Di ragazze che salvano il mondo non ce ne sono mai abbastanza.

In ogni media, negli ultimi anni, abbiamo assistito alla proliferazione di donne più o meno giovani alle prese con catastrofi, apocalissi, annullamenti dello spazio tempo e mostri della settimana, del mese, dell’anno. Possiamo parlare delle Paper Girls di Brian K. Vaughan e Cliff Chiang, di cui Bao Publishing ha appena pubblicato il quinto volume, delle ancelle di Margaret Atwood, delle tanto chiaccherate acchiappafantasmi guidate da Melissa McCarthy, delle Ragazze elettriche di Naomi Alderman, ma anche della rescue team messa in piedi da Kitty Pryde nella recente Caccia a Wolverine, che vede le donne di LoganJubilee, Psylocke, Rogue e Storm -alla ricerca dell’artigliato canadese per le strade di Madripoor.

Non c’è da stupirsi di questo trend, dal momento che l’egemonia maschile nel mondo dei videogiochi, dei fumetti, della narrativa speculativa, sta – seppur sempre troppo lentamente e ostacolata dalla numerosa schiera di minus habens reazionari della nerd culture – lasciando il passo a nuove generazioni di ragazze che giocano, leggono, fruiscono. Negli ultimi dieci anni, infatti, la percentuale di videogiocatrici è raddoppiata, il 40% degli autori di sci-fi sono di sesso femminile, così come il 60% dei lettori di narrativa speculativa. Queste, almeno, sono le percentuali riportate nel 2016 dalla scrittrice Kameron Hurley – appena arrivata nelle liberie italiane con il suo romanzo Il destino della legione – nella sua raccolta di saggi The Geek Feminist Revolution, ma la situazione in Italia sembra, spesso, ben meno florida.

Tutte le distopie sono uguali (ma alcune sono più uguali delle altre)

Invasi dalla pop culture anglofona, è ormai un riflesso automatico per il mondo dell’intrattenimento guardare a ovest in cerca di nuovi punti di riferimenti e nuove eroine, spendendo più tempo e parole nell’esaltare o criticare l’ultima eroina forte e indipendente imposta al pubblico che nella ricerca o il concepimento di modelli che si discostino da ciò che va di moda. E se c’è una cosa che non ha mai smesso di attirare l’attenzione del pubblico, dai tempi di Omero, è la predestinazione dell’eroe – o eroina – a compiere la propria missione. Ma cosa succede quando sostituiamo il libero arbitrio al destino, in una piccola distopia di campagna, in bilico tra atmosfera bucolica e nuove tecnologie?

Elisa Emiliani

L’esordiente Elisa Emiliani, con il suo Cenere – primo titolo dei 2019 della modenese Zona 42 – non si adagia sulla semplicistica visione dell’eroe come prescelto, ma nasconde nelle pagine del suo primo romanzo riflessioni sul libero arbitrio e sulla resistenza al sistema, senza mai trasformare le tre protagoniste in elette e cercando di trasmettere l’idea platonica della distopia, piuttosto che narrarne una tra le tante. Se da una parte, infatti, la reticenza dell’autrice nel descrivere la società in cui Ash, Anna, e la Reba si trovano a vivere e crescere rende il wordbuilding del romanzo quasi troppo sottile per sostenere l’impalcatura della trama, dall’altra è ben percepibile la missione dell’autrice di raccontare una storia che si concentri sulle idee e non sulle azioni. Ecco allora che il contesto, ridotto all’osso, ci presenta un’Italia comandata da un regime corporatista che usa tutti gli strumenti repressivi di una dittatura per mantenere il potere: censura, violenza, sospetto, divisione tra noi e gli altri; Elisa Emiliani descrive un tempo che sembra il passato ma è il futuro, in cui la realtà è così avvilente che ogni forma di fuga in uno spazio altro – che siano droghe, alcool o realtà virtuali – è preferibile alla vita vera.

Resisto ergo sum

In questo contesto le tre ragazze, simbolo esse stesse della società (abbiamo infatti la figlia di ribelli, la figlia di chi per quieto vivere si è lasciato inglobare dalla corporazione e la figlia di chi si muove all’interno del regime senza – sembra – porsi troppe domande o scrupoli sulla bontà della causa) cercano, come ogni adolescente in ogni angolo della terra da quando gli americani hanno inventato la parola teen-ager, di capire di quale sostanza sia composto il proprio Io e quale sia il momento giusto per le decisioni improvvise come baciare qualcuno per la prima volta, offrirsi volontario a un’interrogazione o appendersi a un noce. Ben distanti dalle eroine adolescenti a cui ci hanno abituato le produzioni high budget, Ash non procede dritta per la sua strada come una prescelta che sa di avere sulle spalle il peso di tutta la missione, ma si sofferma invece a riflettere sulle sue scelte e sul peso che queste avranno sulla vita delle sue amiche e della sua famiglia: che senso ha avere il libero arbitrio se poi decidiamo di non usarlo? si chiede la protagonista, poche pagine prima di aggiungere che una scelta poteva anche essere sbagliata, di conseguenza aveva valore la scelta in sé e per sé? Anche se stupida? Rischiosa?

Cenere

Ash troverà la risposta alle sue domande nel modo prepicipitoso che sempre accompagna periodi storici difficili, imbastendo con l’aiuto di Anna e la Reba un Gioco pericoloso in grado di illuminare il cammino di altri, come loro, che non ci stanno a farsi rovinare la vita dai corporatisti. Tra stringhe di codice e epistole politiche da decrittare, immerse in un’atmosfera che ricorda quella del gruppo di dissidenti di Little Brother, di Cory Doctorow, le ragazze lavorano per la comunità, non con lo scopo di salvare il mondo, ma con quello di diffondere informazioni e strumenti in grado di aiutare il mondo a salvarsi da solo. Il destino del nostro paese non è nelle mani del trio, e anzi, sembra che questo romanzo possa essere il preludio a qualcosa che ancora verrà, ma di cui in realtà non sentiamo il bisogno. Perché di storie di grandi battaglie è piena la letteratura, di dittature soverchiate da adolescenti ne abbiamo più che abbastanza sui nostri schermi, e anche se di ragazze che salvano il mondo non ce ne sono mai abbastanza, una volta tanto è piacevole incontrare delle ragazze che pensano, anziché agire spinte da qualche divino afflato di predeterminismo.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.