“Con la prima neve, lui ucciderà ancora”


Tratto dal bestseller di Jo Nesbø
, arriva nelle sale (dal 12 ottobre) L’uomo Di Neve, thriller diretto dal regista svedese Tomas Alfredson, che vede Michael Fassbender nei panni del detective Harry Hole, alle prese con un caso a dir poco enigmatico.

La pellicola era stata inizialmente affidata alle sapienti mani di Martin Scorsese, per poi passare ad Alfredson, facendo diventare il genio newyorkese produttore esecutivo dell’opera.
Purtroppo il passaggio di consegne si fa notare pesantemente in negativo, visto che il film ci ha deluso abbastanza anche a dispetto delle grandissime aspettative che avevamo, assieme alla stragrande maggioranza del pubblico.
Ma facciamo un passo alla volta.


L’idea, non originale del regista ma ottima ed affascinante, malgrado possa ricordare opere passate dello stesso genere, evidenzia un plot di base interessante e ricco di spunti.
La pellicola vede come protagonista il detective Hole, intento a dare la caccia ad un serial killer che minaccia la popolazione femminile norvegese delle città di Oslo e Bergen.
L’uomo di neve però, nonostante le buone premesse, si perde in un bicchier d’acqua, e durante la proiezione di 125 minuti lascia troppi punti interrogativi irrisolti, affidandosi ad una conclusione del caso totalmente casuale.

Eppure il film parte benissimo, con l’alternanza di sequenze che spiegano la complicata vita del protagonista, separato e dipendente dall’alcol, ed altre che vedono il compiersi dei delitti da parte del killer, solito indicare la casa delle sue future vittime, costruendovi davanti un pupazzo di neve.
Affascinante, intrigante, ricco di tensione, fino a che non si inizia a mettere troppa carne al fuoco.
Purtroppo infatti soltanto dopo la prima ora di film gli elementi da dover spiegare diventano veramente tanti, persino per un appassionato del genere e, in “sole” due ore di proiezione, il regista non riesce a fornirci tutte le risposte di cui necessitiamo, donandoci una trama ricca di colpi di scena ma anche di buchi narrativi.

Questo film, tutt’altro che dinamico (ma non è una critica), risulta magnetico all’inizio, riuscendo ad attirare l’attenzione dello spettatore grazie alla splendida recitazione di Fassbender (il quale, purtroppo, viene da una serie di pellicole non all’altezza delle sue qualità), e all’efferatezza con la quale il killer compie gli omicidi mettendovi la sua firma.
Ma purtroppo, proprio come sembra suggerire il suo titolo, superato il giro di boa rappresentato dai primi 60 minuti, l’opera si scioglie al sole, finendo per divenire confusionaria, e facendo nascere nella mente dello spettatore il quesito : “Dove vuole arrivare?”.

Delude anche il personaggio interpretato dalla bella Rebecca Ferguson, la quale, nei panni di Katrin Bratt, assistente di Hole, non riesce mai a spiccare il volo e a convincere del tutto.
Certo, la sua storia potrebbe risultare un po’ forzata, ma non stiamo a sindacare ciò, quanto il fatto che ad un certo punto Alfredson ci lascia pensare che possa diventare lei il vero motore della pellicola, per poi invece farci dimenticare anche lei.
Finale che risulta essere il vero tallone d’Achille dell’opera.
Sembra quasi, infatti, che viste le numerose premesse ed il poco tempo a disposizione, il regista abbia voluto, o dovuto, donare forzatamente un senso alla risoluzione del caso, che in realtà appare totalmente accidentale ed improbabile.

Peccato per Fassbender, vero fulcro dell’opera, la cui performance resta uno dei punti da salvare. Le sue qualità sono di indubbio valore e purtroppo vengono sacrificate da un’opera non all’altezza dell’attore irlandese.
La sua mimica, la sua espressività e le piccole variazioni di tono, sono fondamentali per far comprendere la complessità del protagonista da lui interpretato, e Fassbender riesce a caratterizzarlo ottimamente, districandosi tra i numerosi buchi che la trama si lascia dietro.

Da sottolineare positivamente, anche, l’ottima fotografia (ad opera di Dion Beebe), satura, ricca di toni freddi, capace di far notare uno splendido contrasto cromato tra le gigantesche distese innevate norvegesi e l’ambiente urbano. Nata tra l’altro da ambientazioni magnifiche, curate nel dettaglio, che grazie alla loro vasta e bianca desolazione, quieta e silenziosa, vanno a rappresentare la solitudine e la tristezza che attanagliano l’animo del detective Hole e del killer.

Il cast, però, vede anche due pilastri fondamentali della storia di Hollywood: J.K. Simmons e Val Kilmer.
Non giudicabile la prova del grande premio Oscar J.K., il quale viene abbandonato in un ruolo da comprimario, senza che il suo personaggio, intrigante e potenzialmente fondamentale per la trama, riesca a diventare utile alla risoluzione del caso, finendo anch’egli per scomparire verso la fine dell’opera.
A lui si contrappone il personaggio di Rafto, interpretato dal tutt’altro che inossidabile Kilmer, che contrariamente a buona parte del cast, prova tuttavia (e in parte riesce) a fornirci un’interpretazione apprezzabile e convincente.

Da sottolineare la scelta di voler affidare le musiche del film a Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead, il quale ci regala una colonna sonora fantastica per le mutevoli scene che appaiono sullo schermo.

l'uomo di neve

Verdetto:

L’uomo di neve è un thriller carico di aspettative non rispettate. Figlio di un’idea affascinante dello scrittore Jo Nesbø, diviene una pellicola non valorizzata degnamente da Alfredson.

Durante le due ore di proiezione, dopo aver arricchito la trama, inizialmente affascinante, di spunti ed intrighi multipli, finisce per lasciare troppi punti interrogativi irrisolti, donando allo spettatore un thriller tutt’altro che memorabile.
Forzato l’evolversi della narrazione e casuale la risoluzione del caso, il minutaggio risulta incredibilmente inadeguato per tutti gli elementi presenti sul tavolo.
Bene Fassbender, che tra paesaggi meravigliosi, valorizzati da un’ottima fotografia, ed un cast intrigante, ma per buona parte mai convincente, grazie alla sua ottima interpretazione risulta essere la vera ed unica dramatis personae della proiezione.
Tanto potenziale sfruttato male.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.