Dopo essersi perso nel buio della Duat, Assassin’s Creed è finalmente pronto ad ascendere alla gloria del campo dei giunchi.

Assassin’s Creed Origins mi ha messo hype. Lo ammetto senza mezze misure. Sono sempre stato un fan della serie Ubisoft, e con il tempo ne sono diventato forse anche uno dei suoi maggiori detrattori. Un gameplay incapace di rinnovarsi, un numero francamente esagerato di uscite ed una certa mollezza narrativa hanno reso una serie a cui mi ero appassionato nulla più che uno scialbo spettro del suo più glorioso passato. Con Unity la mia voglia di giocare la serie era praticamente morta, e complice una serie infinita di passi falsi avevo archiviato AC in un cassetto, conscio che mai più si sarebbe tornate ai fasti di Altair o Ezio. Ma poi arriva Origins, e già ben prima del suo annuncio (avvenuto all’ultimo E3) ho cominciato a sperare di nuovo. Ubisoft ha rallentato un po’ la sua marcia di uscite e, complice la volontà di dare ascolto ai fan – era ora per inciso – si è presa del tempo per rimettere in sesto la serie. Origins arriva dunque carico di aspettative, ma anche di novità, tali che dal mio punto di vista è quasi del tutto imparagonabile con il passato di Assassin’s Creed. Va considerato un nuovo inizio, anzi, un inizio è basta. Quasi fosse un brand del tutto nuovo di cui, a questo punto, questo gioco è solo il primo capitolo. Il mio hype non è venuto meno, la mia voglia di giocare è stata altissima e, posso dirvelo subito, per fortuna l’attesa non è stata tradita.

“Perché piangi, o Asclepio? Di mali ancora più dolorosi di questi dovrà fare esperienza l’Egitto, e di ancor peggiori sciagure esso sarà stipato. La terra che un tempo era santa, amantissima di dio, la terra che era l’unica in cui, per merito della sua devozione, gli dèi abitavano, la terra maestra di santità e di fede, sarà un esempio di totale incredulità. Nella loro pazzia, le genti di quel tempo non troveranno nel mondo niente che meriti meraviglia o adorazione.”

(Ermete Trismegisto)

Ambientato intorno al 40 a.C., Assassin’s Creed: Origins fa il salto cronologico più lungo dell’intera serie, portandoci praticamente alle origini della Confraternita, negli ultimi giorni dell’Egitto Tolemaico dove Tolomeo VI e Cleopatra si combattono per il trono del faraone, Contendendosi come possono il supporto di Roma che, proprio in quegli anni, viveva ancora sotto l’egida del Primo Triunvirato da cui poi, come saprete, ne verrà fuori un rinvigorito e quanto mai influente Giulio Cesare. La storia è quella di Bayek di Siwa, un Medjay, ovvero un guerriero la cui vita è stata devota all’Egitto ed alla difesa del suo popolo e del suo Faraone. Bayek, di umili origini e dall’animo particolarmente nobile, si troverà però, suo malgrado, vittima di una macchinazione oscura. Un gruppo di uomini mascherati, l’Ordine, si farà infatti artefice di una serie di eventi che sconvolgeranno la vita del Medjay e che lo obbligheranno a girovagare per buona parte della sua terra, in cerca di aiuto e soprattutto di vendetta. Da qui un viaggio che durerà oltre un quinquennio ed in cui, come da tradizione per la serie, ci imbatteremo in diversi personaggi dalla grande importanza storica, taluni ben noti, altre forse un po’ meno ma parimenti affascinanti. Nel presente, intanto, abbandoneremo finalmente le vesti dell’anonimo impiegato Abstergo (aspetto che, per altro, proprio noi avevamo criticato aspramente nei capitoli precedenti), ridando una qualche forma di dignità e continuità ai racconti della Confraternita dei giorni nostri.

