Si torna ad Harlem

La seconda stagione di Luke Cage è su Netflix: 13 episodi (come al solito), da praticamente un’ora ciascuno formano il prosieguo della storia narrataci dalla prima stagione e The Defenders.

Troviamo il nostro eroe anti proiettile alle prese con “Black Mariah” e addirittura i suoi nemici. Tutta gente che non può far altro che portare del male ad Harlem, regno protetto dal nostro Cage. Scendiamo nello specifico, e vediamo come si comporta al vero banco di prova questo supereroe del ghetto.

https://www.youtube.com/watch?v=sB1in0KkoG4

Come altre serie di Netflix, Luke Cage ha un grave difetto: è molto lenta, sopratutto nella prima parte di stagione. Diciamocelo, anche la precedente seppur piena di pregi, vedeva l’opera affossata da una eccessiva lentezza, e la prima parte della seconda stagione viene appesantita in egual maniera. A visione conclusa si ha la netta impressione che tutta la faccenda potesse essere raccontata benissimo in almeno 11 puntate, se non addirittura 9-10. Insomma, si ha a che fare con lunghi momenti di “nulla” o peggio di ripetitività, con la situazione che si sblocca man mano che si va verso il finale. Il ritmo è a volte anche troppo rallentato per le più semplici circostanze, sebbene le sequenze con la (nuovamente) azzeccatissima colonna sonora siano sempre apprezzate.

La blaxploitation è ancora con noi

Tutta l’opera di Luke Cage è permeata dal ghetto, e la seconda stagione non poteva certo rifuggire da questa tematica (dopo il momentaneo abbandono in The Defenders). Viene usata più volte e – dobbiamo dire – mai a sproposito, la tanto demonizzata parola “negro”.
Non inserirla, sarebbe stato sminuire il gergo della strada e, come tutti ben sanno, la strada non è mai stata politically correct, e non lo sarà mai. Una stupenda colonna sonora di blues, soul e ora anche un reggae d’origine e di qualità (data la presenza di personaggi provenienti dall’isola giamaicana) ci accompagnano deliziosamente nella nostra visione, ed è presente con alcuni pezzi apprezzabili anche il rap. Interessante vedere come alcuni testi rap parlino della strada come concetto di vita e addirittura proprio di Luke Cage, andando a rafforzare il “realismo” della serie e delle sue tematiche.

Non un uomo solo che combatte il crimine come può essere Castle o Murdock, ma piuttosto una figura che si eleva ad esempio e scudo dei cittadini di Harlem, diventandone ispirazione e riferimento. Anche le inquadrature stesse valorizzano molto Harlem, le sue strutture e le sue strade. Luke Cage prende i canoni classici della blaxploitation e li utilizza bene, senza scadere mai nell’eccessivo o nel trash, cosa che il filone “exploitation” rischiava di fare spesso, black o meno.

Le prove attoriali e i personaggi che migliorano

Come dicevamo prima, la seconda stagione è il banco di prova più severo per una serie TV.
È dove ti riconfermi, dove dimostri di poter crescere o dai definitivamente il collo. Luke Cage batte un colpo, e ci fa capire di esserci ancora. Mike Colter è un buon protagonista, , per il momento non divino, ma convincente.
Una particolare menzione va ad uno dei cattivi: Bushmaster, interpretato da Mustapha Shakir, che regala un’ottima presenza di scena e un dignitisissimo villain. Il Detective Mercedes Knight si conferma co-protagonista e Simone Missick, a sua volta, adatta al ruolo, oltre che ad aggiudicarsi il premio “personaggio femminile cazzuto dell’anno”.

In generale però abbiamo un’interessante cambiamento per molti personaggi: Mariah Stokes o Dillard che si voglia, ha un’evoluzione più volta “alla sopravvivenza” che ai meschini interessi mostrati nella prima stagione; Bushmaster, che come previamente accennato è un cattivo buono, ma non perfetto (soffre anche lui della sindrome da villain alla James Bond, ovvero non fare mai le cose per bene), ha un background interessante e non si ha l’impressione che sia gettato lì a caso. Le menzioni d’onore alla crescita vanno però fatte e Luke Cage e Hernan “Shades” Alvarez (interpretato da un ottimo Theo Rossi).

Luke vivrà una vera rivoluzione del suo punto di vista semplicistico sull’essere un eroe. Si scontrerà con la realtà che gli mostra che lo stile di vita da “esco in strada, prendo a buffetti un po’ di cattivi e torno a casa” non basta per fermare il crimine dilagante. Di fronte a questo, sarà chiamato a fare scelte importanti e, con grande gioia, da un punto in poi lo vedremo usare la propria forza meta umana in un modo più “duro” ma sicuramente più realistico. Un personaggio quindi costretto a crescere e messo di fronte a interessanti bivi.
Come dicevamo però, anche a Shades, il nostro gregario di ghiaccio della prima stagione, va fatta una menzione. Nel corso della seconda stagione dimostra di non essere un personaggio piatto, ed ha infatti delle interessanti evoluzioni, compiendo scelte che lo porteranno ad essere un vero e proprio protagonista della storia.

luke cage

Il Muro di Harlem

La seconda stagione di Luke Cage evidenzia comunque tante qualità; in primis sul lato tecnico, grazie alle musiche, alla fotografia sempre ispirata a mai banale e sopratutto grazie alle inquadrature, che riescono a giostrare magistralmente i personaggi e i meravigliosi ambienti. Nonostante l’alternanza di ben 13 registi non si percepiscono dei vertiginosi sali e scendi nello stile di direzione, sebbene questo porti a chiederci perché utilizzare ogni volta tutti questi cineasti.

Un’altra considerazione positiva va fatta sui combattimenti, che nella maggior parte dei casi sono tutto sommato ben coreografati, anche quando spunta Danny “L’inutile” Rand, che non si esime dal fare una comparsata, giusto per dare qualche cazzotto in giro e qualche consiglio ultra spirituale a Cage, che è la tipica persona a cui non dovresti suggerire proprio niente. Ma bisogna pur essere un po’ fedeli al fumetto, quindi immaginavamo qualcosa del genere, sebbene l’avrebbero potuta gestire meglio.

Tirando le somme, la seconda stagione dell’eroe di Harlem ottiene più che una sufficienza: certo parte lentamente, ma è capace comunque di intrigare ed intrattenere, forte di una trama con sviluppi mai troppo convenzionali e di personaggi interessanti, oltre che di qualche trovata davvero azzecca. Inoltre il finale di stagione ha il grande pregio dell’essere libero da cliché (non aggiungiamo altro), aprendo molti quesiti a cui la terza stagione dovrà dare risposta.