Non il solito gatto, ma uno Sfigatto

La striscia (strip, in lingua inglese) è la prima forma narrativa che il fumetto ricordi, la culla che lo ha fatto nascere. Certo, fa impressione, al giorno d’oggi, con tutte quelle strabilianti graphic novel piene zeppi di pagine, variant e contentini di ogni tipo, pensare che viene tutto da lì. In origine, erano quattro o cinque vignette in bianco e nero, poste in sequenza orizzontale, il cui fine era quello di farsi leggere saltuariamente, dal lettore occasionale. Un tipo di lettura fruibile a tutti i livelli, che potrebbe sembrare svincolata, o indifferente, dalle possibilità di una continuity, di una narrazione ad ampio respiro o di qualsiasi pretesa artistica. Niente di più falso. Come ci hanno insegnato fumetti leggendari dal calibro dei Peanuts, di Popeye, o i nostrani Sturmtruppen e Lupo Alberto, la striscia possiede delle incredibili potenzialità. E ne esistono di tutti i colori, ovviamente, con migliaia di stili differenti provenienti da culture tra loro lontanissime. Meno note sono forse quelle provenienti dal Giappone (anche dette Yonkoma), ma lo Sfigatto (Nekonaughey), portato in Italia da Star Comics, è pronto a battere un colpo in favore del Sol Levante e dei manga.

Lo Sfigatto è un micio come tanti: paffutello, facile alle coccole, dolce e decisamente adorabile. Purtroppo, a differenza degli altri membri della sua specie eleganti e fieri, viene perseguitato da una sfortuna cronica che complica tremendamente le sue giornate. Ogni volta che prova a fare qualcosa, la sfiga colpisce inesorabile. Cerca di cuocere una bella torta? L’impasto non lievita. Vuole mangiare qualcosa? Ed ecco che dall’hot dog sguscia via il wurstel o si rompono delle gustosissime uova. Per non parlare poi delle lattine che non si aprono, gli occhiali che si frantumano tra le sue zampe e di altri mille oggetti che, puntualmente, non funzionano. Tra una disavventura e l’altra, tra un buon proposito tristemente naufragato, lo Sfigatto non si arrabbia mai: osserva i frutti della sua malasorte senza scomporsi, con una sopportazione quasi stoica e molto, molto umana.

Lo Sfigatto Manga

Krazy Kat e lo Sfigatto, quando la striscia miagola

Dicevamo della grande eredità delle strisce, forse incalcolabile, nel mondo del fumetto. Di fatto, la nascita del fumetto come lo intendiamo oggi coincide con le pubblicazioni in formato di striscia sulle pagine domenicali dei quotidiani statunitensi (le cosiddette sunday pages), che divennero una felice consuetudine a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Non a caso, è lì che esordì quello che viene storicamente considerato l’archetipo di tutti gli eroi dei balloon: Yellow Kid, memorabile character che esordì nel 1894 ad opera di Richard Felton Outcalt. Da quel momento in poi, fu letteralmente un proliferare di personaggi che, sempre nel formato a striscia, accompagnavano le mattinate degli americani raccontando le loro strampalate avventure. Stiamo parlando di autentiche leggende del calibro di Little Nemo in Slumberland di Windsor McCay, The Katzenjammer Kids di Rudolph Dirks e Gasoline Alley di Fran King.

E proprio a partire dai giornali domenicali e dalle strisce in essi contenute il manga inizia il proprio sviluppo: nella metà dell’Ottocento, infatti, poco dopo che il Giappone aveva aperto i porti agli occidentali, questi ultimi iniziano a pubblicare giornali satirici illustrati dedicati ai residenti in Oriente. Non ci volle molto perché gli editori giapponesi iniziassero a loro volta a distribuire degli omologhi di questi giornali. Velocemente questo tipo di prodotti cambiò la propria denominazione da ponchi-e (illustrazioni alla Punch, letteralmente, dal titolo di una rivista) in manga, che per la prima volta comparirà nel titolo di un periodico con l’uscita del Jiji Manga, un supplemento del Jiji Shinpo. Sempre sul Jiji Manga uscirà nel 1902 la prima comic strip giapponese, il cui titolo tradotto è Il viaggio di Tagosaku e Mokube a Tokyo, in cui venivano raccontate le avventure di chi dalla provincia si trasferiva a Tokyo. La striscia diventò ben presto in Giappone uno strumento utile a raccontare la vita e le disavventure del popolo, ma anche per fare propaganda politica, prendendo spazio in pubblicazioni di qualsiasi tipo, rivolte a qualsiasi fascia di pubblico.

Tornando in occidente, non si possono dimenticare i seminali autori della “seconda ondata” come Milton Caniff e Hal Foster, insieme ad alcuni dei leggendari nomi di Rube Goldberg, Alex Raymond, e George Harriman con il suo Krazy Kat uno dei fumetti più famosi di tutti i tempi, pubblicato per oltre trent’anni senza interruzioni e capace di ispirare un numero incalcolabile di epigoni, cortometraggi, balletti e di finire perfino sui francobolli?

