“Un bellissimo viaggio visivo”

Un mondo postapocalittico in chiave steampunk, dove le città di tutto il globo si muovono su cingoli alla disperata ricerca di materiali e combustibili per alimentarsi e sopravvivere, ottenibili solo tramite la distruzione di altre metropoli. Una serie di città “stazioniste” pronte a combattere contro il tirannico oligopolio delle capitali mondiali, e un misterioso “artefatto” capace di soggiogare il resto dell’umanità.
Questo e moltissimo altro, sono gli elementi che ci accompagneranno durante la visione dell’opera cinematografica tratta dall’omonimo romanzo di Philip Reeve, e prodotta dal gigantesco Peter Jackson: Macchine Mortali (dal 13 Dicembre al cinema).

Il mondo di  Macchine mortali è ricchissimo, stracolmo di spunti affascinanti e coinvolgenti che vengono costantemente sparsi lungo il cammino che contraddistingue la nostra visione. Il che potrebbe sembrare strano, dato che per trovare degli attimi di riflessione, durante una proiezione di 128 minuti complessivi, priva di momenti di quiete, è veramente difficile.

La creatura diretta da Christian Rivers (per la prima volta da regista, ma già braccio destro di Peter Jackson ne Lo Hobbit), è esageratamente dinamica,  rischiando, senza mai toccare quel limite però, di diventare quasi  caotica.
Caratteristica che ci viene immediatamente fatta capire dalla prima sequenza, dove Londra (la città più potente e pericolosa di questo nuovo universo) è a caccia di cittadine bavaresi, dopo il suo sbarco in Europa centrale, in un inseguimento su cingoli al cardiopalma.

Purtroppo, vista la strada che inizia a percorrere la pellicola dopo la prima mezz’ora, si comprende, ahinoi soltanto sul finire, che l’incredibile arsenale a disposizione di Jackson e Reeve rimane inutilizzato, finendo per offrirci un ottimo prodotto in termini di intrattenimento, ma privo della profondità che avrebbe potuto ottenere con un minutaggio meno ampio, e una divisione in più parti dell’opera.
Senza dubbio, non è esente da colpe Jackson, assieme agli altri sceneggiatori Boyens e Walsh, i quali prendono tutto e niente dell’opera originale dello scrittore britannico, facendoci ammirare o udire solo per pochi istanti dei temi che avrebbero meritato miglior sorte.
Tra tutti, senza far spoiler di qual tipo, la storia dei Rinati o la Lega Anti-trazionista, avrebbero meritato qualche sequenza in più.

Tralasciando l’occasione sprecata a livello di script, Macchine mortali sa perfettamente cosa vuole e deve fare, riuscendovi tranquillamente. La pellicola della Universal Pictures è, in primis, uno spettacolo visivo, dove l’ingombrante utilizzo di CGI non stanca mai l’occhio, nonostante la frenesia della maggior parte delle sequenze, che, anche nelle situazioni più concitate, rimangono fluide e mai stancanti.
In seconda istanza, Reeve, riesce a rendere giustizia al genere steampunk, divenuto vera cultura del sottobosco “nerd”, troppo spesso messo da parte a livello cinematografico e/o televisivo, grazie ad una regia interessante, dinamica ed avvolgente, figlia degli anni di collaborazione con il genio di Jackson.

Oltre alla componente grafica in CGI, però, c’è molto di più.
La ricostruzione di Londra, delle ambientazioni post apocalittiche, delle città semoventi, e delle persone che vi abitano, è perfettamente resa dal magistrale lavoro dello scenografo premio Oscar Den Hennah (una delle menti responsabili della nascita di LOTR), e dei costumisti Bob Buck e Kate Hawley (anch’essi già collaboratori di Jackson durante la realizzazione della magica trilogia fantasy).

Tutti elementi che fanno da cornice ad un interessantissimo quadro, magistralmente dipinto, ma privo di un vero contenuto alla base.
Infatti, durante la nostra permanenza in sala potremo vedere spesso dei richiami, più che degli omaggi, a pellicole del passato come Star Wars o Hunger Games, che potrebbero farci storcere il naso, ma, bisogna tener conto, che qui il frame è totalmente diverso e riesce perfettamente a plasmare e modellare a proprio favore anche dei cliché narrativi che, seppur scontati, ottengono una propria funzionalità ai fini di trama.

Cliché che, purtroppo non donano spessore ad uno script già snellito della profondità insita nell’opera cartacea originale, ma permettono comunque di superare l’ostacolo dell’etichetta teen che incombeva dietro l’angolo, soprattutto visto un cast giovane e privo di nomi altisonanti, eccezion fatta del titanico (e sempre eccezionale) Hugo Weaving, nel ruolo dell’antagonista principale Thaddeus Valentine.

Cast che, a dispetto della giovane età, si dimostra all’altezza del ruolo, regalandoci delle interpretazioni convincenti, soprattutto l’islandese Hera Hilmar (Hester Shaw) che ci offre l’ennesima sfumatura dell’eroina girovaga e dannata. Il personaggio più interessante, nonostante tutto, rimane Anna Fang, interpretata dall’artista sudcoreana Jihae, la quale, sia grazie ad un affascinante concept design ispirato ad una corrente video ludica capeggiata da Final Fantasy  o da seinen come Hellsing, sia per una volatilità su schermo che ne aumenta lo spessore, nonostante la figura già vista dell’eroina misteriosa che si esprime per metafore, cattura costantemente la nostra attenzione.

Verdetto

Macchine mortali, in sostanza, è un affascinante viaggio nell’universo steampunk, capace di rendere finalmente giustizia ad un genere troppo spesso dimenticato.
Nonostante un innumerevole numero di spunti e tematiche interessantissimi da poter approfondire, il regista Reeve, e il produttore e sceneggiatore Peter Jackson, non riescono a donare spessore allo script che avrebbe meritato una pellicola con un così alto potenziale.
Eccezionale lo spettacolo visivo offerto grazie ad un massiccio, ma mai ingombrante, utilizzo di CGI, e promosso, senza particolari lodi, l’intero cast.
Nel suo complesso, la creatura ispirata ai romanzi di Philip Reeve, è un ottimo prodotto di intrattenimento, visivamente spettacolare, ma contenutisticamente basilare.

StayNerd consiglia

Se l’universo steampunk di Macchine mortali vi ha affascinato, non potrete fare a meno di leggere l’opera originale di Reeve, o di vedere alcune pellicole contaminate da questa cultura come gli ultimi Sherlock Holmes, con Robert Downey Jr. protagonista.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.