Dire altro, purtroppo, è impossibile. La trama di Origins è infatti il suo punto più debole, tanto è rarefatta nel corso delle circa 40 ore che occorrono per raggiungere il finale. È chiara qui la volontà di Ubisoft di ridare una dimensione al racconto, ma l’incipt è lento, e se la trama del passato ci metterà un po’ a decollare (un bel po’ in realtà affinché acquisti un minimo di spessore), quella nel presente non lo farà praticamente mai, restando un aggancio sporadico con quelli che sono eventi che ancora devono essere scritti. Avevamo lasciato la Abstergo alle prese con la Sindone (che nel passato era stata scoperta di gemelli Frye) e con la possibilità che questa aiutasse nel creare in laboratorio nientemeno che un Precursore, e sarebbe stato quanto mai interessante vederne i risvolti. Origins invece mette tutto ciò da parte, riconsegnandoci semplicemente un nuovo personaggio il cui imprinting, a nostro giudizio, gli permetterà di sostituire nelle vicende moderne il mai troppo compianto Desmond Miles. Un aggancio narrativo insomma, che in virtù di un cambio di registro così radicale poteva essere approfondito quel tanto in più da rendere questo Orgins, un punto di inizio ideale come lo era stato il mai troppo amato secondo capitolo. Il gioco, invece, come per le tre incarnazioni precedenti, sceglie di affidare tutto il suo carisma al racconto del passato concentrandosi, come intuibile dal titolo, sugli eventi che portarono alla creazione della Confraternita. Un appiglio certamente interessante, che però zoppica in virtù dei problemi di cui l’intero racconto soffre. Frammentarietà, poca scioltezza, l’incapacità di unire adeguatamente l’animo open world alla narrazione. Ci prova pure Origins a fare bene, costellando il gioco di missioni secondarie che aiutino il giocatore a fare chiarezza su quanto sta succedendo nel mondo, ma in quelle trame ci si inciampa troppo tardi, praticamente quasi alla fine dei giochi, e tutto quel che resta sono riferimenti da incastrare autonomamente, qualche scena messa lì giusto nel finale e poca altra roba. Un peccato, perché per quanto riguarda Bayek, il suo è un cammino tormentato e crudele con cui, per altro, non si fatica ad empatizzare. Laddove in passato Ubisoft stessa aveva cercato di ricreare “l’effetto Ezio Auditore” per mezzo di personaggi sempre più orientati alla guasconeria, con Bayek forse ritrova per la prima volta gli aspetti di Ezio che più ne conclamarono il successo: fragilità, umanità, uno scopo semplice ma profondo come la vendetta, e fondamentalmente una profonda umanità.

A fare da sfondo alle vicende di Bayek c’è poi l’Egitto, forse ad oggi l’ambientazione meglio contestualizzata per quanto riguarda la serie. Occhio, non parliamo della mera realizzazione estetica, che da sempre è uno dei tratti distintivi di Assassin’s Creed, tale da averci regalato negli anni alcuni dei più affascinanti e ben costruiti viaggi nel passato. Qui il discorso è diverso, perché l’Egitto, da Alessandria al Deserto Nero, è protagonista centrale delle vicende. La sua costruzione politica, i suoi alterchi di potere, la sua profonda divisione tra il lascito faraonico, l’influenza ellenica e la bramosia romana sono al centro degli eventi come non mai. Il racconto di Origins è dunque un racconto politico, di potere, che vede gli uomini come marionette di una macchinazione oligarchica e più grande, che inevitabilmente finirà per frammentare, e finanche distruggere, l’antico regno Tolemaico. In questo senso un plauso al lavoro di Ubisoft che, con abilità, ha saputo donare ad una mappa vastissima (e in gran parte desertica e montuosa) una caratterizzazione estetica e sociale di altissimo spessore. Gironzolare per l’Egitto, alla scoperta di oasi o di segreti, perdersi nel deserto vittime di miraggi (per altro molti dei quali con un gusto per un sottesto religioso decisamente calzante), o visitare antiche piramidi, o più moderni templi dedicati a culti ibridi è, in ultima istanza, bellissimo e appagante. Vi ritroverete con una voglia di esplorare che raramente dà tanto gusto, tanto che proprio in essa risiede quella voglia di continuare a giocare, ben oltre il finale, che esula da ogni velleità trofeistica e risiede, più onestamente, tra fascino e ammirazione per il lavoro di ricostruzione storica di cui Ubisoft, senza mezze misure, è ormai maestra.

