Una nuova era di portabilità

Noi videogiocatori, affezionati a questa saga dai tempi di Kanto, stiamo vivendo un momento strano. Il passaggio della nostra amata saga su quella che non sarà più una console strettamente portatile. Certo, Pokémon Let’s Go Pikachu e Let’s Go Eevee non saranno i primi titoli del franchise ad approdare su una console (semi) fissa. Ma questi due nuovi giochi sono il preludio a qualcosa di più. Qualcosa destinato a cambiare per sempre le basi stesse del mondo Pokémon. Ma per capire la portata di questa trasformazione dobbiamo fare un passo indietro, prima ancora che i mostriciattoli tascabili prendessero forma.

Per farlo dobbiamo raccontare una storia. Come spesso accade con brand di così grande successo si crea per loro una sorta di leggenda. E questa leggenda coinvolge un ragazzo nato in una cittadina alla periferia di Tokyo, un ragazzo di nome Satoshi.

Nasce così un racconto che potrebbe sembrare come tanti altri, se alle spalle non ci fosse anche uno dei franchise di maggiore successo al mondo. Questa è la storia di Satoshi Tajiri e di un sogno chiamato Pokémon.

Tajiri è nato e cresciuto a Machida, una cittadina che, nel tempo, è stata soggetta ad un fenomeno di conurbazione con la capitale giapponese. Da bambino la sua più grande passione era collezionare insetti, vagando per ore tra le campagne per riuscire a raccogliere quanti più esemplari possibile per la sua collezione. Col passare degli anni tuttavia il Giappone conobbe una forte ripresa e uno sviluppo economico che portò molto presto alla scomparsa di quei luoghi in cui il giovane Satoshi amava vagabondare in cerca di nuove creature da scovare. Il cemento e l’acciaio presero il posto della terra e degli alberi, gli insetti e gli animali scapparono e Satoshi fu costretto così a guardare il suo passatempo sparire.

Ben presto una nuova passione crebbe in lui, quella per i videogame. Iniziò a frequentare le sale giochi, incontrando altri ragazzi con la sua stessa passione, tra cui un altro ragazzo più o meno della sua età, Ken Sugimori. I due fondarono prima una rivista e poi una software house, Game Freak. Gli anni ‘80 cedettero il posto ai ‘90 e Satoshi vide per la prima volta un Game Boy corredato del cavo con cui era possibile connettere due dispositivi, il Game Link. E qualcosa scattò in lui.

Pare che la fervida immaginazione di Satoshi l’avesse portato subito a immaginare degli insetti correre su e giù per il cavo, passando da un Game Boy all’altro. Nella sua mente erano appena nati i Pokémon.

Per Tajiri la creazione dei mostriciattoli tascabili fu forse un surrogato della sua infanzia. Andare in giro per grotte e boschi, guadare fiumi e percorrere sentieri, il tutto a caccia di creature diverse da collezionare. E scambiare. Proprio questo aspetto rese Pokémon un gioco di grande successo: il bisogno dell’altro, di confrontarsi con altri “allenatori” per poter completare il Pokédex e, di conseguenza, uscire, conoscere altre persone, parlare e giocare. In una parola: socializzare.

È la seconda metà degli anni ‘90 quando Pokémon conosce la sua diffusione e inizia a diventare un fenomeno di massa prima in Giappone e poi nel resto del mondo. E non sembra un caso questo successo, considerato che da circa dieci anni il paese del Sol Levante conosceva uno strano e oscuro fenomeno, quello degli hikikomori. Giovani di tutte le età, prevalentemente ragazzi, che si isolavano dal resto del mondo, rannicchiati nei loro appartamenti e per nulla interessati ad avere contatti col mondo esterno. Questo fenomeno di isolamento stava conoscendo, nel corso degli anni, una sempre maggiore associazione alla cultura degli otaku e degli appassionati di videogame.

Pokémon in questo senso fu una netta inversione di tendenza. Vero, restava pur sempre un surrogato della vita reale, ma chiedeva ai propri giocatori di non chiudersi in se stessi, di confrontarsi con gli altri e di cercare altri appassionati con cui condividere questa passione. E anche nel resto del mondo la cosa ebbe questo riscontro: non mancarono casi di bambini che, mettendo in comune la propria passione, si incontravano in casa o al parco per sfidarsi e scambiare i propri mostri tascabili.

