Sopravvivere ai Giappominkia, parte 1

Dovunque voi siate, chiunque voi siate, che frequentiate la vita reale o che viviate su facebook, è inevitabile che vi siate imbattuti in loro e nei loro commenti disincantati e del tutto fuori luogo. In piccole dosi sono simpatici, ma in dose elevate mettono a rischio la vostra salute mentale. Ecco quindi una piccola guida per comprendere, capire e non odiare i giappominkia.

Che poi io non ce l’ho con loro, anzi. Probabilmente, tanti anni fa, anche io avrei potuto essere annoverato nella categoria: leggevo almeno una dozzina di manga al mese, quasi tutti titoli che ora ritengo dimenticabili, e partecipavo ad accese discussioni su forum e siti per appassionati di fumetto giapponese. Ma è stata una fase, poi ho iniziato a drogarmi.
Il punto è che alle medie, quando il tuo compagno di banco passa il tempo a bulleggiarti e a sniffare la tempera delle matite, la ragazzina che ti piace non ti fila, e il professore di musica insiste nel fatto che dovresti imparare a suonare il flauto, è normale rifugiarsi in certi tipi di sub-cultura. Il giappominkia si intasa di fumettacci senza accorgersi che sono fumettacci (se non molto più tardi, nella vita… forse), e lentamente ma inesorabilmente comincia a parlare di shojo, tsundere e a dire che il tuo amico è baka anziché coglione.

Chiariamo anche un altro punto: io i manga ancora li adoro. Ma è come dire “adoro i telefilm” o “adoro la letteratura per ragazzi”. Insomma c’è roba buona in ogni contenitore, ma bisogna saperla distinguere, e a tredici anni è difficile, ti manca l’esperienza. Ed ecco quindi che improvvisamente sei giappominkia senza manco saperlo.

Ma cos’è, per la precisione, un giappominkia?

Il termine nemmeno mi piace, è chiaramente denigratorio e si è generato probabilmente nello stesso triviale calderone internettiano che ha dato vita ai giappominkia stessi. Nell’accezione generale, è un teenager più o meno disadattato con il cervello fuso da anime, videogame e manga giapponesi. Il modo in cui egli esterna la propria appartenenza al genere è diverso da caso a caso. Qualcuno usa “kawaii” anziché “carino”, qualcun altro dice di preferire il ramen alle tagliatelle, qualcun altro ancora si porta appresso un Death Note per scriverci i nomi di tutti quelli che lo prendono in giro perché si porta appresso un Death Note. Solitamente non è il manifestarsi di una o due di queste caratteristiche che classifica l’individuo, bensì l’esplosione di molte di esse, tutte insieme.

Per aiutarvi a comprendere i giappominkia e a sopravvivere a loro, ho deciso di occuparmi di alcuni dei termini da loro più usati. Capirli vi aiuterà a non odiarli, a comprendere il disagio di chi li usa e magari a non usarli a vostra volta.

Anime

its_not_a_cartoon_its_anime-5791Gli anime sarebbero i cartoni animati giapponesi (sì, quelli della canzone di Elio e Le Storie Tese). Cioè è il modo in cui i giapponesi chiamano i cartoni animati (nasce come contrazione di “animation”). Dacché i giapponesi chiamano anime i cartoni animati, è finita che gli anime sono i cartoni animati giapponesi. Il termine è anche simpatico, perché opera una crasi non indifferente di una terminologia italiana eccessivamente lunga: cinque lettere anziché ventiquattro (e due spazi), “anime” anziché “cartoni animati giapponesi”. È indiscutibilmente più veloce, il che deve essere fondamentale per quei ragazzini che pensano che usando le K anziché CH nelle parole risparmieranno un sacco di tempo nella vita. Ma c’è anche un vantaggio sociale: se guardi un anime sei figo, se guardi un cartone animato sei uno sfigato. Cioè, vuoi mettere? Prova a dire a tua madre che stai guardando i cartoni animati. Probabilmente penserà che stai bruciando un pomeriggio quando potevi, chenesò, andare a taccheggiare l’alimentari della piazza o a ciondolare su una panchina del viale assieme agli amici. Perché è questo che faceva lei, alla tua età. Ma se invece le dici che stai guardano un anime, probabilmente ti chiederà quale, tu glielo spiegherai (“quello in cui fanno a botte, poi si potenziano, poi fanno a botte, poi si potenziano, poi fanno a botte…”) e ci farai pure la figura del figo alternativo. Così se ne andrà via tutta soddisfatta che stai impiegando bene il pomeriggio.

