Storia di una relazione dimensionale fra i platform di Nintendo

Nello spazio-tempo videoludico, Super Mario (ma anche il brand “Mario” nella sua estensione galattica) ha avuto, e continua tutt’oggi ad avere, un ruolo importantissimo. Dagli esordi, nel 1985 con Super Mario Bros., passando per dei “giochi-evento” come Super Maro Bros. 3, Super Mario World e Super Mario 64, fino all’ultimo Super Mario Odyssey, il platform di Nintendo si è sempre contraddistinto per gli elevati valori produttivi messi in campo e per un attento e ragionato equilibrio fra innovazione, rivoluzione e tradizione. Last, but not least, arriviamo al fanalino di coda rappresentato da New Super Mario Bros. U Deluxe, riedizione tirata a lucido del capitolo uscito originariamente nel 2012 per WiiU su cui torneremo più tardi.

Premesse generali: codice genetico al microscopio

Come ai più non sarà sfuggito, nel breve, e tagliato con l’accetta, riassunto di alcuni dei capitoli più importanti, abbiamo volutamente messo insieme gli esponenti della serie bidimensionale e quelli della serie tridimensionale. E lo abbiamo fatto non perché riteniamo gli stessi identici o perfettamente sovrapponibili, ma per meglio sostenere il tentativo di analisi che andremo ad affrontare e a presentarvi. Cioè nel provare a rintracciare, nelle diverse strade intraprese da Nintendo, punti di contatto e similitudini tali da comprovare l’esistenza di “semi comuni”, che piantati hanno sì dato vita ad arborescenze differenti per esiti e montaggio, ma che, internamente, possono svelare uno statuto ontologico a doppia elica affine. Risalire i diversi rivoli, insomma, per approdare alla fonte primordiale, berne un sorso e (illuderci di) scoprire un qualcosa che, nel nostro interno, sapevamo già.

Come buona prassi insegna, per prima cosa è bene partire dall’inizio. Ovvero dal momento esatto, dal crocevia strutturale, in cui la serie, nata come platform 2D (del cui genere non rappresenta l’iniziatrice originale, ma sicuramente l’archetipo di riferimento per tutto ciò che è venuto, e avvenuto, dopo), si è aperta alla tre dimensioni. Se con Super Mario Bros. 3 e con Super Mario World, Nintendo raggiunse quell’apice qualitativo e step quantitativo probabilmente mai più sfiorato e gettò le basi per quell’estensione geografica votata a una maggiore esplorazione, pur rimanendo ancorata alla concezione di design del livello come percorso orizzontale, fu con Super Mario 64 che tutto cambiò.

L’ottavo capitolo della serie, infatti, con la sua uscita, fu artefice della prima fondamentale spaccatura nella serie: da quel momento in avanti l’unicum mariesco si separò in due entità distinte. La prima, che dovrà attendere sedici anni per un nuovo epigono, e che continuerà a muoversi nel solco della tradizione, fatta di perfezione nei controlli, level design calibrato al pixel e palestra in cui esercitare l’arte dell’esecuzione zen; e la seconda, divenuta ormai una serie parallela a tutti gli effetti, con la pesante eredità di laboratorio creativo attraverso cui esplorare ulteriori “mondi possibili”.
Tuttavia è proprio da questa crepa, dall’indagine che segue la scoperchiatura di questi strati digitali, che è possibile collocare quel processo di inseminazione che portò sì la serie a separarsi e a prendere due strade differenti, ma, contemporaneamente, a continuare quel dialogo interiore fatto di precisi colpi di martello nel tentativo di accomodare nel migliore dei modi possibili tutti gli elementi di quella partitura che traduce la magia del codice in un videogioco.

Relazioni parentali: l’esplorazione dimensionale e il rapporto con il pubblico

Sbrigate le dovute premesse e liberato il campo da possibili fraintendimenti, possiamo illustrare con maggiore precisione e puntualità la breve e sintetica eziologia che vogliamo applicare. L’idea è che fra le due serie, fra i Mario 2D e quelli 3D, al di là di facili riconduzioni dovute alla medesima paternità, esista e sia vigente un rapporto di simbiosi sotterraneo, nascosto da un rapporto negativo di profondità e di coordinate cartesiane, che comporta una comunione di intenti e di medesime problematiche risolte in maniera differente senza che un mondo arrivi a cancellare necessariamente l’altro. Ci troviamo di fronte a una situazione simile a quella del libro Flatlandia: il mondo bidimensionale che ci viene presentato nella sua interezza, nelle sue regole e nella sua finitezza, non viene messo in discussione nel suo esistere dalla scoperta di ulteriori dimensioni: la pluridimensionalità aggiunge, o affianca: non elimina mai.