Ma come funziona il viaggio di Bayek? Diciamo che funziona benone, prendendo buoni spunti dai più recenti campioni del genere RPG open world, con una evidente attenzione all’ormai copiatissimo The Witcher 3, Assassin’s Creed: Origins rinnega quasi del tutto le meccaniche a cui è stato ancorato sin dalle origini per cambiare genere, mantenendo giusto alcune delle velleità che contraddistinguono il brand in un mix che, tutto sommato, funziona molto bene. Il titolo ha ora una solida ossatura ruolistica, cosa che aveva tentato in passato, specie con Syndicate, ma che restava mal integrata con quella che poi era l’esperienza finale. Ubisoft ha allora tenuto l’idea di rendere il gioco più simile ad un gioco di ruolo, e l’ha espansa, rendendo di fatto AC un vero e proprio RPG, con tanto di livelli, skill tree di tutto rispetto, e tante, ma tante quest da completare in modo del tutto opzionale. Lo stesso scenario di gioco segue i canoni di un qualunque RPG open world, contando quindi su di una mappa molto estesa e completamente esplorabile, divisa per livelli che identificano la pericolosità di nemici e animali che a abitano. Un approccio simile, come detto, era stato tentato, quel che non c’era era un sistema di gioco che, ponderatamente, uniformasse il tutto. Syndicate, per dire, pure aveva aree a livelli, ma lo strapotere della lama celata e gli innumerevoli gadget rendevano le differenze di livello più un orpello che un problema concreto. Ecco Bayek non ha la vita facile come i gemelli Frye e, per dire, scorrazzare per un’area il cui livello è più alto anche solo di un paio di tacche rende la vita difficile, spesso impossibile. Il bello è che il gioco non vi vieta comunque di andare in giro e, voglia permettendo, potreste gironzolare per tutto il mondo anche da subito, correndo ovviamente ogni rischio del caso.

Questa particolare divisione rende l’esplorazione molto piacevole e ponderata. L’alto numero di missioni e la necessità di farmare fanno sì che le aree da visitare (e ve lo premettiamo: la trama principale non vi obbligherà a vederle tutte) non siano mai zone di passaggio tra una fase e l’altra del viaggio, ma dei luoghi in cui stazionare un minimo e divertirsi un po’. Una differenza notevole rispetto agli ultimi capitoli del gioco, che necessita però ancora di alcune correzioni per raggiungere una certa perfezione. Per dire: la trama principale, articolata in diverse missioni in giro per l’Egitto, richiede spesso dei livelli molto alti rispetto al punto in cui la missione viene proposta al giocatore. Il che è particolarmente evidente a chi deciderà di concentrarsi innanzitutto sulla storia, e in minor misura sulle quest secondarie. Il dislivello è spesso tale da obbligare il giocatore al farming, in quella che è una curva un po’ troppo sbilanciata verso l’altro. Manca, insomma, una certa organicità, che potesse permettere una certa naturalezza nel passaggio da una parte della trama all’altra il che, visto un racconto non proprio esaltante per buona parte del gioco, significa a volte mettere da parte così spesso la trama principale da restarne ancor meno interessati. Sono piccolezze, sia chiaro, ma visto il corposo cambio di registro dal vecchio AC al nuovo, è plausibile che qualcuno ne resti scoraggiato. Assassin’s Creed: Origins, dunque, praticamente impone in diversi frangenti di dedicarsi ad altro onde poter livellare. Un qualcosa che generalmente i titoli open world incoraggiano, e mai impongono, è qui una necessità. Per fortuna si tratta di poco più che un vezzo di game design che, lo ribadiamo, non influisce poi troppo sul gioco in sé che è e resta un’avventura esplorativa godibile e divertente, per certi versi anche molto impegnativa, specie per i neofiti del nuovo genere in cui si va ad incastrare.

