Com’è giocare Spyro a vent’anni dall’uscita senza l’effetto nostalgia

Le remastered dei classici Playstation stanno facendo felicissimi tutti quelli che vent’anni fa ebbero le loro prime esperienze con la fortunatissima primogenita di Sony. Dopo il pacchetto contenente la storica trilogia di Crash Bandicoot è recentemente arrivata una nuova trilogia dedicata ad un altro eroe della nostra infanzia, Spyro the Dragon, giusto per ingannare l’attesa di un’altra icona fondamentale dell’era PlayStation, MediEvil. Se è vero che queste operazioni propongono prodotti rimodernati brillantemente sotto il profilo tecnico, bisogna tenere presente che la leva principale rimane la nostalgia canaglia. Quello di cui vi voglio parlare oggi è un po’ il contrario di tutto questo, ovvero l’esperienza di una persona che si approccia a Spyro: Reignited Trilogy pur non essendo il target di riferimento di una produzione di questo tipo.

Prima di iniziare è giusto fornirvi una rapida infarinatura sulla mia formazione videoludica: da bambino acquistai un Nintendo 64, e solo successivamente misi le mani su una Playstation. Il mio imprinting con platform 3D, così come i miei ricordi d’infanzia con tutta la nostalgia che può conseguirne, sono dunque legati ai titoli di Nintendo e Rare. Mario 64 e Banjo-Kazooie sono i platform 3D di quando ero bambino, quelli a cui ho legati più ricordi in assoluto. Oggettivamente, ma anche con il senno del poi, mi sento anche di affermare che si trattava di giochi strutturalmente più complessi rispetto a un Crash Bandicoot o uno Spyro, al netto dell’ottimo lavoro svolto da Naughty Dog e Insomniac. L’approccio al platform di Crash resta comunque molto diverso rispetto a quello di Nintendo, mentre Spyro raccoglie alcune delle intuizioni del capolavoro di Miyamoto, seppur in piccolo. Tutto questo per sostenere la seguente tesi: giocare i grandi platform dell’era Playstation dopo aver giocato Mario 64 mi sembrava limitante.

Ho così avviato Spyro senza la gioia del rivedere un vecchio amico dopo tanti, ma anche senza la paura di rimanerne deluso visto lo scarso coinvolgimento in tenera età, scatenando però l’inaspettato, il paradosso: probabilmente grazie all’elasticità mentale dell’adulto, infatti, ho apprezzato la trilogia di Spyro più adesso che tanti anni fa.

Toys For Bob ha fatto un eccellente lavoro sotto il profilo tecnico, e questo è evidente per chiunque abbia posato gli occhi anche solo su un trailer del gioco. C’è qualche calo di framerate invero fastidioso, ma la resa complessiva su Playstation 4 Standard e Pro è veramente eccellente. I fili d’erba che prendono fuoco, il design finto quanto basta che fa sembrare i personaggi fatti di pongo, con curve morbide che perfettamente si sposano con il design riconoscibilissimo di Insomniac: tutto in Spyro Reignited Trilogy non può che mandare in sollucchero chiunque adori l’estetica del videogioco anni ‘90.

Il gameplay invece è il rimasto il medesimo di vent’anni fa, così come è stato per Crash. Quello che da piccolo mi faceva sentire limitato, ovvero l’estensione delle mappe, un senso di ripetitività nell’estetica di queste, e il gameplay meno complesso mi ha invece colpito in positivo nel 2018. Premesso che i tre giochi della serie di Spyro sono un crescendo sotto il profilo strutturale e di profondità di gameplay, sempre di fronte alla prima scuola del platform 3D ci si trova. Spesso si dice che less is more, e sono tendenzialmente d’accordo anche a prescindere da Spyro.

Visto che a quanto pare mi sto divertendo un sacco a divagare, centriamo il punto: giocare a Spyro è divertente proprio perché è di una semplicità disarmante.

I livelli sono estremamente lineari – meno nel secondo e nel terzo gioco, ma sempre piuttosto semplici – rispetto a quello a cui siamo abituati a giocare ora, ma anche meno rispetto a quanto si vedeva in Mario 64. I puzzle cervellotici e le sfide al limite della bestemmia sono ridotti al minimo senza frustrare il giocatore ma anzi invogliandolo a provare e riprovare ogni sfida perché è evidente che il risultato è a portata. In Spyro si ha costantemente una gratificazione, non ci sono momenti in cui si rimane impantanati e non si riesce ad andare avanti.

