Il bestiario psichedelico di Davide Bart. Salvemini

Il bestiario psichedelico di Davide Bart. Salvemini

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Artista digitale con base a Bologna, Salvemini spazia dall’illustrazione al fumetto, dall’animazione alla grafica vantando collaborazioni con diverse realtà

Si fa presto a dire fumetto indipendente. Ci si sbriga ancor prima a dire “autoproduzione”, mettendo nel calderone tutti quegli artisti che non riusciamo a collocare in un genere preciso. Per orientarsi in un mondo così ricco e in perenne evoluzione, che segue solo in parte le regole del fumetto mainstream, occorre armarsi di fiuto e curiosità, e darsi da fare per esplorare questa nicchia. Ci sono occasioni ormai consolidate, tipo la self area dell’Arf! Festival che vive di una curatela a parte rispetto all’apprezzatissimo evento romano dedicato ai fumetti. In questo “evento dentro l’evento” le curatrici (quest’anno alla ben rodata Francesca Protopapa si aggiunge Ariel Vittori) visionano numerosissimi portfolio e aprono lo spazio a una selezione delle autoproduzioni più interessanti e innovative dell’ultimo anno. In questo contesto, sarà ospitata la mostra personale dedicata a Davide Bart. Salvemini “Chimere intergalattiche”, che ben rappresenta il percorso (fin ora) dell’artista bolognese.

Classe 1988, pugliese ma stanziato a Bologna, Salvemini unisce nella sua professionalità tanti aspetti dell’arte visiva. Non solo fumettista, non solo illustratore, non solo animatore, non solo grafico. In un mercato che spinge a cimentarsi con diverse competenze, Salvemini ha fatto un passo decisivo e sicuro in avanti, lavorando come artista a tutto tondo. Compiendo, oltretutto, scelte espressive sempre molto chiare, che si muovono in ambienti estremamente variegati. Come si resta fedeli al proprio stile e alla propria ricerca quando si passa da una collaborazione con Patrizia Pepe e Pirelli alle locandine del giro underground emiliano? Sicuramente Salvemini lo sa.

Formule vincenti a parte, è indiscutibile che la mano di Salvemini sia riconoscibile in ogni suo lavoro, e non solo da un punto di vista estetico. La sua è un’ispirazione fortissima derivata dall’immaginario pop e psichedelico degli anni Novanta, un periodo che finalmente è abbastanza distante nel tempo da poter essere storicizzato e codificato come si deve. Colori accesi, delle linee scure e definite, delle forme regolari e geometriche. Accostamenti e ibridazioni tra astratto e figurativo che nascono da esperienze acide e da una ricerca psichedelica – appunto – di una percezione altra rispetto alla consuetudine. Che riesce a trasmettere l’inquietudine di chi sfugge dall’inquietudine propria degli artisti e dei movimenti che hanno costruito l’immaginario del decennio.

David Bart. Salvemini tra forma e contenuto

Tra le diverse declinazioni dei suoi personaggi, antropomorfi o meno, e delle sue ambientazioni, Kaleido pubblicato nel 2019 da Eris Edizioni è una delle espressioni più complete di Salvemini. La storia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare rispetto a uno stile così autarchico e apparentemente antinarrativo, si anima di stimoli profondi. Il tutto nasce da una quest, e dall’interazione tra due personaggi geometrici – Mr. Quadrato e Mr. Tondo. Il sapore piratesco dell’opera è naturalmente immerso nell’atmosfera acida di cui sopra, ma aggiunge tematiche esistenziali, spirituali che complicano la bidimensionalità dei protagonisti. Anzi, è interessante che proprio da loro arrivi una riflessione sulla pluralità e l’immanenza, due aspetti che necessitano di tridimensionalità. Ecco che una ricerca sulle forme diventa anche una ricerca di senso, e l’autore coglie l’occasione del raccontare una storia per mettere in campo suggestioni che vanno ben oltre l’aspetto grafico. Non è affatto scontato che forma e contenuto interagiscano a questo livello.

Del resto, Salvemini va ad aggiungere tasselli a una ricerca magari poco nota al pubblico mainstream, ma che trova sempre più spazi in cui essere apprezzata. Si pensi al lavoro di Jasse Jacobs e, tra tutti, al suo Spinch – altro esempio di commistione artistica e di ricerca di linguaggi affatto banali. Ma anche al lavoro di Edwin A. Abbott e al suo Flatlandia. Sono, questi, punti di riferimento individuabili, ma Salvemini è bravo a non stagnare nel derivativo. Piuttosto, è consapevole di chi ha esplorato gli stessi campi prima di lui, e cerca nuove strade nel contemporaneo.

Il focus sul punto di vista

C’è un elemento da considerare quando analizziamo l’immaginario di Davide Bart. Salvemini, ovvero il suo essere un osservatore vivace e attento di ciò che lo circonda. La sua esperienza, anche accademica, lo porta a interessarsi alle dinamiche relazionali e sociali tra esseri umani, a guardarle – inoltre – esplorando diversi punti di vista, sempre nuovi (possibilmente). È qui che la realtà si frantuma dall’aspetto monolitico di una percezione annoiata e diventa plurima, caleidoscopica e stimolante. Basta spostare il punto di vista e quel singolo oggetto che fino a poco prima appariva in un modo, riuscirà a rivelare nuove sfumature, o un aspetto del tutto inedito. Ecco una possibile chiave per leggere le figure che Salvemini mette su carta (o pixel), la loro apparente distorsione, che forse altro non è che un realismo appena scoperto.

Il punto di vista è un elemento fondamentale nell’estetica di Salvemini non solo per quello che c’è dentro al disegno, ma anche per ciò che lo circonda. L’esperienza – per scelta, necessità, curiosità – di impiegare la propria arte anche in aspetti commerciali e promozionali stimola Davide Bart. Salvemini a chiedersi cosa possa attirare l’attenzione del pubblico, cosa possa funzionare. Quindi la composizione, la scelta di forme e colori diventa anche un dialogo con l’osservatore, un intercettare la sua attenzione. Un esercizio che ricollega Salvemini a un’illustre tradizione di artisti grafici, che hanno fatto della pubblicità un’espressione estetica di altissimo livello.

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