Curiosità sugli spartani: dieci cose che (forse) non sapevi sui demoni della Grecia

La cultura popolare ci ha abituati ad avere spesso a che fare con gli spartani. Nei fumetti e al cinema, grazie soprattutto 300 di Frank Miller e alle sue trasposizioni, nei romanzi di Valerio Massimo Manfredi e nei videogiochi, come in God of War o, ad esempio, in Assassin’s Creed: Odyssey.

Ma quanto conosciamo realmente degli abitanti di Lacedemone? Cosa ci è rimasto dei veri spartani e delle loro imprese? Esistono due modi per scoprirlo: la nostra prima intenzione era quella di sottoporre i nostri lettori a una rigida agoghé. A causa di qualche difficoltà organizzativa abbiamo deciso di limitarci a una lista di dieci cose che (forse) non conoscevate degli spartani.

1 – Gli spartani educati alla guerra

L’intera vita dello spartano era votata al diventare un utile e produttivo membro della propria polis. A Sparta questo concetto coincideva col crescere dei guerrieri perfetti, che non si sarebbero mai arresi di fronte a nulla. Questo iniziava sin dalla nascita, quando i neonati venivano valutati dagli anziani della città, nella lesche. In caso di responso positivo i piccolo sarebbero appartenuti a Sparta, non alle loro famiglie; in caso contrario, secondo quanto riporta una credenza diffusa nel mondo greco e giunta fino a noi, sarebbero stati abbandonati presso un crepaccio del Monte Taigeto chiamato Apothete.

I bambini allevati a Sparta non indossavano indumenti infantili: questo serviva a temprarli e a dare loro la capacità di muoversi più liberamente. All’età di sette anni sarebbe stati assegnati a un paidonómos, un precettore, e iniziava l’agoghé, ovvero il duro periodo di addestramento e prove che li avrebbe uccisi o trasformati in soldati.

I bambini venivano posti in mandrie ed educati con metodi erano brutali: i più grandi, detti mastigofori (portatori di frusta), dovevano punire quelli più piccoli e uno sbaglio portava al pestaggio non solo di chi aveva commesso un errore, ma anche del suo migliore amico. Questo metodo serviva a far crescere il cameratismo tra i giovani, spingendoli a preoccuparsi del compagno. Ma, soprattutto, a far comprendere come un loro errore in guerra potesse comportare la fine di un commilitone. Un concetto fondamentale, qualcosa che renderà davvero grande l’esercito spartano, ovvero la necessità di sacrificarsi per i propri compagni.

Durante l’agoghé i bambini non potevano indossare vestiti, al di fuori di un mantello, avevano poche occasioni di lavarsi e i loro capelli venivano rasati: tutto l’opposto di quello che avrebbero vissuto una volta diventati parte dell’esercito di Sparta. Erano spinti a rubare per poter sopravvivere e puniti severamente se colti in flagrante, non per il furto, ma per essere stati scoperti.

Questo duro periodo di prove terminava tra i diciotto e i vent’anni, quando i ragazzi sopravvissuti entravano a tutti gli effetti a far parte dell’esercito spartano, in cui dovevano militare fino ai sessant’anni.

I reali solitamente erano esonerati dall’agoghé, ma ci sono state alcune eccezioni, tra cui re Leonida che, non essendo primogenito e non potendo inizialmente ereditare, fu sottoposto all’addestramento come ogni altro giovane spartano.

2 – Vere donne spartane

La regina Gorgo, moglie del celebre Leonida, sosteneva che solo delle vere donne potessero mettere al mondo dei veri uomini. Una frase che rende bene l’idea di quale fosse il ruolo e l’autorità della donna nella società spartana.

Se per i maschi a Sparta la vita non era facile, nemmeno per le femmine l’educazione era meno dura. Sin dalla nascita anche alle bambine veniva imposto di non indossare vestiti e ornamenti. Soprattutto nelle cerimonie pubbliche le bambine, al pari dei maschi, dovevano svestirsi, probabilmente sia per insegnare loro che il corpo femminile, portatore di future generazioni di spartani, era l’unica vera cosa importante per una donna di Lacedemone. L’indumento principale per le donne di Sparta era un peplo detto phainomerides, ovvero “mostra coscia”, notoriamente più corto di quello tradizionalmente in uso nelle altri polis greche.