E fu così almeno per una decina d’anni, quando il mondo conobbe la quarta generazione Pokémon.

Con Pokémon Diamante e Perla ci fu per la prima volta l’inserimento dello scambio Wi-Fi. Un cambiamento epocale, che permise ai giocatori di trovare i Pokémon mancanti alla propria collezione semplicemente connettendosi a internet. Una comodità utile e al passo con i tempi, ma che andava forse a minare quello che era il concetto iniziale del brand.

In realtà non fu esattamente così: certo, lo scambio era diventato molto più facile, ma la sfida con un amico restava qualcosa di totalmente diverso, qualcosa con un fascino e un gusto unico che continuava a spingere le persone a incontrarsi, a vedersi per mettere insieme la propria passione. L’accusa rivolta ai videogiochi di isolare i giovani, pur trovando in Pokémon una vittima prediletta, non sembrava avere terreno fertile per portare avanti una polemica.

Polemica che, in tempi recenti, aveva provato ancora una volta ad attaccare i mostri di Satoshi Tajiri con la nuova versione mobile del titolo, Pokémon Go. Chi ha avuto modo di giocare a questo titolo e di unirsi ad altri giocatori per un raid sa bene quanto sia insensata l’accusa di isolare le persone (per aggiungere una nota di colore, conosco diverse relazioni nate proprio tramite qualche caccia con Pokémon Go).

E proprio con la funzione Mobile arriviamo a oggi. Alla nuova coppia di giochi Pokémon in uscita.

Pokémon Let’s Go sarà, in un certo senso, un preludio. L’arrivo della futura generazione Pokémon, l’ottava, su una console che non sarà completamente portatile. La possibilità di vedere i propri Pokémon sul televisore di casa, scegliere su uno schermo di grandi dimensioni il proprio starter saranno novità molto interessanti.

L’arrivo su una console che, in parte, è una console fissa, comporta anche un cambiamento radicale nella portabilità di Pokémon. Certo, Switch mantiene una componente fondamentale nel suo essere una console portatile, dotata di un’autonomia sufficiente per poter permettere ai giocatori di incontrarsi ancora una volta e di mettere insieme le proprie esperienze di gioco.

Pokémon su Switch

Ma qui sorge una domanda importante. Un tempo per poter vivere fino in fondo l’esperienza Pokémon il giocatore doveva incontrarsi con altre persone. Era, in un certo senso, “costretto”. Nel tempo questa caratteristica è andata via via spegnendosi. Questa è dunque la fine del sogno di Satoshi Tajiri, di un gioco in grado di unire le persone e portarle a uscire di casa?

Possiamo dirlo subito. La risposta è no. Il sogno è ancora vivo. Si è soltanto trasformato. Anzi, si è evoluto. Una caratteristica fondamentale del brand Pokémon è proprio la sua continua evoluzione. Non esistono due generazioni Pokémon uguali, così come non esistono giochi, fuori dalla propria generazione, uguali ad altri. I giochi creati da Game Freak si sono sempre evoluti, sono cambiati per stare al passo coi tempi, diventando, poco alla volta, una versione diversa di ciò che erano un tempo.

Se la portabilità di Switch è stata oggetto di qualche perplessità, venendo talvolta considerata inferiore a quella dei precedenti dispositivi Nintendo, nonostante questo è ancora viva e presente. Inoltre come detto già con l’inserimento dei Wi-fi su Nintendo Ds la serie Pokémon poteva perdere del tutto quella componente aggregativa che da sempre l’ha distinta. Eppure non è stato così.

Oltre a questo la collaborazione tra Pokémon Let’s Go e l’app Go per ottenere nuovi mostri, porterà con sé un nuovo aspetto per questo titolo. La necessità per i giocatori di unirsi ad altre persone in possesso della stessa app, di uscire e catturare Pokémon per poterli trasferire sulla console. Insomma, in qualche modo ancora chiederà a tutti noi di uscire, lasciare le nostre poltrone e confrontarci con altri giocatori.

Perché essere giocatori di Pokémon vuol dire soprattutto questo. Vuol dire essere disposti a sfidare le proprie stesse convinzione sul brand, lasciare lidi sicuri per trovare nuove risposte che non avremmo mai creduto possibili. Vuol dire creare un legame, non solo con i nostri Pokémon ma anche con chi, come noi, ama e segue questo brand, pronto ancora una volta ad affrontare una nuova avventura.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.