Se poesia vuol dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta
Umberto Eco

St. Paul, Minnesota, anno 1950. Siamo nel cuore della terra dei diecimila laghi, delle grandi distese di conifere e dal freddo pungente, sull’altra sponda del Mississipi. È lo stato più a nord dell’Unione dopo l’Alaska, l’emblema di quella regione chiamata Upper Midwest che riunisce l’Iowa, il Wisconsin e i due Dakota, il cuore rurale dell’America.

In una casa anonima, simile ad altre migliaia, in una strada qualunque, Charles Schulz è chino sul suo tavolo da disegno. Matita alla mano, continua a tracciare le linee dei personaggi sulla carta, senza nascondere un certo nervosismo. Da quando è tornato dalla guerra, nel 1945, ha spesso degli attacchi di ansia e depressione, anche per le cose più semplici. Ha visto l’Europa in fiamme, ha combattuto in Francia e in Austria come mitragliere, ha visto il campo di battaglia. Pensava di aver trovato un po’ di serenità, dopo quell’esperienza e la morte della madre, grazie alla cattedra di disegno all’Art Instruction School di Minneapolis. Un impiego stabile, dai ritmi sostenibili, che gli ha permesso di affinare la sua tecnica e di essere più efficace nelle consegne.

Ma ora non riesce a concentrarsi. È stato a New York, per parlare con la United Feature Syndacates, l’organizzazione che si occupa di gestire i fumetti a strisce nei giornali d’America. Dopo il successo di alcune sue strip, i Li’l Folks, al giornale locale di Saint Paul, Schulz aveva deciso di proporle ai pezzi grossi. L’aveva fatto per corrispondenza, poi era stato chiamato a Brooklyn per discuterne. Detto, fatto. Lui, figlio del Midwest, ha viaggiato fino a New York, la grande città. Il colloquio è stato un successo. La Syndacates è interessata e vuole partire per la fine dell’anno. Ma Schulz è ansioso. Non gli piace il nome che l’editore ha imposto per la pubblicazione. Lui, che amava il titolo Li’l Falks, è stato costretto a cedere. In fondo è la sua occasione, l’occasione di una vita. Ma non riesce a disegnare tranquillo. Non riesce proprio a toglierselo dalla testa. Peanuts. Noccioline. Che razza di nome.

Schulz

Leggenda vuole che sia andata proprio così. Leggenda vuole che Schulz, nel momento di giocarsi la sua chance per dare vita al sogno di fumettista, abbia dovuto ingoiare il rospo e accettare i diktat della potentissima United Feature Syndacates. Gli imposero infatti di cambiare formato, di rendere più morbide le forme dei suoi personaggi, fino ad allora un po’ grezzi e, specialmente, di cambiare titolo. Li’l Folks, letteralmente “piccola gente“, era il marchio con cui Schulz aveva presentato al mondo, in quel magico 1947 sulle pagine del St. Paul Pioneers Press, le versioni embrionali di Charlie Brown, Snoopy, Lucy e dei futuri Peanuts. Certo, erano ancora figure lontanissime dalle indimenticabili icone che sarebbero diventate in seguito, attraverso decenni di sperimentazioni ed evoluzioni narrative. Tuttavia il centro del progetto, la sua anima poetica, c’era già: mettere in scena dei bambini capaci di parlare agli adulti, che potessero replicarne in toto i comportamenti per mostrare la genuinità delle sfumature umane. Li’l Folks già lo spiegava chiaramente e la prima striscia apparsa sotto il nome Peanuts ne riprendeva direttamente i temi e i personaggi, tant’è che assomiglia molto più a Li’l Folks che alle “noccioline“.

