Journey to the savage planet è un FPA di quelli pieni di esplorazione e salti, ed è anche la prima sorpresa di questo 2020. 

Vi dico la verità, non avevo grandissime aspettative per Journey to the savage planet. Mea culpa, viviamo nella cultura dell’hype e del marketing più aggressivo, e ancora una volta mi sono reso conto sulla mia pelle di come la comunicazione impatti sulle aspettative che si hanno su un prodotto.

I trailer del gioco calcavano molto la mano sull’aspetto più ironico e cazzone del gioco, e io per qualche motivo non apprezzo granché i videogiochi comici.

Sottovalutare Journey to the savage planet è stato invece un grandissimo errore, perché una volta iniziato e presa dimestichezza con il sistema di gioco mi sono accorto di avere di fronte un ottimo First Person Adventure, un genere di cui faccio fatica a ricordare altri esponenti oltre i Metroid Prime e ReCore (quest’ultimo peraltro in terza persona e sottovalutatissimo).  

Journey to the savage planet non è solo ironia e critica alla società capitalista, ma prima di tutto è un ottimo titolo, divertentissimo da giocare. La premessa è molto semplice: la quarta miglior società di esplorazione spaziale sta inviando astronauti a cercare pianeti abitabili, e il nostro protagonista senza nome è proprio uno di questi. Ci troveremo quindi catapultati su un mondo alieno con lo scopo di studiarlo catalogando flora e fauna per scoprire se è possibile colonizzarlo.

Dopo pochissimo minuti però scopriremo che sul pianeta si erge un’alta torre, segno evidente della presenza di una civiltà intelligente. Lo scopo diventerà quindi non solo esplorare e catalogare, ma anche cercare informazioni sui precedenti abitanti del pianeta.

Sembra una cosa seria, ma non lo è dato il tono scanzonato della produzione. Il gioco di Typhoon infatti mette in chiaro fin da subito la volontà di non prendersi troppo sul serio, mostrando sullo schermo dell’astronave filmati piuttosto surreali in live-action del CEO della società per cui lavora il nostro esploratore e spot televisivi, anch’essi piuttosto improbabili, che descrivono una Terra ormai allo sbando. Non bastasse questo, anche l’intelligenza artificiale che ci guiderà e supporterà durante l’avventura è piuttosto cinica e sarcastica.

journey to the savage planet (6)

Il tono e le riflessioni che sostengono Journey to the savage planet sanno sicuramente di già visto e di già trattato in maniera più approfondita, anche nel recente Outer Worlds, e Typhoon sembra saperlo nel lasciarle di sfondo fino alle ultimissime battute del gioco, in cui il tono diventa improvvisamente e momentaneamente serio.

Quello che veramente rimane di Journey to the savage planet è invece l’avventura, la scoperta e la sperimentazione, il piacere di giocare. Come detto si tratta di un’avventura in prima persona durante la quale dovremo esplorare un pianeta. L’area di gioco, suddivisa in tre zone, non è estremamente grande, ma è estremamente stratificata e complessa, zeppa di segreti e di oggetti da raccogliere.

Come in un metroidvania tridimensionale sarà nostro compito innanzitutto capire dove andare, e poi come arrivarci. La struttura del gioco prevedere la scoperta e l’utilizzo di diversi potenziamenti che scopriremo analizzando la flora locale e poi trovando l’oggetto utile alla sua costruzione. C’è un minimo di raccolta di risorse e di crafting, e anche delle missioni secondarie che prevedono compiti come “cadi per 50 metri senza morire”, ma tutto è tarato in modo da non essere tedioso e anzi, di risultare molto naturale se non si corre verso gli obiettivi ma si esplorano bene le aree.

La scoperta di nuovi power-up apre chiaramente nuove strade per avanzare, ma permette anche di trovare zone segrete nelle aree già visitate. La progressione principale è comunque piuttosto lineare, e non è mai strettamente necessario tornare indietro, se non per voglia di completezza.journey to the savage planet (6)

Questa flessibilità in grado di soddisfare sia chi vuole andare avanti all’obiettivo sia chi vuole esplorare ogni millimetro è certamente uno dei punti forti del gioco, e non può che andare a braccetto con un ottimo design delle aree di gioco: queste si sviluppano sia in verticale che in orizzontale e presentano diversi enigmi che, unitamente ai potenziamenti che man mano vengono sbloccati, propongono sfide sempre nuove e stimolanti.

L’altro elemento che rende così divertente l’esplorazione è poi il platforming, che sfrutta al massimo l’estensione delle aree che andremo ad affrontare. Se molti potenziamenti sono infatti da utilizzare per risolvere enigmi, altri servono ad ampliare le possibilità di movimento. Aree prima inaccessibili diventeranno così a portata di salto o di jetpack.

Saltellare con accuratezza è estremamente importante in Journey to the savage planet, e spesso è anche complesso e richiede molta attenzione e precisione, soprattutto nelle aree avanzate o per raggiungere le zone più nascoste. Il sistema di salto è estremamente preciso e rende queste fasi dinamiche estremamente divertenti, favorendo la sperimentazione e incentivando il giocatore a raggiungere ogni sporgenza. 

Ovviamente tra un salto e un puzzle c’è anche spazio per il combattimento, non esattamente riuscitissimo ma neanche centrale nell’economia del gioco. C’è una sola arma a disposizione e gli scontri non sono così emozionanti, ma il gioco non punta certamente su questo. Anche le boss fight propriamente dette sono pochissime, e fin troppo simili tra loro, ma funzionano bene, soprattutto perché lo sparare è piuttosto marginale e viene anche in questi casi favorito il platforming.

C’è da dire che quello che manca un po’ è un setting davvero affascinante. I diversi biomi che compongono il pianeta sono belli, e le enormi strutture aliene colpiscono la prima volta che ci si entra in contatto, ma finisce lì. Il taglio ironico della vicenda e la mancanza di una lore complessa non vanno a rovinare l’esperienza, ma è innegabile che un gameplay di questo tipo si sarebbe meglio accompagnato a un impianto narrativo più incline a motivare l’esplorazione e la voglia di scoprire ogni retroscena relativo a un ambiente alieno e in precedenza abitato.

L’amalgama di questi elementi è comunque eccezionale, e il risultato è un gioco che stimola continuamente a guardare dietro ogni angolo, a provare a saltare ovunque nella speranza (spesso ben riposta) di trovare un segreto.

Journey to the savage planet ha inoltre una qualità da non sottovalutare: va a riempire un vuoto. Non ci sono molti giochi dello stesso genere, e men che meno ce ne sono di recenti.

Non che non escano metroidvania 3D, bene inteso, ma difficilmente hanno lo stesso approccio all’esplorazione, al platforming e ai puzzle che ha Journey to the savage planet, o che aveva Metroid Prime, che era una fedele trasposizione tridimensionale dei Metroid 2D.

Questo però non deve far pensare che Journey to the savage planet sia bello solo perché risponde a una mancanza. Il titolo di Typhoon è bello perché è realizzato con cura, perché ogni cosa è dove dovrebbe essere e funziona come dovrebbe funzionare. Le dimensioni contenute del gioco, in durata ed estensione, sono un plus, e fanno in modo che non annoi mai e che non diventi mai frustrante, rimanendo sempre fresco.

Il prezzo di lancio contenuto dovrebbe inoltre invogliare chiunque ad intraprendere il suo viaggio nel pianeta selvaggio, certamente non se ne pentirà.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.