D.I.V.I.S.I.

Capitain America: Civil War è arrivato nei nostri cinema. Voi dovrete ancora aspettare ma io ho avuto la fortuna di vederlo in anteprima e quello che mi sono trovato davanti è un buon film, un bel film. Un film solido, scritto in modo serrato ed intrigante, e con dei risvolti che non segnano semplicemente la continuity cinematografica Marvel ma la squarciano, senza prendersi la briga di ricomporla ad uso e consumo dell’happy ending. Quindi leviamoci il dente: Civil War è un bellissimo film, ed è forse tra i migliori della serie di pellicole inaugurata con la fine della Fase 1. I motivi sono tanti, e cercheremo di esaminarli tutti rincuorandovi, qui e ora, che come nel nostro stile questa recensione NON CONTERRA’ SPOILER, così potrete leggervela tutti senza troppi pensieri.

Il castigo della guerra

Cosa succede alla fine di una guerra, quando la polvere si posa al suolo e le voci smettono di gridare? Gli eserciti, tra vincitori e vinti si ritirano, ma lì sul campo, dove è ancora evidente il sangue, si contano le vittime, si calcolano i danni, si piangono le persone che non ce l’hanno fatta. Civil War comincia esattamente come ci si aspetterebbe, o quanto meno, come si aspetterebbero quelli che avevano avuto occasione di leggere l’originale serie fumettistica, che uno scossone drastico aveva portato nel mondo del fumetto supereroistico moderno. I Supereroi come super minacce non sono una novità, ma super eroi che si responsabilizzano, che vengono “registrati” e che finiscono per divenire l’essenza del vigilantismo, erano tematiche che negli ultimi anni avevano trovato poco spazio nel fumetto americano, o per lo meno in quello di casa Marvel. E così la vittoria su Ultron non è stata una vera vittoria, ma una tragedia che il mondo ha vissuto passivamente, ed il cui doloroso ricordo è ben chiaro a gran parte delle nazioni del pianeta. Si, i Vendicatori avevano vinto, ma quante vite si erano spezzate? Quante abitazioni distrutte? Innumerevoli, e così dopo l’ennesimo episodi di violenza che, pare, vede coinvolto addirittura il Soldato D’Inverno (scomparso ormai da un bel po’, e misteriosamente tornato in scena) il mondo chiede, infine, che gli eroi si mettano da parte e che firmino un accordo che li metta sotto il diretto controllo di un numeroso gruppo di paesi che, proprio insieme a quegli eroi, scegli di aderire al “Trattato di Sokovia”, così simbolicamente chiamato in ricordo della strage avvenuta nel cuore dell’Europa.

“Non importa cosa dice la massa. Non importa se l’intero paese decide che qualcosa di sbagliato è giusto. Quando la massa o il mondo intero ti dicono di spostarti, il tuo compito è quello di piantarti come un albero accanto al fiume della verità e dire al mondo: no, spostati tu!”

La squadra non ci sta, comincia ad incrinarsi, poi si divide. Tony Stark, qui più uomo che macchina (e vittima di un’evidente solitudine) riconosce nel tentativo di controllo da parte del mondo un atto dovuto. Perché i Vendicatori, orfani ormai anche dello SHIELD, hanno superato la linea che confinava la loro giurisdizione e questo, a lungo andare, è riconosciuto da Stark come un problema che porterà il mondo, inevitabilmente, a combatterli con una soluzione drastica. Una situazione che Iron Man teme, e che pertanto vorrebbe evitare, perché sente più che mai sulle sue spalle il peso delle vittime, dei danni, dei disastri ai danni degli innocenti. Captain America invece, vede nella richiesta da parte del mondo un tentativo di oppressione, ma soprattutto un tentativo di controllo. Un controllo che metterebbe il potere dei Vendicatori nelle mani di persone che si fanno così mandatari (o mandanti) dell’aiuto che la squadra dovrebbe fornire a tutti, indistintamente, trasformando i supereroi in una squadra a servizio di un gruppo di persone che, come crede il Capitano, saranno sempre mosse da desideri e pulsioni che prescindono il bene comune. Due eroi, due filosofie, ma nessuna verità assoluta. Il diverbio diviene rottura, le parole lasciano spazio al litigio, i Vendicatori si dividono e scoppia così la Guerra Civile, mentre intanto un uomo, Zemo (qui ancora lungi dall’essere “Barone”) tesse le fila di un piano apparentemente fumoso, che va a ripescare nel passato dell’Hydra, ed in quello di Bucky, segreti a lungo taciuti e che, una volta rivelati, colpiranno come un maglio un rapporto che a quel punto sarà sottile e delicato come il vetro. E non basterà scudo, non servirà armatura, gli uomini cadranno… divisi, in pezzi.

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Da un grande potere, deriva una grande continuity