È una striscia basica, forma da quattro vignette in formato orizzontale. Qui vediamo due personaggi, Shermy (che poi sarebbe stato accantonato) e Patty che chiacchierano, mentre all’orizzonte comincia a fare capolino nientemeno che Charlie Brown. A quel punto, Shermy prende la parola: “Bene! Ecco che arriva il buon vecchio Charlie Brown!“. E continua, nella scena successiva, mentre Charlie passa davanti a loro: “Il buon vecchio Charlie Brown, sissignore!“. Ancora: “Il buon vecchio Charlie Brown…“. Alla fine, quando il bambino è sparito dall’inquadratura, Shermy esclama: “Quanto lo odio!“.

Schulz

Certo, è probabile che questo Shermy non fosse esattamente un simpaticone (e forse per questo Schulz lo ha “cacciato”), ma è col tempo diventato il personaggio simbolo della poetica dell’autore. Questa sequenza, che potrebbe apparire estremamente banale e fatta per strappare un sorrisetto facile, nasconde il cuore della visione di Schulz. Ci troviamo di fronte a due bambini che, comportandosi come qualsiasi comare di paese, se ne stanno fermi sul ciglio della strada e, quando gli passa davanti un loro conoscente, ne approfittano per sparlarne alle spalle. Sono bambini, ma si comportano proprio come adulti. Questo effetto, questo “travestimento”, crea un forte spaesamento nei confronti del lettore, uno spaesamento che è all’origine della portata umoristica dei Peanuts, il loro “senso del contrario” di pirandelliana memoria. È probabile che, se lo avessero detto due anziani, la scena ci sarebbe sembrata triste e non divertente. Infatti ci appare piacevole e spiritosa, istintivamente avvertiamo la stranezza di quella situazione (perché ci rendiamo conto che quei bambini sono l’esatto opposto di come un bambino dovrebbe essere).

Tuttavia, al tutto si aggiunge un insolito retrogusto amaro, poiché ci riconosciamo in quell’atteggiamento velenoso e forse un po’ scorretto (chi non ha mai sparlato alle spalle di qualcuno?), ma anche al fatto che lo vediamo così, puro, senza fronzoli di sorta o giustificazioni e ne vediamo anche, per certi versi, la scorrettezza. I Peanuts, mettendo in scena i comportamenti tipici degli adulti, ce li mostrano per quello che sono realmente, puntano il dito contro il re nudo. E, in fondo, non è la caratteristica tipica dei bambini quella di dire sempre la verità?

Charles Schulz, una vita coi (veri) Peanuts

E Schulz era uno che li amava, i bambini. Ha avuto cinque figli e vuole il mito che siano stati le principali ispirazioni per i suoi lavori. E non si fa fatica a crederlo, visto che Charlie Brown, Lucy, Linus, Sally, Schroeder, Piperita Patty, Marcy e tutti gli altri ci appaiono estremamente reali, nella loro identità che li porta ad essere bambini veri ma con le nevrosi tipiche degli adulti. Ma Schulz, oltre che dalla sua numerosa prole, prese ispirazione soprattutto da se stesso mettendo insieme la sua infanzia e le sue prime esperienze nel mondo del lavoro. Basta ripercorrere brevemente la sua lunga vita per rendersi conto che Schulz è i Peanuts e i Peanuts sono Schulz.

Nato il 26 novembre 1922 a St. Paul, città che ha dato i natali anche a Francis Scott Fiztgerald e citata spesso nei romanzi di Jonathan Franzen, Charles Monroe Schulz sembra portare fin dalla nascita le stigmate del predestinato. Si dice infatti che un suo affezionatissimo zio, grande lettore delle strisce sui quotidiani, lo abbia soprannominato Sparky, in onore di Sparkplug, il cavallo ricorrente nelle popolarissime strip di Barney Google.SchulzSchulz diventa così, per tutta la sua famiglia, “Sparky”, nomignolo che gli resterà per sempre appiccicato e con cui firmerà i suoi primi lavori. A scuola dimostra una particolare propensione per il disegno e per l’arte, anche se ha qualche difficoltà nella letteratura e nello studio dei grandi classici. Sempre la leggenda vuole infatti che odiasse particolarmente Guerra e Pace di Tolstoj, che non a caso è un elemento ricorrente nelle vicende di Charlie Brown e compagni.