 

Lo Sfigatto StrisciaL’impatto di Krazy Kat nella cultura moderna è stato immenso, soprattutto se pensiamo che era la strip preferita di artisti e scrittori come Robert Crumb, Pablo Picasso e Jack Kerouac, che in quel micio strampalato e le sue avventure ambientate nella fantasiosa contea di Coconino vedeva nientemeno che un diretto antenato della Beat Generation. Tutto questo sta ad indicare come le strisce abbiano condizionato la società intorno a loro, complice anche la diffusione capillare attraverso i giornali. Elemento, questo, che col passare dei decenni si è purtroppo perso, vista la crisi dei mezzi d’informazione tradizionali e i mutati gusti di lettura del pubblico. Ma la striscia è riuscita a mantenere intatta la sua vitalità nei decenni e lo ha fatto trasferendosi altrove. Sul web, per esempio, dov’è tornata a prosperare anche più di prima. Infatti, è dalla rete (e soprattutto dai social) che provengono alcuni dei più grandi successi degli ultimi anni, raccolti poi in volume in cima alle classifiche di vendite. Come Sarah Andersen, che con le sue strip ha intercettato la sensibilità di milioni di giovani. O i nostri Labadessa e Giacomo Bevilacqua, senza andare troppo lontano. Forme di comunicazioni forti e vive, che, per rimanere in ambito “animalesco” ci portano allo Sfigatto, nuovo rappresentante di questa tendenza.

Lo Sfigatto, dalla rete al manga

L’avvento della rete ha dato la possibilità a tantissimi fumettisti di esordire e di farsi notare dal grande pubblico, un trampolino di lancio che li ha catapultati nel mondo dei professionisti. L’abbiamo visto in tutto il mondo, in America come in Europa, ed è accaduto perfino nella Terra dei Manga: il Giappone. One (tanto per citare un caso ben noto), il creatore di One Punch Man, è grazie alla rete che ha potuto pubblicare le prime avventure di Saitama e compagni, poi trasposte con straordinario successo sulla carta per i disegni di Yūsuke Murata. Lo Sfigatto è solo l’ultimo di un lunga serie di personaggi passati dal mondo digitale a quello reale, visto che le sue strisce sono state inizialmente pubblicate sui social per poi trasmigrare sulla carta con un manga stampato in ben 100 mila copie

Lo Sfigatto StrisciaUn’ascesa costante che l’ha portato a conquistare il Giappone e poi l’Asia intera. E probabilmente non se lo aspettava Yusuke Sakamoto, in arte Q-rais, quando ha cominciato a pubblicare in maniera amatoriale e scanzonata quelle prime pagine con protagonista il suo gatto pasticcione. Anche perché non stiamo esattamente parlando di un mangaka nel senso classico, bensì di un artista nato e cresciuto sull’altra sponda dell’industria culturale nipponica: quella dell’animazione. Infatti, nonostante abbia poi realizzato tanti altri manga (alcuni di buon successo come Suna Usagi, Higuma e Cenerentola), Sakamoto è appassionato di animazione fin da piccolo, tant’è che al liceo crea diversi cortometraggi da autodidatta e decide di laurearsi in questo campo all’università di Tokyo. E il suo talento, fuori dal comune, non fatica a farsi notare. Nel 2004 vince il Digi Star Award per il miglior cortometraggio e ne 2006 bissa sempre per la stessa categoria al secondo Kichijoji Animation Film Festival. Riconoscimenti importanti che non tardano a suscitare la curiosità dei colossi del settore, tant’è che Sakamoto nel 2009 viene assunto dalla Tohoku Shinsha Film Corporation, all’interno della divisione progettazione ed effetti artistici, dove lavora fino al 2017. E anche qui riesce a togliersi qualche sfizio, visto che vince il Premio d’Eccellenza al sedicesimo Festival dell’Animazione Internazionale di Hiroshima e al DigiCon6 dell’Asia.

Yonkoma: educazione giapponese

Yusuke Sakamoto non è certo l’ultimo arrivato, dunque, eppure lo Sfigatto è il primo dei suoi lavori a raggiungere l’Occidente e la terra promessa per questo sbarco è proprio l’Italia. Star Comics, che ultimamente si sta sforzando per offrire al pubblico italiano opere estranee al manga “mainstream” (come Lo Squalificato di Junji Ito), ha spinto molto per ottenere questo invidiabile primato. Un sforzo che si riconosce proprio nello Sfigatto, che è teoricamente un manga yonkoma, una tipologia che non ha mai avuto troppo seguito in Occidente nonostante le sue somiglianze col formato delle strisce. Il manga yonkoma, infatti, può essere considerato come l’equivalente giapponese delle strip: sono 4 vignette, poste verticalmente, che attraverso uno svolgimento piuttosto classico (inizio, svolgimento, climax e finale) sviluppano una storia dal forte contenuto umoristico grazie all’utilizzo di giochi di parole e battute di varia natura.