Le cose da fare sono sostanzialmente sempre le stesse, i collezionabili non troppo vari e, come si è detto, la struttura è molto lineare. Ciononostante i tre Spyro divertono di un divertimento puro e leggero, verosimilmente proprio grazie a questa “pochezza” di contenuti che non obbliga il giocatore a imparare sempre cose nuove, reinventandosi, ma gli mette in mano pochi strumenti per completare il gioco restituendogli costantemente soddisfazione, in totale controtendenza con lo spirito delle grandi produzioni di oggi, tanto che diventa quasi un paradosso che nel terzo capitolo, dove le cose da fare aumentano assieme ai personaggi da controllare, troviamo proprio in queste distrazioni il problema più grande, e quello che dovrebbe variare la formula per allontanare la ripetitività diventa un noioso intermezzo da chiudere rapidamente per poter tornare a guidare il draghetto protagonista all’interno di quei livelli così lineari e simili tra loro.

Se quello che vi sto dicendo può suonare più come un’offesa che un complimento, dovreste forse rivalutare i diversi obiettivi che può avere un videogioco. Il divertimento brainless, per staccare la spina e rilassarsi, è nelle corde del videogioco e del videogiocatore da ben prima dei mondi aperti di questi anni ’10, al punto che, volendo forzare il concetto, uno Spyro può dare le stesse soddisfazioni di un Dark Souls, con il giusto approccio mentale.

Oltretutto, Spyro è decisamente più fruibile di Crash Bandicoot, nel 2018. I mondi timidamente aperti sono più ricevibili per i giocatori che hanno avuto le prime esperienze videoludiche dopo l’epoca PS1 perché più prossimi ai videogiochi più moderni, mentre la struttura “a corridoio” di Crash lo rende probabilmente più difficile da digerire e più legato ai giochi di piattaforme a scorrimento laterale. A questo va sommato che la difficoltà a tratti folle di Crash Bandicoot lo rende un gioco decisamente arduo per i meno avvezzi al platform degli anni ‘90, come dimostrato dalle tante lamentele dei giocatori all’uscita del remake di Naughty Dog. Tornando sul personale, come vi ho detto in apertura ho approcciato le due serie allo stesso modo e con la stessa predisposizione mentale in occasione dei remaster: non mi piacquero all’epoca, ma li ho riprovati ugualmente. Se però Crash continua ad essere un gioco decisamente fuori dalle mie corde, Spyro the Dragon ha il piglio giusto per spingermi a giocare ancora quando ho bisogno di distrarmi.

 

Quello su cui mi interrogo è come mai ho rivalutato Spyro.  Probabilmente da bambino ero meno elastico mentalmente, come è normale che sia, e avevo anche meno capacità di porre le cose in prospettiva. Se prima vedevo solo l’inferiore complessità rispetto alle controparti di Nintendo, mancando di visione d’insieme, adesso Spyro mi è apparso prima nei suoi aspetto positivi che in quelli dati dalla comparazione con altri prodotti teoricamente dello stesso genere. Se da piccolo il platform era platform, e l’offerta Sony era inferiore a quella Nintendo e basta, adesso mi pare semplicemente un modo diverso di declinare un genere, con obbiettivi diversi. 

Lo scopo di quello che avete letto penso sia chiaro, ma vado comunque ad esplicitarlo: sicuramente avrete trovato tantissime opinioni di persone perse nel fiume dei ricordi dal primo avvio di questa Reignited Trilogy. Quello che mi premeva qui raccontarvi è che, presa con il giusto spirito, la trilogia di Spyro è una collezione di bei giochi a prescindere dalla vostra formazione, avendo la capacità di farsi apprezzare anche da chi non è legato da particolari memorie all’avventura di Insomniac. Un gioco sicuramente semplice e d’altri tempi, e che al netto di alcune ovvie ripetitività principalmente stilistiche, riesce a tornare verso un tipo di gameplay più semplice ma non per questo meno divertente. Anche se da piccoli non avete mai giocato a Spyro, probabilmente non vi dispiacerà provarlo oggi, ammesso che lo approcciate con la giusta forma mentis.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.