Netflix confeziona una serie sci-fi che convince ma non troppo

Se volessimo rivisitare alla luce di Lost in Space un classico come Anna Karenina, senza arrivare a riscriverne l’intera storia in salsa steampunk come ha provato a fare lo scrittore Ben H. Winters con il suo Android Karenina, potremmo dire che tutte le famiglie felici si somigliano, mentre ogni famiglia infelice naufraga nello spazio profondo per intrattenere il pubblico di Netflix.

Proprio la complicata famiglia Robinson è infatti il fulcro attorno a cui ruotano gli eventi dei dieci episodi di questa prima stagione di Lost in Space, remake dell’omonima serie andata in onda dal 1965 al 1968 e bruscamente interrotta dopo tre stagioni e ottantatré episodi, adattata nel 1998 anche per il grande schermo da Stephen Hopkins in quella perla di trash che è il primo e unico film a vedere insieme Matt LeBlanc e Gary Oldman.

Prima di partire per un lungo viaggio

Le premesse da cui parte Lost in Space sono puro archetipo fantascientifico: la Terra non se la passa bene a causa dell’impatto di una meteora sul suolo, l’esplorazione spaziale è avanzata così tanto da poter permettere la colonizzazione di un esopianeta e gli alieni sono robottoni che ancora non hanno deciso se aderire o meno alle tre leggi di Asimov.

La famiglia Robinson, padre e madre sull’orlo del divorzio e tre figli dal quoziente di sfiga inestimabile, si trovano a dover effettuare un atterraggio di emergenza su un pianeta sconosciuto dopo che la loro nave madre, la Resolute, viene attaccata da un robot assassino; stesso robot che il loro figlio più piccolo, Will, salverà da un incendio, ottenendone la fiducia e, sembra, la cieca obbedienza.

Ovviamente i nostri non sono soli sul pianeta e altri membri della spedizione hanno trovato riparo in questo fortunatamente terraformato pianeta sconosciuto, tra cui i co-protagonisti dei Robinson nella storica serie: il pilota Don West (e la sua gallina Debbie, omaggio alla scimmietta aliena della serie classica) e il Dr. Smith in versione gender switching.

Here’s to you Mrs. Robinson

Per attualizzare la serie, o forse solo per stare al passo con i trend, infatti, i nuovi naufraghi Robinson presentano molte differenze dai loro antenati: se nella serie storica Maureen era la voce compassionevole che tratteneva il marito dall’abbandonare il Dr. Smith al suo destino, qua troviamo una donna che non teme di farsi male per difendere la sua famiglia, anche a costo di allontanarsi dall’uomo che ama; di contro John Robinson è un uomo fallibile, ma pronto ad ammettere i suoi errori. A contornare la coppia una figlia di primo letto, un’adolescente fin troppo adolescente e un bambino prodigio: ecco a voi la famiglia disfunzionale del momento.

Nonostante il grande budget si veda (per fortuna) e le scene action non manchino, resta la famiglia la colonna portante della narrazione: la fiducia, l’amore, le prove che i Robinson dovranno superare per restare vivi e uniti mentre intorno a loro tutto sembra venire risucchiato nel vuoto sono il motore di quello che al momento è forse il più riuscito dei prodotti sci-fi originali Netflix.

Time after time

Certo, non che la concorrenza fosse poi così spietata, visti i precedenti tentativi della piattaforma, ma per una volta ci troviamo davanti a una serie che, nella sua semplicità, restituisce una storia ben costruita e visivamente attraente. Lost in Space è un prodotto ideale per la fruizione in famiglia e per tutti coloro che subiscono il fascino dello spazio ma non si sentono pronti per il grande salto.

Perché, diciamoci la verità, non basta ambientare una storia nello spazio per avere un buon prodotto di sci-fi, ma una buona storia ambientata nello spazio a volte è tutto quello che serve per far venire voglia di continuare a investigare la narrazione speculativa, nido della fantascienza.

Lost in Space è una serie interessante che stenta però a fare quel piccolo salto che la renderebbe indimenticabile: la mancanza di approfondimento del setting e delle tematiche più interessanti, come per esempio l’etica del robot, è una delle pecche maggiori di questa serie, ma siamo sicuri che l’annuncio di un rinnovo per la seconda stagione sia dietro l’angolo e ci auguriamo che tutti i nostri interrogativi e la nostra fame di vedere lo spazio (e perché no, anche il tempo, se decideranno di introdurre l’elemento dell’hyperdrive) saranno soddisfatti.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.