Sulla sua passione per l’arte, niente di strano: leggeva quantità industriali di fumetti, portati a casa dai suoi genitori, appassionati lettori delle sunday pages dei quotidiani. Suo padre, Carl Fred Schulz, era una persona semplice e di buona cultura che faceva il barbiere (come il padre di Charlie Brown), originario della Germania, mentre sua madre, Dena Halverson, era una donna gentile dedita alla famiglia, proveniente dalla Norvegia.
Spesso trascuriamo l’impatto che i nostri genitori hanno nelle nostre vite, ma senza ombra di dubbio quelli del giovane Schulz furono fondamentali nello stimolare la sua passione per il disegno. Non solo perché erano voraci lettori (passione che gli hanno trasmesso), ma anche per il modo con cui lo riempivano di attenzioni e lo crescevano. Infatti si dice che a tredici anni gli abbiano regalato, come compagno di giochi, un buffo cane bianco e nero di nome Spike, dallo sguardo intelligente e assorto. E pare proprio che Schulz adorasse ritrarre Spike distorcendone le forme, facendogli il naso più grosso e le orecchie più lunghe.

Schulz e Spike (Snoopy)

Spike, naturalmente, è stata la principale ispirazione per Snoopy, forse il personaggio più celebre dei Peanuts dopo Charlie Brown. Schulz non ha mai nascosto da dove provenisse l’idea per il famoso beagle sognatore, scrittore e aviatore, tant’è che in una striscia, quando rappresenta l’arrivo del fratello di Snoopy, lo chiama Spike. Come spesso capita nella vita di qualunque artista, è la vita, quella vera, la fonte delle loro opere più riuscite. E la leggenda vuole (l’esistenza di Schulz è tutta una leggenda), che durante gli studi liceali abbia conosciuto un suo coetaneo di nome Charlie Brown e che tra i due ci fosse un rapporto talmente forte che abbia deciso di omaggiarlo, rendendolo immortale nelle sue strisce.

Sempre la vita lo influenza quando va in guerra, nel 1943, appena ventunenne, esperienza che si porterà dentro fino alla fine dei suoi giorni e che solo il disegno riuscirà a mitigare. Due anni dopo lo ritroviamo infatti in qualità di insegnante alla Art Instruction School, una scuola che forma giovani disegnatori per corrispondenza e qui, rapportandosi con i suoi colleghi, coglie l’ispirazione per altri dei suoi memorabili character. Qui vi era anche Donna World, il suo amore non corrisposto, la sua “ragazzina dai capelli rossi“, che ispirerà quella bambina ogni volta fuori campo che fa battere il cuore di Charlie Brown. Infatti le chiederà di sposarlo, ricevendo una risposta negativa. Ma Schulz la porterà nei suoi ricordi, tanto da rappresentarla nei suoi Peanuts. Peanuts che, come abbiamo visto, esordiscono di lì a pochi anni, prima nella forma grezza dei Li’l Folks e poi sotto il nome che tutti conosciamo. Esordiscono ufficialmente il 2 ottobre 1950 ed escono contemporaneamente su 9 quotidiani diversi, spinti dalla United Syndacates che ne intravedeva le potenzialità.

Schulz e i Peanuts

Il resto, come si dice, è storia. I Peanuts si trasformarono in un fenomeno globale, furono pubblicati per quasi 50 anni su oltre 2600 giornali in 75 paesi, dando vita a prodotti d’animazione, film, diari per la scuola, ad un vastissimo assortimento di merchandasing e condizionarono l’immaginario collettivo di milioni di persone. Tant’è che, in occasione del 40° anniversario della loro creazione, furono ospitati perfino al Louvre per una mostra dedicata.

