (e in alcuni casi auspicavano) il suo fallimento. Non importa, perché quello che un editore deve fare è rischiare. E se non lo fa uno grande e importante come la Bonelli, chi lo fa? Altrimenti, tanto vale produrre sempre e soltanto Tex e Dylan Dog all’infinito. Altrimenti, cos’è che differenzia l’editoria da un settore qualsiasi?

Congediamoci con una citazione che sarebbe piaciuta al nostro Mercurio Loi: Sapere Aude, “non avere paura di servirti della tua intelligenza”. Lettori, non abbiate paura di camminare senza meta. Editori, non abbiate paura di osare.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!