Baka

Baka_Cover_pageQuesto termine vuol dire “idiota” nel senso di uno che non intuisce cosa sta accadendo, quindi “tonto”. Non è eccessivamente dispregiativo, soprattutto nel contesto nel quale viene usato di solito, e cioè per dire in maniera affettuosa a qualcuno che è un coglione. Ora dovete sapere che in Giappone interagire con una ragazza è la maggiore causa di morte per dissanguamento dopo il vampirismo, per questo i giapponesi ci vanno cauti. Metti che chiedi a una ragazza di farti palpare una tetta e lei ti dica di sì: l’epistassi conseguente rischia di prosciugarti il corpo in pochi secondi. In Giappone, almeno stando ai manga e agli anime, i pavimenti dei licei sono ricoperti di sangue umano e anche i teenager maschi portano in tasca degli assorbenti di emergenza: dovesse capitare che una ragazza troppo carina chieda loro di uscire, sarebbero fondamentali per infilarseli nel naso prima di inondarla di sangue. La conseguenza di tutto ciò è che durante gli esigui scambi di parole che avvengono tra un adolescente maschio e uno femmina, spesso nessuno dei due riesce a esprimere i propri sentimenti. È la paura di morire dissanguati, capite? La paura della morte! Se lei dicesse “pomiciamo?” potrebbe ucciderti! Chissà quanti giovani giapponesi vengono trovati, ogni anno, in un lago di sangue intenti a darsi il primo bacio. Quindi quando un ragazzo e una ragazza si incontrano che si fa? Semplice. Ci si fissa. Sudando. E guardano in basso, a destra, a sinistra e in alto (tipo facendo il segno della croce con gli occhi). Poi si corre via gridando “baka” perché l’altro non ha capito cosa non gli hai detto.

Fanservice

Questo è un termine che, personalmente odio. È quando un autore (in genere di manga, anime o videogiochi giapponesi), pur di raccattare consenso, si abbandona alla più becera delle marchette, e cioè quando inizia a inserire contenuti del tutto inutili atti solo ad attirare l’attenzione del pubblico. Culi e tette, nella maggior parte dei casi.

Ci sono alcune cose importanti da dire in proposito. Innanzitutto, che il termine è negativo. Cioè connota un’opera come grettamente commerciale, e l’autore come un marchettaro. Capite perché mi incazzo come una biscia quando mi dicono che faccio fanservice nei miei fumetti? E mi incazzo ancora di più quando mi dicono “ehi ma non ti devi arrabbiare, a me piace il fanservice, sono contento che tu ce lo metta.” Che corrisponde più o meno a dire a una ragazza che è una pompinara ma “a me piacciono i pompini, continua pure!”
Nami breast conundrumSeconda cosa da tenere in considerazione: nello spietato mercato giapponese dei manga, il fanservice è un’esigenza! Se non vendi, non vieni pubblicato. Quindi vendere il proprio fumetto, soprattutto per un mangaka esordiente, è fondamentale. Poi in futuro, quando tale mangaka si sarà fatto un nome e avrà un nutrito seguito di lettori, potrà permettersi qualche schiavo che lo aiuti a rispettare le mostruose scadenze e magari anche il lusso di scrivere un fumetto come lo vorrebbe. Ma nel frattempo, deve portare a casa il pane oppure andare a dormire sotto un ponte di Tokyo. Quindi non si possono biasimare i manga, gli anime o i videogiochi giapponesi di fare un uso massiccio di fanservice. Il punto però, è che qui da noi non c’è lo stesso mercato. Io ad esempio, sia come autore che come disegnatore di fumetti, scrivo e disegno quello che mi pare. Quindi semmai quello che faccio è un authorservice (che detta così, suona tanto come di masturbazione creativa), poi ovviamente sono felice di constatare che il mio lavoro piaccia tanto anche a molta gente.

Infine, è estremamente odioso che ormai qualsiasi sexy locandina promozionale, nudo su commissione, poster ammiccante, scena di sesso, capezzolo, culo o tetta di sfuggita siano additati come fanservice. È quasi freudiano, patologico. La Venere di Botticelli è fanservice? Le tavole di Valentina di Crepax sono fanservice? La pagina di sesso che c’è in ogni numero di Dylan Dog è fanservice? Sappiate che per il giappominkia, la risposta è sì a tutte queste domande.

Fine prima parte

Luigi Bigio Cecchi