De(i)jà –vu

Grazie a un codice ricevuto dallo sviluppatore, ho avuto possibilità di provare le prime due ore di gioco di quello che il team di sviluppo un mix tra visual novel, RPG, tattico a turni e gioco di carte: Ash of God: Redemption. Qualcosa mi ha turbato però, uno spiacevole senso di déjà-vu che mi preso in momenti diversi, per motivi diversi, ma che riportava sempre alla mente The Banner Saga, lo strategico di Stoic del 2014. Lo stile grafico, il sistema di combattimento su scacchiera nel quale si può decidere se colpire direttamente i punti vita o meno, il gruppo in fuga a cui si aggiungono membri, l’incombenza della morte e l’importanza di compiere scelte definitive, tutto sembrava volermi ricordare il lavoro di Stoic. A queste scelte strutturali “già viste”, si sommano motivi di dejà-vu più tangibili: i menu, lo stile estetico di questi ma anche dei personaggi, l’utilizzo del colore, veramente troppe cose sembrano riprese pedissequamente da The Banner Saga. Come già detto ho potuto affrontare solo le prime due ore del gioco, e vi invito per chiarezza a prendere queste righe per quello che sono: le prime impressioni su un prodotto incompleto, che soprattutto per la tipologia di gioco a cui appartiene è impossibile che mostri il suo potenziale in così poco tempo. Quindi, se probabilmente (sicuramente, data l’uscita prossima del gioco), il senso di già visto di molti elementi rimarrà tale, non è detto che Ash of God non possa trovare una sua identità propria, distinguendosi a livello narrativo e rivelandosi la bella sorpresa che, da amante del genere, spero sia.

Un’antica minaccia sta per sorgere, ancora. Secoli fa i Reapers hanno decimato la popolazioe, e sono stati fermati dal sacrificio di 12 immortali. La minaccia sembra però sul punto di tornare, e Hopper, uno dei sopravvissuti alla guerra di 700 anni fa, vorrebbe cercare di anticipare la tragedia, sentendosi in qualche modo colpevole di non essere morto secoli fa. La storia si sposta poi su Thorn, protagonista della seconda storyline del gioco (su tre totali), intento a trovare un regalo per la moglie assieme alla figlia. Qualcosa si muove però, e il paese viene attaccato da misteriose creature sovrumane (i Reapers appunto). Thorn cercherà di andare dalla moglie, che troverà morta. Così metterà su una spedizione, abbandonando il villaggio con i sopravvissuti.

Vi ho raccontato qui semplicemente quello che vediamo nei primi capitoli del gioco, ma sotto sembra esserci molto altro di non detto. Dagli scambi di battute emerge un mondo che non conosciamo, che potenzialmente potrebbe schiudersi per rivelare una lore interessante e originale. Si parla sempre di sensazioni a caldo, ma avete presente quando leggete qualcosa e percepite diversi rimandi a cose che non capite, che non riuscite ad afferrare perché non vi è ancora stato spiegato tutto, provando il desiderio di andare oltre e di scavare per scoprire un mondo nuovo? Questo è quello che mi è successo in questi primi momenti di gioco: la voglia di capire cosa sia capitato, e cosa succederà, sentendo la minaccia imminente come una nuvola scura. La voglia di “esplorare” era oltretutto corroborata da un’ottima scrittura, sia in italiano che in inglese, e dalla direzione artistica del titolo, di altissimo livello nonostante troppo simile nel tratto e nelle atmosfere al già citato The Banner Saga.

Il gioco è interamente realizzato a mano, in modo brillante, con linee pulite riempite da colori pieni. Stesso discorso vale per le ambientazioni, sia in battaglia che durante i dialoghi. Sembra sempre di assistere alla versione “adulta” di un’opera Disney. Anche le sequenze a cartone animato mi sono piaciute molto, peccato solo per alcuni dettagli in CGI che “staccano” troppo rispetto al resto, realizzato in modo tradizionale. Sempre rimanendo sulle animazioni, in battaglia vediamo ogni personaggio muoversi piacevolmente e fluidamente anche quando non chiamato in causa, mentre durante i dialoghi piccoli elementi dell’abbigliamento si muovono, dando maggiore dinamicità alle scene, altrimenti un po’ povere di regia. Data la lunghezza dei suddetti momenti, e l’importanza accordata dagli sviluppatori all’aspetto narrativo (tanto da definire il gioco visual novel, forse un po’ forzatamente), la bellezza estetica della messa in scena non è da sottovalutare.

Vediamo ora un po’ il gameplay di Ash of Gods, che si divide ovviamente in più parti data la sua natura ibrida. Per quello che abbiamo potuto vedere, il gioco si divide principalmente tra la parte “novel” e i combattimenti. Partiamo dai secondi: si tratta di un sistema a turni su scacchiera piuttosto canonico nelle sue basi, dove ogni personaggio si muove a seconda della sua velocità. La peculiarità, ripresa da The Banner Saga, è nella possibilità di colpire sia l’energia che i punti vita degli avversari. Danneggiare l’energia, necessaria anche per utilizzare le abilità, indebolisce il nemico e da un bonus, quando esaurita, agli attacchi agli HP. D’altra parte gli HP servono anch’essi ad utilizzare le abilità più forti. Il risultato è un complesso e apprezzabile sistema di scelte strategiche, in cui ogni decisione ha un peso enorme, potendo, potenzialmente, essere decisiva della vittoria o della sconfitta. A questo si sommano le carte da gioco, che vengono pescate a inizio partita, delle quali non vi parlerò perché la prova è stata troppo breve e non mi ha dato la possibilità di avere una qualche prospettiva sul peso che potranno avere nell’economia del combattimento.

L’altra parte invece, quella che ho definito novel, è a sua volta simile ai momenti narrativi di The Banner Saga: schermate fisse con indicatori con cui interagire per fare avanzare la storia. In alcuni frangenti ho notato la possibilità di rischiare, inviando dei comprimari a svolgere dei compiti potenzialmente pericolosi e quindi di dubbia riuscita. Ad esempio, era possibile scegliere chi far arrampicare su una torre, e probabilmente dando il compito ad un personaggio poco agile questo sarebbe caduto facendo una brutta fine. I dialoghi ovviamente sono a risposta multipla, con scelte di peso in grado di fare danni se non accuratamente ponderate. Infine, la mappa del mondo permette di decidere in che direzione muoversi, o se accamparsi per poter gestire i personaggi e riposare. Non vi so dire granché di questi aspetti, perché nella versione provata la mappa del mondo aveva i testi in russo, e il poco giocato non mi ha permesso di capire come funziona l’evoluzione dei personaggi.

Un giudizio a caldo? Sicuramente c’è del potenziale, tra la buona scrittura e un sistema di combattimento potenzialmente complesso e appagante. Il fardello di The Banner Saga rimarrà dov’è quasi sicuramente, ma questo potrebbe non impedire al gioco di trovare la propria dimensione e identità. L’uscita è vicina, si parla di marzo, quindi non posso che invitarvi a rimanere sintonizzati per scoprire, in fase di recensione, se si tratta di un tattico da giocare assolutamente o di un titolo che voleva solo cavalcare il successo del titolo Stoic. O qualcosa nel mezzo, perché no.

 

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.