Se nell’istruzione l’arte non era trascurata, con l’insegnamento di poesia, danza e musica, non meno importante erano gli esercizi ginnici: le donne dovevano praticare corsa, lancio del disco e del giavellotto, temprando i loro corpi per poter essere madri migliori. In un certo senso era una forma di eugenetica, si cercava di perfezionare il corpo femminili per perfezionare le future generazioni.

Sono noti casi di gare sportive riservate alle donne, come delle corse di carri. La condizione della donna spartana era generalmente più equa rispetto al resto della Grecia. Alle donne di Sparta, in determinati casi, era concesso divorziare dai mariti e a loro spettava il dovere di amministrare lo stato in assenza degli uomini per motivi bellici.

Le donne dovevano sempre spronare gli uomini alla vittoria: celebre la frase, attribuita proprio a una madre spartana, “Τέκνον, ἢ τὰν ἢ ἐπὶ τᾶς” ovvero “Torna con lo scudo o sopra di esso”. Insomma, o gloria o morte.

3 – Banchettare insieme

Un ruolo sociale molto importante all’interno di Lacedemone era svolto dai pasti comuni che venivano consumati tra i maschi adulti, i Syssítia. La loro funzione era fondamentale per creare un senso di comunità e appartenenza negli spartani, facendo unire tra loro vecchi e giovani in un momento di convivialità che prendeva probabilmente spunto dai magri pasti consumati sul campo di battaglia.

Essi costituivano la base della società spartana, e determinavano anche la classe sociale degli individui. Se un uomo adulto poteva versare la sua quota mensile di cibo o di denaro, allora era a tutti gli effetti uno spartiate; in caso contrario veniva “retrocesso” a una categoria inferiore. Le quote non erano economiche, dato che oltre a formaggio e frutta chi era richiesto di fare anche ingenti quantità di vino, da sempre alimento costoso nella Grecia Antica.

I Syssítia si componevano di un numero di membri variabile da comunità a comunità, anche se di solito erano indicativamente di quindici membri. Inoltre alla morte di uno spartano che faceva parte dei Syssítia esso veniva subito sostituito con un nuovo membro.

Il menù era piuttosto povero (non a caso si dice spartano!): fichi, formaggio e vino erano la base, a cui occasionalmente si aggiungeva della cacciagione. E poi c’era lei, la temutissima broda nera, una specialità spartana poco invidiata nel mondo greco. Si trattava di una sorta di spezzatino di maiale, in cui erano mescolati vino, sanguinaccio e aceto, anche se alcune fonti parlano dei succhi gastrici del suino come base della ricetta. Pur non essendo un piatto da gourmet, per gli spartani era uno dei simboli del loro stile di vita, tanto che lo storico Ateneo ricollega la decadenza dei Sparta con la scomparsa del brodo nero.

4 – Due re sono meglio di uno

L’ordinamento dello stato di Sparta viene fatto risalire a Licurgo, leggendario legislatore della città e principale artefice delle sue regole ferree. Non si sa se sia esistito realmente, e c’è chi ritiene possa essere stato una sorta di divinità cittadina di epoche antichissime, decaduta poi al rango di eroe cittadino.

La leggenda vuole che sia stato lui a creare, su consiglio dell’Oracolo di Delfi, la suddivisione della terra degli spartani, con la suddivisione in classi tra spartiati, perieci e iloti. Sempre a lui si dovrebbero i tre organi principali del governo spartano: l’Apella, ovvero l’assemblea del popolo, la Gherusia, il consiglio degli anziani, e i due re.

Sparta era infatti una diarchia, un governo monarchico gestito da due diversi soggetti. I due re rappresentavano le famiglie degli Agiadi e degli Euripontidi, il cui fondatore sarebbe stato Eracle, il semidio figlio di Zeus. L’ordinamento monarchico spartano vedeva i re come mediatori tra l’umano e il divino, col compito di comandare l’esercito e guidarlo in battaglia.

5 – Spartani: una discendenza leggendaria

Se dall’archeologia sappiamo che i primi insediamenti spartani sono attestati già nel neolitico, le leggende sulla fondazione di Sparta si perdono nel mito e nel divino.

