Il nuovo brand “puzzle-horror” che sta già entusiasmando il pubblico

Il cinema commerciale è una realtà con cui si deve fare i conti. Hollywood è alla continua ricerca di nuovi brand finalizzati a staccare i biglietti, che si appoggiano sulle solide garanzie di elementi appetibili ad un pubblico generalista. Soggetti studiati minuziosamente per durare nel tempo capitolo dopo capitolo. Non è strano quindi pensare che Escape Room, thriller psicologico ancora inedito in Italia (arriverà il 14 marzo) abbia già un seguito annunciato, alla luce dell’ottimo risultato al botteghino con i suoi 115 milioni di incasso in terra statunitense, al fronte dei soli 10 milioni di costi di produzione.

Alla luce di tutto questo quindi, il film di Adam Robitel, regista del modesto Insidiuos 4, va valutato per quello che è, una pellicola di puro intrattenimento che cavalca un po’ il trend del torture puzzle horror per coprire il vuoto lasciato dalla saga Saw: L’enigmista da cui prende chiaramente ispirazione, rinunciando però alla sua vena gore per concentrarsi maggiormente sull’atmosfera. Per chi non lo sapesse, le escape room sono location ludiche realmente esistenti in cui giocando di ruolo, si viene “rinchiusi” in alcune stanze a tema variabile, e mediante indizi appositamente piazzati, i partecipanti collaborano per trovare una via d’uscita.

La trama del film è semplicissima: un gruppo di sette persone apparentemente distanti tra loro vengono invitate a partecipare ad una di queste escape room con la promessa di un ricco premio in denaro per il vincitore. Come è facile immaginare però, quello a cui saranno chiamati a partecipare non sarà un semplice gioco, ma dovranno letteralmente tentare di sopravvivere venendo a capo dei machiavellici enigmi di ogni stanza, che si riveleranno una trappola mortale a tempo in caso di fallimento.

In un film del genere, è molto importante studiare scenografie interessanti e articolate, in modo che lo spettatore si senta incuriosito e partecipe dell’azione scongiurando una facile prevedibilità degli eventi. In questo il film riesce abbastanza bene, le sfide proposte ai contendenti sono sempre piuttosto originali e articolate, strutturate in modo da costringere i protagonisti a competere o collaborare (anche assecondando l’indole personale di ognuno di loro).

Se la trama verticale, la risoluzione di ogni stanza, funziona quindi molto bene come individuali momenti cinematografici in cui la suspense, il ritmo, e il continuo rimescolamento delle carte in tavola sono sempre ottimamente scanditi, è nella linea orizzontale che collega tutti gli eventi che sempre più nel proseguo della storia si palesa una narrazione piuttosto derivativa, telefonata e se vogliamo banale. I misteri che ruotano intorno al coinvolgimento dei sette protagonisti convogliano sul finale verso espedienti fin troppo battuti. Quanto meno, la sceneggiatura cerca di arginare la problematica, e il loro background viene svelato poco a poco attraverso dei flashback furbescamente inseriti nell’arco di tutta la pellicola, tra una trappola e l’altra da disinnescare, in modo che il puzzle generale non venga svelato dall’intuizione dello spettatore troppo presto.

I protagonisti poi, sono pedine nella scacchiera definite senza infamia e senza lode. Si è prestata attenzione a diversificare con decisione la personalità di ognuno di essi, ma nessuno brilla per una caratterizzazione particolarmente ricercata che esca dagli schemi dei soliti archetipi (lo sbruffone, il menefreghista, il nerd, ecc.). L’interpretazione è comunque di buon livello  e i personaggi (tra i quali spicca sicuramente quello della bellissima Deborah Ann Woll come volto più noto) rimangono credibili, cosa non sempre così scontata in film di questo genere.

Quella che emerge infine, è una produzione senza virtuosismi ma fatta con mestiere, priva forse dell’intensità estetica con cui James Wan riuscì a donare al primo Saw un certo carisma, ma ugualmente piacevole nella sua pacatezza e la sua costruzione della tensione più celebrale e meno disturbante. Un paio d’ore che scorrono lisce come l’olio e un film che non delude assolutamente le aspettative, a patto che siano quelle giuste.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!