Sfigatto Yonkoma

Non solo: col parente americano condivide, come si è già accennato, anche l’importanza seminale nella storia del fumetto giapponese, visto che senza lo yonkoma probabilmente non esisterebbe il manga come lo conosciamo oggi. Infatti, nonostante sia una forma di comunicazione ancora attuale e molto usata, può esserne considerato il padre spirituale, il nobile precedessore. Anche perché la sua struttura deriva dalla poesia tradizionale cinese e giapponese poi, che attraverso lo schema dei 4 versi (denominato Kishōtenketsu o Kishōtengō) riusciva a raccontare storie brevi e di facile comunicabilità, tant’è che questa tipologia di narrazione musicata divenne quella tipica delle canzoni popolari

Lo yonkoma ha fatto suo questo meccanismo traducendolo in immagini e trovando un DNA particolarmente efficace. La prima vignetta di solito costituisce infatti l’inizio e serve a definire l’ambiente in cui è ambientata la storia, la seconda amplia la vicenda e prepara il contesto per le successive, la terza  è quella propriamente del colpo di scena inaspettato e la quarta è il finale vero e proprio, in cui il lettore assiste alle conseguenze della vignetta precedente. Ci vuole poco a vedere in questo schema le evidenti similitudini con le strip occidentali, che all’incirca hanno il medesimo meccanismo e quasi sempre lo stesso numero di inquadrature. Tuttavia, c’è una differenza sostanziale che riguarda soprattutto la percezione e l’importanza da parte del pubblico. Mentre le strisce americane, nonostante il loro largo seguito, avevano soprattutto la pretesa di intrattenere sui supplementi domenicali, lo yonkoma aveva (e ha tuttora) una forte impronta didattica, un po’ come gli spokon alla Slam Dunk. Infatti, proprio grazie alla sua istantanea comunicabilità viene usato come strumento informativo per mostrare ai lettori quali comportamenti tenere in determinati contesti sociali. Andare in banca e rispettare la fila, utilizzare i mezzi pubblici senza infastidire gli altri viaggiatori, mangiare senza sporcarsi… Lo yonkoma spiega come muoversi in una società civile, ha una funzione educativa sconosciuta all’Occidente e insegna (specialmente ai più piccoli) cosa devono fare e cosa non devono fare.

Manga Yonkoma
Il meccanismo degli yonkoma illustrato da Tezuka

Funzione, questa, che ha contribuito anche a creare quell’aria di sacralità che si respira intorno ai manga in Giappone, perché non c’è niente di più sacro di quello che ti trasmette i valori e le norme del vivere comune. Per comprendere l’importanza sociale e seminale dello yonkoma, basti pensare che era la forma con cui ha iniziato la sua carriera Osamu Tezuka, il “Dio dei manga“, nel Diario di Ma-Chan che raccontava appunto le vicende di un bambino qualunque con evidenti finalità morali/pedagogiche. 

Lo Sfigatto, la sfortuna come condizione umana 

In un primo momento, lo Sfigatto potrebbe sembrare il più tipico degli yonkoma, ma già ad una seconda lettura si capisce che non è così. Infatti l’intero manga, strutturato in capitoli che raccolgono le strisce finora pubblicate, riesce sicuramente nell’obiettivo di strappare una risata nel lettore, mostrandoci le disavventure del peloso protagonista. Disavventure che, dobbiamo ammetterlo, non sono poi troppo complesse: lo Sfigatto si trova in mezzo a situazioni normali e abitudinarie, in cui è difficile non riconoscersi. Tuttavia, tra un sorriso e l’altro, ci si accorge che è quasi impossibile ridere di gusto. Il perché è semplice: questo gatto, questo Sfigatto, con la sua espressione triste, quasi malinconica, che immancabilmente occupa la vignetta finale della striscia, quella della sfortuna che si è infine concretizzata, ci somiglia molto. Com’è possibile non vedere, in quel volto abbattuto, l’amarezza tipica dei nostri fallimenti quotidiani, delle nostre sventure che ci capitano ogni giorno e su cui, purtroppo, non abbiamo nessun controllo?

Lo Sfigatto mangaPotrà sembrare un accostamento fuori luogo, ma quell’espressione dello Sfigatto mi ha ricordato molto quella di Charlie Brown che, sempre sulla conclusione della striscia, inarca la bocca e spalanca gli occhi, in una reazione istintiva alle sfortune che lo travolgono. Tipo quando non riesce a calciare la benedetta palla da football per colpa di Lucy, quando si trova sulla collinetta del campo da Baseball e sta perdendo l’ennesima partita, o quando Linus gli propone un dilemma filosofico a cui non sa rispondere. Charlie Brown, in quel caso, ci fa sorridere e riflettere al tempo stesso perché le sue sfortune sono una metafora della condizione umana. E lo Sfigatto, in qualche modo, sembra riuscire a replicare il medesimo effetto. Niente di strano, tranquilli: è solo il grande potere della striscia.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!