È molto difficile parlare di Civil War senza dire nulla di quella che è effettivamente la trama, perché nei 147 minuti di visione sullo schermo succede più o meno di tutto, ed il bello è che non un solo minuto di visione peserà o risulterà superfluo ed anzi, tutto il racconto è costruito con una certa perizia, risultando coeso, organico e comunque privo di problematiche così profonde o evidenti da farvi desiderare di sradicare il sedile del cinema. Questo perché c’è qualcosa che in casa Marvel non manca, e che è poi la grande lezione che DC (Warner) proprio non riesce a imparare. Per costruire qualcosa di solido, specialmente se di proporzioni gargantuesche, occorrono fondamenta. Basi solide che possano essere a servizio dei fan e che generino in esso non solo il piacere della visione, ma anche la continuità del racconto e, se ci si riesce, persino empatia. Queste basi non possono semplicemente essere andate a pescare nelle radici fumettistiche, secondo un canone che direbbe, in teoria: “deve funzionare perché il personaggio piace a tutti”, ma vanno costruite in sala, su schermo, e per mezzo di racconti che poi, solo con il tempo, possono trovare il loro perfetto incastro. Questo perché lo spettatore (a prescindere dalla sua cultura) parla un linguaggio diverso da quello fumettistico, ed è più o meno a suo agio con certi eroi sì, per mezzo della loro popolarità, ma è una popolarità che raramente ha una solida radice fumettistica e, in quanto tale, non può essere ragion unica del racconto cinematografico. Ecco, Marvel, con Civil War, dà una notevole prova di forza in tal senso, dimostrando di avere alle spalle dei suoi personaggi CINEMATOGRAFICI una costruzione solida che permette loro, infine, di funzionare in modo dignitoso sullo schermo, a prescindere da quanti siano e da che spazio abbiano su schermo. Si empatizza con i personaggi Marvel, e non perché essi siano migliori o più funzionali di quelli DC, ma semplicemente perché sono figli di una continuity che al cinema è stata costruita in quasi 15 anni di uscite. Non bastasse, Civil War è un film di scazzottate tra eroi, ma che fa tesoro degli errori e delle sbavature dei suoi predecessori e che si propone, su tutto, come un dignitosissimo adattamento fumettistico strizzando, più che in passato, un occhio (ma più di uno) al mondo del fumetto, ai suoi schemi narrativi, alle sue trovate e persino alle sue inquadrature.

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Il risultato è intrattenimento puro, divertente e serrato, con le tipiche cazzate in stile Marvel, che oggi più che mai si alterano però ad un racconto duro e senza la pretesa (al giornmo d’oggi spesso un po’ farlocca) di mettere tutto al suo posto. Detta in soldoni, Civil War aveva promesso di sconvolgere l’universo cinematografico Marvel e, di fatto, lo fa. Diamine, lo fa così bene che alla fine del film non vorrete praticamente fare altro che restare seduti e vederne ancora, sapere di più. Perché, ricordiamolo, avete alle spalle non solo il piacere di quello che avete appena visto, ma anche quel piacevole legame empatico che vi rende in qualche formula partecipi delle sfighe dei supereroi… di tutti, senza far distinzione tra beniamini e non.

Divisi noi cadiamo

Ma allora perché non chiamarlo “Avengers: Civil War”? Perché si è tenuto quel “Captain America”, perché volenti o nolenti questo è un film su Cap, un film dalle braccia larghe, che nel suo scossone allo status quo cambia in modo radicale la posizione di Captain America all’interno del Marvel CU, e nel farlo si trascina con sé un po’ di personaggi. Lo fa facendo scendere in campo un po’ tutti gli eroi visti sino ad ora al cinema e scegliendo di introdurre, proprio attraverso il film, anche due nuovi campioni: Spider-Man e Pantera Nera che sono, tra le altre cose, sia presentati in modo asciutto ma efficace, sia splendidamente realizzati. Intendiamoci, il costume di Spider-Man ancora non ci piace, ma l’atteggiamento del personaggio, le sue movenze, ed il suo ruolo nell’azione sono quanto di più vicino (in tutti i termini) ci sia tanto al personaggio fumettistico delle origini, sia alla sua originale controparte cinematografica. Anche Pantera – che tra le altre cose ha un ruolo non da poco nelle vicende e nella caccia a Bucky – è riportato su schermo in modo dignitosissimo, e sebbene sia un tantinello più corazzato che nella sua controparte fumettistica, tiene la scena in modo spettacolare, specialmente per mezzo dei combattimenti, il che se ci pensate è una bella sorpresa considerando un eroe che, almeno sui schermo, poteva risultare un po’ fuori posto. Combattimenti che francamente sono tra i migliori mai visti in ambito cinecomics, sia per resa che per spettacolarità che per effettiva complessità, e questo perché c’è una fisicità eccezionale in questo film, tale da rendere perfettamente l’idea di uno scontro tra campioni.

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La mia titubanza era che rispetto al numero di partecipanti che ci si aspetterebbe da una “guerra civile”, l’esiguo numero di eroi (12) fosse a malapena sufficiente a creare l’idea di una battaglia nello stile delle più esagerate royal rumble fumettistiche; e invece i fratelli Russo se la giocano divinamente, non solo grazie alla scelta di inquadrature che spesso trasudano della potenza delle migliori splash page americane, ma anche perché il film non sceglie di glissare i combattimenti (o di stemperarli) in virtù di trovate facilone di sceneggiatura, ma su essi invece si concentra quando deve, rendendo le battaglie veloci, serrate, violente e, negli ultimi istanti di pellicola, persino esasperate. Perché i Vendicatori si sono divisi, e non tutti lo hanno fatto in modo amichevole. La guerra ti cambia, e porta con sé vendetta, violenza, odio… tematiche che i precedenti film della serie avevano solo occasionalmente toccato, e che qui vengono approfondite, ma senza per forza esasperarne le tinte, senza essere per forza e volutamente dark. Perché la filosofia Marvel è la stessa che rese famoso Peter Parker, quello vero, nato dalla penna di Stan Lee e Steve Ditko. Quello che si prendeva in giro, che tirava pugni conditi da battute caustiche, ed a volte terribilmente fuori contesto, e che nonostante tutto sapeva poi essere terribilmente serio. La Marvel al cinema oggi è questo, e chi non riesce proprio a vedere oltre le battute o le strizzate d’occhio ai fan non è troppo serio per non capire, ma solo troppo sciocco per non comprendere come stiano davvero le cose. Perché non è questione di serietà ma di qualità, e non di carattere ma di competenza, e Civil War è un film valido, competente e maledettamente divertente.

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