“Dumbo è il soggetto perfetto per trattare i temi a me cari, lui è diverso, ma è soprattutto speciale”

Nella meravigliosa cornice romana offertaci dal lussuoso Hotel Eden, siamo stati onorati dalla presenza del Maestro Tim Burton, il quale, tra aneddoti curiosi della sua vita e molte risate, ci ha raccontato l’evoluzione della sua carriera e la nascita della sua ultima pellicola: Dumbo.

intervista tim burton

 

In questo film il protagonista indiscusso, ovviamente, è Dumbo e la cosa che maggiormente rapisce lo spettatore non sono le orecchie, ma gli occhi, così vivi, azzurri e profondi. Volevo sapere se gli occhi fossero qualcosa verso la quale mostra una particolare attenzione e perché ha optato per questo sguardo dell’elefantino?

Poiché si tratta di un personaggio che non parla, le emozioni dovevano essere trasmesse tramite un modo diverso, per questo sono andato alla ricerca di una forma pura in un mondo caotico, e ho pensato che il modo migliore era attraverso gli occhi. Ci abbiamo lavorato molto per cercare di trovare la soluzione giusta.

Questo pellicola racconta molto il mercato dello show business. Alla fine si tratta di un’artista indipendente con un grande successo, che viene acquistato da una società più importante e con più soldi, che lo adopera per fare la stessa cosa, ma le logiche commerciali finiscono per distruggere tutto. Trova delle similitudini con il rapporto grandi-piccoli del mondo hollywoodiano?

Mentre parlava devo dire che ci ho riflettuto [ride] e come descrizione l’ho trovata calzante, ma non dimenticate che qui c’è il lieto fine. Tutto quanto conduce verso quell’ultimo e felice attimo.

Anche in Dumbo ritroviamo i temi della differenza, dell’essere diverso, dell’autostima, del fare di un difetto qualcosa di prezioso. Seguendo però la parte finale del film, c’è un messaggio che fa riferimento ad un circo senza animali. Cosa ne pensa al riguardo?

Pur avendo fatto un film sul circo devo dire che non mi sono mai piaciuti. I clown mi mettevano paura, e gli animali che si esibivano mi mettevano tristezza. Gli zoo sono un discorso diverso, perché almeno i bambini possono imparare qualcosa, e questi luoghi, in parte, possono salvare alcune specie in via di estinzione.
Forse i cani e i cavalli sembrano divertisti al circo… No, forse solo i cani.

Il circo è senza dubbio uno dei suoi temi preferiti. Guardando questa pellicola mi è ritornata alla mente The Greatest Show on Earth di Cecil B. DeMille, dove c’è un gran fuoco. Si è ispirato a questo film? E per quanto riguarda gli occhi di Dumbo, all’origine ci fu un grande dibattito sul colore, lei ci ha pensato?

No, non ricordo questa polemica. Fortunatamente non c’ero.
Comunque sì, quel film è una sorta di circo biblico, con i 10 comandamenti del cinema di DeMille messi su schermo. Preferisco però Circus of Horrors, quella è la mia versione preferita.

intervista tim burton

In questo live-action c’è molta più componente umana rispetto al cartone originale. Come mai ha fatto questa scelta?

Nella sceneggiatura troviamo dei parallelismi tra i personaggi umani e Dumbo. Il tema che li unisce è quello della perdita, dell’assenza. I bambini non hanno più i genitori, Holt ha perso un braccio e il lavoro, per questo abbiamo un senso di disorientamento che li accomuna. Oltretutto il mio intento era quello di poter esplorare anche il tema della famiglia nelle sue forme meno convenzionali.

Nella sua autobiografia dice “Io e la Disney non ci siamo mai capiti […]”; com’è cambiato il suo rapporto con la Disney in questi anni?

Cos’è questa. una seduta dallo psicologo?! (ride n.d.R.) No, comunque la vita è bella perché è varia, strana, imprevedibile. La Disney alla fine è la mia famiglia, e come dicevo prima, in essa c’è del buono e del meno buono. Avete sempre amato la vostra famiglia? Ne dubito!