La zona in cui fu fondata la città di Licurgo e Leonida anticamente era governata dal re di Laconia, Lelego. Suo figlio avrebbe prosciugato la zona paludosa del fiume da cui prendeva il nome, Eurota. Alla sua morte nominerà erede Lacedemone, figlio di Zeus, il quale darà alla città fondata in quella valle il nome di sua moglie, Sparta.

I primi re di Sparta sono figure leggendarie, quasi tutti imparentate con gli dei dell’Olimpo. Tra loro spicca tuttavia Tindaro, nipote di Perseo, padre (forse solo putativo) di Clitennestra, Castore, Polluce ed Elena, moglie di Menelao. Nomi che, sicuramente, ci rievocano qualche lezione di letteratura epica fatta a scuola.

Come noto Elena venne rapida da Paride, diventando causa scatenante della guerra di Troia, di cui Omero ci ha narrato parte del suo svolgimento nell’Iliade e la sua conclusione nell’Odissesa.

6 – Paura e terrore

Le divinità adorate a Sparta erano molte. Avevano di certo una predilezioni divinità guerriere, come Ares, il dio della guerra violenta, Eracle, progenitore dei sovrani della città, ma anche Atena, il cui tempio si dice sia stato infestato dallo spettro del generale Pausania, e Artemide, dea della caccia, a cui sacrificavano le giovani spartane. Curioso è anche il culto dei figli di Ares, Deimos e Fobos, ovvero il terrore della guerra e la paura. Proprio a Lacedemone vi era il principale tempio dedicato a queste due divinità, invocate prima di una spedizione bellica.

Il motivo è facile da intuire: si chiedeva loro di sostenere gli spartani in battaglia, spaventando i nemici al posto dei figli di Lacedemone, in modo da farli arrivare alla vittoria.

7 – La guerra non basta

Data la fama degli spartani come guerrieri ci si dimentica che la città fu in passato anche un centro di grande fervore culturale. La poesia e la musica accompagnavano gran parte delle manifestazioni religiose e militari, infervorando gli animi dei figli di Lacedemone. Nella polis di Sparta ebbero così la propria casa drammaturghi, poeti, musici, pittori e artisti.

Tra questi spicca Terpandro, noto per aver introdotto diverse innovazioni in campo musicale, a cui si aggiungono anche Alcmane, poeta amoroso, e Tirteo, il quale celebrò l’apogeo dell’esercito spartano componendo liriche militari. Tra gli spartani, racconta Plutarco, si diceva che questo poeta fosse “capace di infiammare il cuore dei giovani” grazie alle sue liriche.

Il fervore culturale di Sparta coinvolse anche le arti figurative, arrivando a toccare il proprio culmine nel secolo V a.C., per poi iniziare a scemare con il sorgere della sua egemonia militare e politica sulla Grecia.

8 – Il nemico del mio amico

Sparta conquistò il completo controllo del Peloponneso nel secolo V a.C. Questa Lega Peloponnesiaca era composta dalle città della penisola greca che erano state assoggettate da Sparta, e si basava su accordi bilaterali in cui le città alleate si impegnavano a intervenire contro i nemici di Lacedemone in caso di necessità.

Questo metodo di alleanza si rivelò uno strumento molto efficace: permise a Sparta di espandere e mantenere sotto controllo la propria sfera di influenza, cosa che si rivelerà molto utile nel corso della guerra del Peloponneso. Il culmine della Lega Peloponnesiaca giunse con la sconfitta di Atene e il suo ingresso forzato nelle sue fila.

9 – La leggenda delle Termopili

Nel corso delle Guerre Persiane Sparta ebbe un ruolo di protagonista. Nella prima invasione, gli spartani, pur avendo formalmente risposto alla richiesta di aiuto di Atene, non parteciparono alla battaglia di Maratona perché impegnati in una celebrazione religiosa.

La storia parve ripetersi anche con la successiva invasione persiana, portata avanti da Serse. Il re dei re attaccò mentre erano in corso i giochi di Olimpia e le Carnee spartane, celebrazioni durante il quale le attività belliche solitamente si interrompevano in tutto il mondo greco.