Se dal punto di vista del mondo di gioco siamo quindi dinanzi ad un enorme passo in avanti, è bello constare che di pari passo si muove il sistema di combattimento, finalmente libero dalle insoddisfazioni che su di esso gravano ormai da oltre 10 anni. Origins abbandona tutte le semplificazioni dei precedenti episodi, e ispirandosi a titoli più squisitamente “soulslike” ci offre un sistema del tutto privo di automatismi in cui, finalmente, occorre combattere sul serio. A fare la differenza è la posizione che la lama celata ha nell’economia del gioco. Questa, infatti, è demandata a specifiche azioni contestuali relative al solo assassinio stealth. In pratica non è più possibile sfoderarla quando si vuole, ma la si può usare solo per le uccisioni silenziose, con in più la possibilità che non uccida neanche sul colpo se non adeguatamente potenziata. Bayek si affiderà quindi ad altro, e per la precisione ad un ampio set di armi bianche che, in pieno stile RPG, potranno essere ad una o due mani, doppie, lunghe o in accoppiata con uno scudo. Seguendo, come detto, il cammino di titoli come Dark Souls, il gioco ora si concentra molto di più sul movimento sul campo e l’attacco diretto, con al giocatore il compito di non farsi accerchiare. I nemici, finalmente, non si faranno problemi ad attaccarvi tutti assieme come possono, sicché senza le dovute abilità, già uno scontro 1 vs 2 può essere mortale. Avremo quindi: Attacco leggero e pesante assegnato ai grilletti destri (rispettivamente R1 e R2), mentre la parata sarà assegnata al tasto L1, con tanto di possibilità di parry (cerchio) qualora abbiate l’apposita abilità. Al tasto quadrato è demandata la schivata, mentre premendo L3 potrete bloccare il puntamento su di un singolo nemico, spostando la vostra attenzione sul nemico più vicino con lo stick destro. Infine una apposita barra di adrenalina vi indicherà quando poter sfoggiare un colpo particolarmente potente, detto Ultra, attivabile con la pressione combinata dei dorsali destri e capace di infliggere danni molto seri se non la istant kill. Il feeling a la Dark Souls, insomma, c’è tutto, ed il sistema di combattimento è responsivo ed appagante, tanto che toccherà un po’ di pratica per padroneggiarlo al meglio e scoprirne ogni segreto. La differenza principale rispetto a titoli più stoici, come per l’appunto la serie Souls, sta solo nella mancanza di stamina. Il che rende tutto più abbordabile e meno frustrante, mantenendo comunque un buon profilo strategico allo scontro che, specie in caso di disparità di livello col nemico, potrebbe farsi davvero ostico, se non addirittura impossibile. Siamo davanti ad un’evoluzione concreta rispetto al passato tanto che, senza mezze misure, è forse il miglior sistema di combattimento della serie, tanto per responsività quanto per profondità. Margini di miglioramento, comunque, ce ne sono. Il lock on ad esempio è un po’ caotico, la Ultra spesso punta a vuoto e la telecamera non sempre riesce a seguire l’azione per bene, specie per la sua incapacità di inquadrare il combattimento in modo decente in zone strette o in prossimità di muri che sovrastano il giocatore. Ma sono dettagli davvero di poco se si considera il salto di qualità che la serie ha compiuto e quello che è il mood generale dell’esperienza di gioco, sempre divertente e appagante. A voler trovare il pelo nell’uovo va detto che il gioco difficilmente riesce a contrastarci verso l’arrivo dell’endgame, nella misura in cui al livello 35 si è ormai così pratici e livellati da risultare fortissimi, ma questo è un fattore estremamente personale.

