“Il cinema e il colore rappresentano un romantico valzer narrante le emozioni della vita”


È il 1952 e nelle sale italiane approda Totò a colori, storica pellicola di mirabile bellezza realizzata dal celebre  regista romano Steno (alias Stefano Vanzina, padre di Carlo ed Enrico). Un film di tale impatto che è stato santificato come una delle produzioni più importanti della nostra illustre storia cinematografica.

Ciò è dovuto non solo all’efficace regia e la brillante sceneggiatura, non solo alla, come sempre, memorabile performance di Antonio De Curtis, ma soprattutto al fatto che fu il primo lungometraggio italiano ad adoperare il Ferraniacolor (innovativa tecnica di colorazione) per donare vita alle pellicole che sino a quel momento si erano nutrite di grigi e neri.

Rosso per la passione, nero per la paura, verde per l’immaginazione, rosa per l’allegria, bianco per la pace, arancione per la rabbia. Durante gli anni le palette nel mondo del cinema sono state adoperate nei più disparati modi, ma, ciò nonostante, sempre con un filo conduttore netto, volto a ricollegare le emozioni umane ad una singola sfumatura sulla tavolozza a disposizione di registi e direttori della fotografia.

colori cinema

Ne è un perfetto esempio, dei tempi moderni, il controverso Nicolas Winding Refn, che tramite i suoi colori vapor, le disposizioni cromatiche che traggono a piene mani dalla cultura cyber, e grazie a neon e sfumature nettamente contrapposti a neri profondi, ha ridefinito il concetto di estetica della forza e della violenza.

Da Drive a Solo Dio perdona, sino ad arrivare a The Neon Demon, dove l’estetica dell’orrore viene visceralmente destrutturata tramite piani sequenza e soggettive che evolvono lo spirito del Suspiria di argentiana fantasia, il cineasta danese ha sapientemente adoperato il colore all’estremo.
Bianco, nero, blu, nuovamente nero, infine uno spruzzo di rosso. Una scala cromatica che discende verso l’Inferno, portando lo spettatore verso l’oblio. Un colore che segue pedissequamente l’evolversi della trama, dei personaggi, dell’ambientazione. Una palette che viene adoperata oltretutto per far aumentare lo stato di alienazione di chi osserva, visti i forti contrasti tra colori primari che si vedono nelle sequenze finali.

Ovviamente, tralasciando le varie derive, il colore nel cinema è nato con uno speciale scopo: allietare la visione dello spettatore grazie alla visione della realtà, e di quello che essa può celare.
Delle volte, infatti, la mente può essere anche spinta oltre, sino a toccare le più impensabili corde dell’animo, e, un altro maestro quale Wes Anderson, con la sue geometrie cromatiche, ci è sempre riuscito.

Nel piccolo e meraviglioso Grand Budapest Hotel, assieme al suo fedelissimo direttore della fotografia Robert Yeoman, il cineasta riesce a cullare l’occhio umano grazie a inquadrature perfette e palette talmente vive e accese da poter rasserenare anche l’animo più irrequieto.
Come dimenticare l’invasione di rosa nelle inquadrature stagionali dell’hotel, o, soprattutto, nel furgoncino di Mr. Mendl’s.
I colori pastello del suo cinema sono totalmente finalizzati ad una candida estetica di quiete ed allegria, quasi come se per un momento, con una certa nota di permissiva presunzione, avesse deciso di prendere il posto di un qualsiasi espressionista della storia, e gettato in un confusionario ordine, la tavolozza sullo schermo.

colori cinema

Un po’ come, qualche anno dopo, venne fatto da Damien Chazelle, l’enfant prodige del cinema hollywoodiano, nel suo capolavoro La La Land.

“Magico e reale si mischiano costantemente, e una singola sfumatura di colore riesce a cambiare totalmente la storia del cinema”

Qui le pennellate, sempre dense, accese e dinamiche, sono volte a dare vita a sequenze più “frizzanti”, perfettamente cucite sulla pelle di una creatura che ha riscritto ogni singolo canone estetico dei musical. Basti pensare all’esplosione di colori nella sequenza iniziale, accompagnata da Another Day of Sun, o il party sulle note di Someone in The Crowd. Qui è tutto iper saturato, acceso ed estremizzato, proprio per amplificare la percezione dello spettatore, come abbiamo visto, qualche anno prima dell’opera di Chazelle, in Birdman di Alejandro Iñàrritu.

Quest’ultimo, dopo l’incredibile lavoro al fianco di Michael Keaton, si è superato definitivamente nella sua ultima fatica: Revenant.
La pellicola che è valsa il tanto agognato, e meritato, Oscar a DiCaprio, è stata plasmata dall’obiettivo del Maestro Emmanuel Lubezki.
L’inarrestabile pluri premio Oscar, infatti, adopera una palette cromatica che si scontra costantemente con il gelido bianco della neve argentina, che finisce per inghiottire non solo le speranze e la vitalità dei protagonisti, ma anche tutte le colorazioni dell’ambiente circostante, soffocato sotto la candida cortina. La luce naturale che filtra tra i rami e si riflette sul manto bianco, permea totalmente l’ambientazione esterna, donando una nuova vita ai profondi e nodosi volti Arikara.

Dall’iniziale estremizzazione di un concetto (violenza e quiete nei primi casi), qui si ritorna alle origini, si passa all’estremo realismo, tutto frutto di un sopraffino utilizzo della macchina e di un occhio fuori da qualsiasi parametro storico.

Magici giochi di colore che hanno, ovviamente, contraddistinto anche il cinema fantasy, non solo per esaltare ambientazioni fantastiche figlie di immaginazioni d’oltre mondo, ma anche per donare un insolito senso magico al reale, senza l’utilizzo della sempre più abusata CGI.

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Non è un caso che la più moderna delle fiabe quotidiane, vincitrice del premio Oscar come miglior film nel 2018, e nata dalla visionaria mente di Guillermo del Toro, conosciuta ai più come La Forma dell’Acqua, sia costantemente, ed indissolubilmente, caratterizzata da scenografie e sequenze immerse in tutte le più disparate sfumature di blu e verde.

È qui che il reale diventa irreale, e la quotidianità diventa fantasia. Non grazie alla figura marina capace di rapire il cuore di Sally Hawkins, ma per merito di un sapiente e pedissequo uso del colore, volto a far riaffiorare nella mente dello spettatore qualsiasi immagine acquatica nascosta nei più remoti ricordi.
Ed ecco che gli appartamenti diventano piscine, gli uffici mari e le strade fiumi, tutti per merito di semplici, quanto magiche tinte.

Un gioco artistico che ogni anno si evolve e fa riaffiorare nel nostro animo nuove emozioni ed immagini. Perché, sia che voglia emozionare o inquietare, rendere reale o fantastico, il colore è ciò che ha permesso al cinema di arrivare al cuore delle persone.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.