Nonostante questo re Leonida considerò la minaccia talmente grave da andare contro alla tradizione e portare con sé la sua scorta personale composta da 300 uomini, tutti selezionati perché avessero già prole e quindi discendenza. Lo stesso Leonida era in avanti con gli anni quando decise di prendere parte alla spedizione (avrebbe avuto circa sessant’anni). Questo ridotto gruppo di soldati riuscì, grazie alla conformazione del territorio, a mettere sotto scacco il potente esercito persiano per lungo tempo, finché un traditore non rivelò un sentiero tra le montagne per poter accerchiare Leonida e i suoi.

In quel momento di grave crisi furono molte le storie eccezionali che sorsero attorno ai valorosi spartani. Serse cercò di trattare con Leonida, mandando un ambasciatore, il quale disse che il re persiano non voleva le vite dei greci, solo le loro armi. La risposta di Leonida divenne iconica: “Μολὼν λαβέ” ovvero “Venite a prenderle”.

I tentativi di far desistere gli spartani continuarono, ma senza troppo successo. Quando venne detto al generale Dienece che gli arcieri persiani erano così tanti da oscurare il sole, lo spartano rispose “Allora combatteremo all’ombra”.

Nonostante la battaglia delle Termopili si concluse con la sconfitta delle forze greche, essa fu fondamentale per permettere agli alleati degli spartani di riorganizzarsi e gettare i semi di quella che sarà la vittoria finale contro gli invasori persiani. Un gesto che fu ulteriormente commemorato nel 1950, quando fu posta una statua di re Leonida sul sito della battaglia.

10 – Il cuore di Sparta

Non si può concludere questo viaggio nell’antica Sparta senza parlare di quello che ha reso famosa questa città, il suo esercito. I soldati di sparta si distinguevano subito sul campo di battaglia per la loro tunica, rossa come il sangue, studiata per non far intravedere le ferite ai nemici. C’è chi sostiene che sui loro mantelli e sui loro scudi fosse riportata la lettera greca lambda (Λ), iniziale dell’antico nome della città, Lacedemone, ma mancano fonti coeve che possano affermare ciò. Era invece nota l’abitudine di dipingere un simbolo personale sull’oplon, come una gorgone, uno scorpione, un toro. Ci fu anche un oplita che dipinse una mosca sul suo scudo: quando gli fu chiesto perché, egli rispose che sarebbe andato così vicino al nemico da far sembrare quell’insetto gigantesco.

La formazione militare, come abbiamo visto, era fondamentale. Il giovane spartano nasceva e si formava con lo scopo stesso di diventare un soldato perfetto, qualcuno in grado di dare la vita per i propri compagni. Per lo spartano la battaglia era parte integrante della propria vita e si doveva approcciare a essa quasi fosse un’opera d’arte. È celebre sotto questo punto di vista l’abitudine di ungersi il corpo e pettinarsi i capelli prima di ogni grande scontro, come avvenne anche alle Termopili, sfogando la tensione prima della battaglia con delle agoni, probabilmente gare di lotta e di corsa tra i soldati.

Molti possono pensare che la forza dell’esercito spartano risiedesse nelle loro tattiche o in qualche innovazione bellica, invece Lacedemone non apportò particolari modifiche allo stile della falange oplitica. Una linea di opliti, armati con una lancia, il dory, di una spada, lo xiphos, e protetti da un pesante scudo di bronzo, l’oplon. Lo scudo era molto più di una semplice difesa: esso costituiva un muro impenetrabile con cui lo spartano avrebbe difeso non solo se stesso, ma anche i suoi compagni. La vera forza dell’esercito spartano era infatti questa, lo spirito di gruppo, unito a una ferrea disciplina, che rendevano ogni soldato disposto a combattere non solo per la propria vita, ma anche per quella di chi combatteva al suo fianco.

Un concetto che ebbe molta fortuna nel mondo greco, e che il generale tebano Gorgida estese nella creazione del Battaglione Sacro, un gruppo di opliti consacrati al dio Eros, uniti tra loro da legami affettivi. Se la persona al tuo fianco è quella che ami di più al mondo, persino l’Ade dovrà temere la tua furia.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.