Per quanto riguarda la restante esperienza di gioco. Origins risponde ad uno dei nostri più grandi dubbi, ossia quello relativo all’esplorazione verticale. Sapevamo per certo che non saremmo rimasti troppo delusi dal nuovo animo open world, poiché Ubisoft, già con gli ultimi scorci della vita di Ezio, si era mostrata sempre più a suo agio con l’esplorazione orizzontale, offrendo mondi di gioco sempre più ampi e architettati. Il dubbio era se un gioco palesemente open world avrebbe in qualche modo stemperato la componente “parkour” da sempre un funzionalissimo vezzo della saga. Orbene in Origins il parkour c’è, semplicemente ha un senso diverso rispetto al passato. Mentre prima salire sui tetti era qualcosa demandato per lo più alla fuga o al pedinamento, in Origins è parte integrante di un’esplorazione vera e “sincera”, che dà il meglio di sé non più all’interno degli agglomerati urbani (per altro ci sono città come Alessandria, Giza o Cirene che ancora danno il meglio di sé in questo senso) ma in quelli rurali, tra montagne, rovine, caverne e quant’altro contribuisca a costruire lo scenario dell’antico regno egizio. Il parokour quindi c’è, funziona, e segue il sistema di aggancio simile a quello usato da Unity in poi, con il tatso X dedito alla scalata, e Cerchio alla discesa. La differenza è che non esiste più la corsa acrobatica in quanto tale, poiché a Bayek basta semplicemente correre (quindi con la leva analogica) ed associare al movimento uno dei due tasti in base alla circostanza.

Se invece voleste optare per un mezzo di trasporto (e opterete vista la grandezza della mappa), allora sappiate che Ubisoft ha confezionato un sistema di guida di cavalli e varie che fa ampiamente il suo dovere. Riprendendo, anche stavolta, da The Witcher 3, i quadrupedi egizi si controllano con estremo piacere, complice l’eredità di un sistema di guida automatico attivabile nei pressi di strade battute. Certo può capitare che il cavallo si incastri in qualche muro, o che opti, dovendo seguire le strade segnate, per percorsi inutilmente lunghi, ma in linea di massima il sistema funziona bene, e basta una correzione “manuale” per arrivare velocemente dove si vuole, a patto ovviamente che non siano montagne o irti colli, che questo non è mica The Elder Scrolls.