Un successo straordinario che si è interrotto il 12 febbraio del 2000, con la scomparsa di Schulz. Era da tempo malato e prima della fine aveva annunciato che, quando la sua salute gli avesse impedito di prendere in mano la matita, i suoi personaggi non sarebbero continuati nelle mani di nessuno. “Quando non potrò disegnare, non voglio che nessuno prenda il mio posto. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy e gli altri usciranno di scena con me“. E la sua volontà è stata rispettata quando, il 13 febbraio del 2000, uscì la sua ultima striscia, in cui Snoopy si rivolgeva direttamente al pubblico con queste parole.

Schulz

“Cari amici,
ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant’anni. È stata la realizzazione del sogno che avevo fin da bambino. Purtroppo, però, ora non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana. La mia famiglia non desidera che i Peanuts siano disegnati da qualcun altro, quindi annuncio il mio ritiro dall’attività. Sono grato per la lealtà dei miei collaboratori e per la meravigliosa amicizia e l’affetto espressi dai lettori della mia “striscia” in tutti questi anni. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy… non potrò mai dimenticarli…”
Charles Schulz

Charles Schulz, il fumetto come poesia

Ma i suoi personaggi non sono scomparsi insieme a lui. Non hanno più affrontato nuove avventure, forse, eppure la loro presenza continua ad essere forte e viva, come testimonia il recente film uscito qualche anno e le altre iniziative messe in cantiere intorno ai Peanuts. E non ci stancano mai, nonostante siano passati quasi 70 anni dalla loro nascita ufficiale.

Il perché ce lo spiega, come per tante altre cose, Umberto Eco che per primo in Italia riconobbe il valore di Schulz, insieme a tanti altri intellettuali come Oreste del Buono ed Elio Vittorini. È rimasta memorabile la sua introduzione alla raccolta dei Peanuts pubblicata nel lontano 1963. “Non beve, non fuma, non bestemmia. È nato nel 1922 nel Minnesota. Vive modestamente ed è lay preacher in una setta detta la Chiesa di Dio; è sposato e ha, credo, quattro bambini. Gioca a golf e a bridge e ascolta musica classica. Lavora da solo. Non ha nevrosi di nessun genere. Quest’uomo dalla vita sciaguratamente normale si chiama Charles M. Schulz. È un poeta“.

Charlie Brown e Lucy

All’epoca, questa definizione era pensata soprattutto per sconvolgere i ben pensanti italiani che vedevano nel fumetto una “roba da ragazzini”. E invece, si è poi dimostrata straordinariamente azzeccata per inquadrare i Peanuts. Esattamente come la stragrande maggioranza dei componimenti poetici moderni, le strisce dei Peanuts sono brevi, possiedono un senso del ritmo perfetto e spesso c’entrano un argomento preciso, un particolare leitmotiv che stimola una riflessione.

Proprio come la poesia, non importa il periodo in cui sono state fatte ma si possono leggerle e rileggerle a distanza di tanti anni e trovare, al loro interno, sempre un senso. Per non parlare poi del muretto da cui, periodicamente, si affacciano Charlie Brown e Lucy mentre discutono della vita, dell’universo e di tutto quanto, che ricorda un po’ la siepe dell’Infinito di Leopardi. E, soprattutto, come la poesia stessa, che blocca un istante nel tempo mitizzandolo, i Peanuts cristallizzano l’epoca dell’infanzia trasformandola nel più classico dei non-luoghi poetici. Un po’ come la cuccia di Snoopy, che è contemporaneamente una scrivania, uno studio e un Sopwith Camel con cui l’asso dell’aviazione della I Guerra Mondiale da la caccia al Barone Rosso. Una realtà dove chiunque può riconoscere dei frammenti sparsi del suo passato, di quando era un bambino. Solo i poeti sono in grado di farlo. E Charles M. Schulz è un poeta. Un poeta dell’infanzia.

 

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!