Lo stesso devono aver pensato in Nintendo quando, l’esigenza di aumentare gli orizzonti esplorativi e di realizzare dei veri e propri racconti, li ha spinti, per quanto riguarda Super Mario, verso una maggiore apertura e un grado di libertà mai visti prima. Soprattutto impossibili da realizzare ripetendo pedissequamente la matrice dei Super Mario per come tutti la conoscevano. Questa nuova consapevolezza, unita alle maggiori performance del Nintendo 64, ha generato il capolavoro che tutti conosciamo.

E per quanto riguarda l’istmo che ha continuato a tenere unite le due produzioni? Ci arriviamo e nel farlo ci aiutiamo con le parole di Shigeru Miyamato.

Il celebre sviluppatore e padre di capolavori assoluti del videogioco, in un’intervista del 1996, in merito allo sviluppo di Super Mario 64 riferisce che nel gioco, in termini di gameplay, sono intenzionalmente tornati verso uno stile più vecchio.

Nei giochi di Mario fino ad ora, abbiamo creato ogni livello con attenzione pixel per pixel. Pensa al salto, per esempio. Implementare il salto in 3D è stato difficile.

Nei vecchi titoli potevamo misurare il numero di pixel per i quali Mario poteva saltare e sapere esattamente cosa fosse possibile. Questa volta tuttavia, abbiamo dovuto creare dei livelli in modo tale che, se il giocatore non riesce per poco a raggiungere un appiglio, ce la fa comunque; era troppo difficile da capire per il giocatore. Questo è stato un cambiamento di design nel bel mezzo dello sviluppo, quando il gioco era già a buon punto. C’è stata molta disapprovazione da parte dello staff.


Q: Sembra che il salto sia diventato più intuitivo e meno quantitativo.

Miyamoto: Esattamente. Ma questa è la differenza maggiore fra il 2D ed il 3D. Allo stesso tempo, è questo dinamismo che i giocatori apprezzano in un gioco in 3D. L’essenza di cosa rende un gioco in 2D “divertente” è totalmente diverso.

Ciò che possiamo apprendere da queste poche righe sono, essenzialmente, due fatti: il primo è che Super Mario 64 per venire incontro alla sua stessa rivoluzione è stato semplificato rispetto ai titoli 2D; e, secondo, che l’intrattenimento e il divertimento vanno di pari passo con la forma dimensionale di riferimento. Avere cognizione del perché e del come una meccanica ludica funziona in un contesto di game design e di level design è fondamentale, anche per riuscire ad accontentare la propria utenza.

L’uno si è reso possibile grazie all’esperienza e al confronto diretto con il precedente: all’apparenza così differente ma contenente tratti similari e un bagaglio di dati dall’elevato contenuto informativo. Primo su tutti, il profilo approssimativo di un pubblico di riferimento – non non avvezzo a tutta quella libertà di movimento o alla telecamera mobile, e che per questo andava soccorso operando una semplificazione per allargare le maglie dell’accessibilità. E, nonostante questo, in alcuni giocatori, SM64 ha creato la sensazione che i giochi in 3D fossero troppo difficili per loro.

Tutto questo sembra andare di pari passo con l’idea che sia la serie 2D ad essere la più accessibile per natura: immediata, dai controlli così semplici da risultare sempre freschi e con una leggibilità d’azione cristallina. Ed è in parte vero, ma semplicemente perché la stratificazione verticale permette molteplici approcci: da quelli mordi e fuggi indirizzati al solo completamento del livello, passando per il completismo che aumenta il gradiente di difficoltà, fino alle speed-run che fanno esplodere il codice e che affiancano all’enciclopedismo mnemonico un’abilità di riflessi talvolta istintivi e funambolici.

La densità sembra essere la chiave di tutto: non di contenuti, ma intesa come differente sforzo richiesto per scandagliarne le profondità. Parliamo della variabilità dell’approccio che viene modellata sulla base di comuni istanze: cioè quell’interesse presente in Nintendo nel dare al giocatore un prodotto equilibrato e divertente, che possa soddisfarne, con fortune alterne, i desideri. E, per quanto riguarda Super Mario, tutto questo è stato possibile grazie al continuo e incessante confronto fra due creature legate da nessi e ricorrenze tessili: apparentemente invisibili ma in realtà rintracciabili acuendo lo sguardo, o semplicemente giocandoci. Nella volontà di raggiungere, in base alle esigenze autoriali, territori sognanti e volti alla meraviglia come quelli dei Mario 3D, o rimanere nei classici ma soddisfacenti territori al grado zero dei Mario 2D.

Un legame profondo che pone, in un connubio alchemico fra passato e presente, una sapienza chirurgica della peculiarità che è giunta, fin da quel lontano 1996, a saper estrarre “quel germe” per innestarlo in ibridi difformi e che garantisce non solo la possibile coesistenza delle due formule, ma la necessaria compresenza per una reciproca valorizzazione.