Per quel che concerne il punto di vista tecnico Origins regala alcuni colpi d’occhio che possono rivaleggiare, senza mezze misure, con gli scorci fantasy di The Witcher, o con la “mole” di dettagli offerta dal blasonatissimo Horizon: Zero Dawn di Guerrilla. Ubisoft è stata capace di costruire un mondo di gioco vivace, avvincente, complice il tema egiziano così poco sfruttato dai videogame (di ieri e di oggi). La bellezza del regno dei faraoni è, insomma, notevole, e crea alterchi tra la più spietata natura desertica dei paesaggi mediorientali alla pomposa e ricchissima bellezza dell’architettura greca. Certo non mancano magagne, per altro facili da trovare se si presta attenzione alle texture, non sempre all’altezza delle aspettative se ammirate da vicino, come non mancano problemi generali di pulizia per quel che riguarda le animazioni. Non segnaliamo bug incresciosi o problemi notevoli, ma le animazioni semplicemente non brillano ed anzi, riescono anche a far zoppicare i già imbarazzanti dialoghi che regolano l’andazzo della trama del gioco. Origins soffre purtroppo di un problema abbastanza comune negli open world: quello cioè relativo alla povertà degli NPC. Se la serie in sé non ha mai brillato da questo punto di vista, la virata open world ha forse persino peggiorato la situazione. Villici e contadini sono il fanalino di coda della modellazione poligonale, così come gran parte dei nemici che, salvo le bestie e le armate romane, non brillano mai per bellezza e resa visiva. In generale, poi, tutti i personaggi, Bayek compreso, hanno animazioni inerenti ai dialoghi ai limiti del ridicolo il che, purtroppo, peggiora i dialoghi stessi, spesso scialbi e privi di enfasi. Non è un problema di doppiaggio (abbiamo, nel dubbio, provato il gioco anche in lingua originale), ma proprio di povertà dei testi. I discorsi sembrano frettolosi, raffazionati, privi di mordente e solo nelle battute finali riescono, infine, a convincere un po’. A ciò si aggiunge poi la legnosità di ogni attore digitale che, salvo nei momenti scriptati in cui i personaggi effettivamente recitano, restano imbambolati come statue greche e quasi del tutto privi di espressività. Che si arrabbino, piangano, o impazziscano del tutto, i mandatari delle quest secondarie, solo per fare un esempio, resteranno imbambolati davanti a voi senza muovere un muscolo o poco più il che, nel giro di 30 e più ore, finisce per essere ridicolo. Molto meglio l’accompagnamento musicale e, in generale, ogni aspetto sonoro del gioco. Riprendendo alcuni dei temi classici della serie, Origins crea dei mix dal sound contestualizzato, utilizzando strumenti che, ad orecchio, facilmente si associa al contesto narrativo del gioco. Anche la presenza delle lingue locali (arabo, greco e latino) divisi nei vari distretti del gioco rende il tutto più realistico e affascinante, così come conferisce una certa immersione la campionatura di tanti, ma tanti suoni ambientali e contestuali. Considerando ancora la tecnica, segnaliamo un’intelligenza artificiale un po’ fiacca che, se si escludono le situazioni di scontro aperto, tende a farsi ingannare piuttosto facilmente. L’IA, in generale, non si comporta in modo egregio, tanto per gli esseri umani (che non di rado compiono azioni senza senso) tanto per gli animali, molti dai quali vittime di incastri tra animazioni e poligoni nel tentativo di attaccarci in posizioni impossibili. Pochezze che forse contano poco se si considera Origins come un primo capitolo vero e proprio, e che speriamo siano presto dimenticate sulla lunga strada che, ci auguriamo, il brand possa percorrere da oggi in poi.

Verdetto

Assassin’s Creed: Origins è un titolo nuovo in tutti i sensi. È un capitolo che taglia gran parte dei ponti con il passato per riconfigurarsi in modo definitivo, e più ponderato, verso il futuro. È, per molti aspetti, quel momento che aspettavamo da anni, tale da far tornare attesa per il brand di Assassin’s Creed. Prima di essere uno dei migliori capitoli della saga (di cui, per inciso, entra di forza nella top 3) è innanzitutto un buon gioco ed un ottimo open world. Considerandolo come una vera e propria prima uscita di una serie nuova soffre di tutti i difetti e delle leggerezze delle opere prime, e nonostante ciò riesce comunque a stabilirsi come un titolo divertente e completo, ottimo tanto per gli aficionados quanto per i neofiti. Considerandolo invece come un AC è doveroso segnalare come manchi dello smalto narrativo che ci si aspetterebbe dalla serie, specie considerato che una buona storia ed una buona narrazione avrebbero potuto fargli guadagnare almeno mezzo punto, rendendolo un vero e proprio must have. Così com’è è evidente che Ubisoft non si sia voluta troppo sbilanciare con i collegamenti all’immensa lore della serie, forse per invogliare all’acquisto ai newcomer, forse semplicemente per tagliare realmente i ponti con il passato, prendendosi così il tempo per riordinare le idee. Come sia sia, Origins è un ottimo gioco che rasserena il cielo oscuro di una serie tanto amata che molti di noi, presi da una certa stanchezza, avevamo considerato morta e mummificata. Ma i faraoni, si sa, sono destinati a risorgere.