Nel cartone la sequenza dell’abbandono è fondamentale, e anche nel film viene approfondita molto. Questo argomento può essere ricollegato a fatti che stanno avvenendo al giorno d’oggi negli USA?

In realtà è un tema primitivo, non c’è nessuno collegamento con l’attualità, è il semplice rapporto intimo tra madre e figlio.

Nel 1941 è stato dato parecchio risalto alla sequenza cantata “Bimbo Mio”, mentre nella sua versione è stata accorciata. Come mai questa scelta?

In realtà non è stata una scelta fatta in maniera consapevole. Dobbiamo anche ricordare che il film originale è abbastanza corto, circa 60 minuti, con la sequenza che dura quasi 10. È una scena importante, con una canzone profonda e anche un po’ strana, e ho voluto segnare  un momento così bello con una durata giusta.

Guardando i personaggi che ha scelto lei per Dumbo, mi è parso che avesse già pensato da molto tempo al cast migliore per questo film. In primis  Danny DeVito. È così?

Sì, assolutamente. Perché proprio si parlava di famiglia, per me era molto importante lavorare con figure che conoscevo bene, con i quali avevo collaborato già in passato, come Danny, Michael, Eva Green. Perché in fondo il circo è come un film, con un gruppo di persone strane che insieme cercando di realizzare qualcosa, e qui è il medesimo obiettivo. Sono onorato di aver potuto lavorare con queste persone.
Oltretutto con Danny ci siamo detti che abbiamo fatto tre film con un’ambientazione circense e a nessuno di noi piace questo mondo!

Come ha inserito la sua poetica in un classico Disney? Ed era proprio Dumbo quello più indicato?

Assolutamente sì, perché Dumbo era quello che maggiormente permetteva di potersi avvicinare alle tematiche a me care. Oltretutto, essendo un film molto vecchio, c’è stata la possibilità di prendere dei valori  molto belli e reinventarli sotto una nuova luce.

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In Dumbo quanto è stata adoperata la CGI? E quanto è stato realizzato tramite scenografia?

È stato molto strano realizzare questo film, perché abbiamo un cast grandissimo, con artisti importantissimi, ma mancava il protagonista! Per questo abbiamo realizzato un grande set per far sentire più a loro agio gli attori. È stato adoperato qualche green screen per alcune parti di cielo, ma niente di che, perché tutta Dreamland esiste. È un gigantesco lavoro di scenografia, una piccola città che va dal cancello principale sino al Colosseum.

Nel corso del tempo il suo cinema è diventato sempre più digitale. Questo è un segno dei tempi o lei si trova realmente a suo agio con queste tecniche?

Adoro le tecniche di una volta, è bellissimo anche il nuovo cinema, con le sue tecnologie che ti permettono di creare cose incredibili, ma continua a vivere dentro di me la passione per la natura tattile di fare cinema, e provo a mantenerla sempre viva.

Cosa prova a ricevere un premio sullo stesso palco dove verrà dato a Dario Argento? Ci può dire qualcosa di più sul vostro rapporto?

Il cinema italiano mi ha sempre ispirato, da Argento a Fellini, passando per Bava per completare il quadro. Dario è uno straordinario regista e ha anche un negozio pazzesco.

La sequenza degli elefanti rosa ci ha tormentato da piccoli, lei l’ha risolta tramite un artificio del nuovo circo, riuscendo a trasformare una sequenza psichedelica in magia. Come ci è riuscito?

È una sequenza veramente strana, lo era all’epoca e lo è tutt’ora, ma ho voluto modificare una sequenza che dona tormento, in una più genuina, tramite l’arte delle bolle di sapone. È anche utile per entrare nella mente di Dumbo.

Cosa prova a ricevere il David di Donatello?

È veramente speciale per me, considerando che non ho ricevuto tanti premi in vita mia, e riceverlo nel paese che artisticamente mi ha ispirato grazie ai suoi grandi registi, nel paese dove mi sento a casa. Per me vuol dire tanto.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.