Il lungo cammino: dalla sapienza a una filosofia di Super Mario

La consapevolezza spesso porta alla conoscenza e Nintendo sicuramente possiede quel particolare quid, forse esclusivo o semplicemente nipponico, che le permette una costanza sorprendente nella qualità di ogni sua produzione.
Probabilmente, tale indeterminabile elemento risiede nella così detta “magia Nintendo”, che qui preferiamo chiamare “filosofia Nintendo” nel tentativo di definire, attraverso un’indagine speculativa, il passaggio da quel primordiale atto creativo alla messa in stock di un brevetto industriale come garanzia di qualità.

Vogliamo dire che, seppur il guizzo della genialità è sempre presente, e ce lo ricorda benissimo Super Mario Galaxy, con la sua sfericità galattica e con il suo rinnovato approccio addizionale mirato all’inclusività (la piroetta è stata introdotta per semplificare i combattimenti con i nemici, ad esempio), in qualche modo, l’istituzionalizzazione da manuale di Nintendo può aver ridotto in potenza quel fecondo incontro fra le parti, producendo più un piatto avvicinamento che una gloriosa contaminazione e influenza reciproca.

Nel senso: è ovvio che Super Mario Odyssey e Super Mario 3D Land (World) siano degli ottimi giochi, ma è anche vero che quella sperimentazione, quella spinta evolutiva e accumulativa da una parte e il coraggio per l’innovazione aperta dall’altra, sembrano essersi ridotti a un manierismo un po’ acciaccato e stagnante. Esiti che sembrano voler mantenere uno status quo, fatto di strizzatine d’occhio ai veterani e di rassicurazioni per i neofiti.

Fine del viaggio: New Super Mario Bros. U Deluxe, un verdetto circolare

Con l’esempio di New Super Mario Bros. U Deluxe, versione definitiva (comprendente anche lo stand alone con Luigi e una serie di croccanti extra) e pompata graficamente del capitolo uscito nel 2012 su WiiU, tentiamo idealmente di chiudere il cerchio del nostro ragionamento.
Ciononostante, prima di concludere occorre fare un passo indietro fino al lontano 2006.

In quegli anni, una sorridente Nintendo decise di ripescare dalle proprie radici quel platform con scorrimento a destra che tanto la rese famosa. Gli ingredienti di questa ricetta furono: forma e meccaniche del primissimo Mario Bros., parti di Bros. 3 e World, nonché spezie provenienti dalla serie fratello-cugina nata con Mario64. Un singolare incrocio che, tuttavia, seguendo ciò che abbiamo tentato di affermare finora, non dovrebbe sorprendere più di tanto: siamo di fronte all’emersione in superficie di movimenti sotterranei e abissali presenti da tempo nelle cavità delle due serie. Il risultato fu un sapiente mix di elementi, fra familiarità e innovazione. Un sapiente accordo che ha saputo rielaborare il già conosciuto con efficaci tocchi di modernità (i personaggi per la prima volta sono poligonali, ad esempio, e Mario, per via di una nuova inerzia, non è mai stato così sciolto e atletico).

Il successo non tardò ad arrivare e fece di New Super Mario Bros. uno dei giochi più venduti di sempre e un format che Nintendo decise di continuare a riproporre. A quel primo “New”, infatti, seguirono negli anni: “New Super Mario Bros. Wii, New Super Mario Bros. 2 e New Super Mario Bros U.

Chiusa la parentesi storica, arriviamo all’11 gennaio scorso, giorno di uscita di New Super Mario Bros. U Deluxe. Ripetere oggi, nel 2019, ciò che venne detto sette anni fa risulterebbe forse ripetitivo e superfluo; di conseguenza per quanto riguarda un giudizio nei confronti del titolo possiamo sintetizzarlo con un “più che buono esponente della serie New Super Mario, equilibrato nel livello di sfida proposto e capace di rappresentare in pieno la cura made in Nintendo”.
Insomma, un ottimo titolo ma non un capolavoro.

E ovviamente è qui che risiede il problema: non tanto nel giudizio individuale, nei confronti del singolo titolo che non deve per forza rispondere a una legge di natura che prevede la messa in commercio esclusivamente di capolavori, ma nel valutare l’intero processo che ci ha condotti fino a questo punto.

Quello che si può rimproverare a Nintendo è una certa indolenza creativa e spirituale, quella che le ha permesso di rallentare, se non immobilizzare, quel tortuoso percorso interno di continui e incessanti rimandi, di botta e risposta fra principi ludici ed estetico-formali, alla base delle proprie produzioni. Quella leggera parabola discendente che ha, prima prodotto quel sistema di scatole cinesi che è Super Mario Odyssey, incredibile ma dal sapor di biblioteca, e poi quest’ultimo (riproposto per due volte) New Super Mario Bros. U: un pigro sfoggio di incredibile talento. E se è vero che il talento fa quello che vuole e il genio quello che può, desideriamo una Nintendo “consapevolmente inconsapevole” nel suo continuo progredire, sbagliare, imparare e crescere. Come l’ultimo Zelda insegna, insomma.