Il troppo non è mai troppo

Creare un’opera esagerata non è facile. È necessario gestirla con cura, poiché se non si fa attenzione può diventare oltremodo eccessiva e risultare quindi sciocca o apparire noiosa. Tuttavia se vi è dietro un lavoro ben fatto, come quello svolto dal maestro Akira Hiramoto, si può dar vita ad un manga che riesce sfruttare questo fatto a proprio vantaggio, creando situazioni tanto inusuali quanto interessanti. Stiamo parlando di una piccola perla conosciuta ormai anche in Italia, sia nella versione cartacea che in quella animata: Prison School.
Mettetevi comodi ed indossate i vostri bei pigiamini,, che qui il fan service e l’irrazionalità si sprecano.

Scuola, ragazze, prigione: Fine!

Sulla trama c’è ben poco da dire: una scuola inizialmente riservata solo a studentesse diventa scuola mista, e 5 ragazzi non molto fortunati con l’altro sesso si iscrivono e cercano di spiare nei bagni delle ragazze, ma vengono scoperti dal “consiglio studentesco segreto” e messi in una vera e propria prigione all’interno della scuola. Fine.
Ovviamente tante situazioni e sotto-trame la faranno da padrone per tutto il tempo, ma il plot in sé finisce davvero qui. Tuttavia, nonostante l’estrema banalità della storia, Prison School è la prova che spesso non importa “cosa” si racconti, ma COME lo si faccia. Fidatevi, leggendo questo manga si proverà un turbinio di emozioni e sensazioni, e la noia non è certo una di queste.

Cominciamo dai personaggi. Le vicende, per lo meno nella prima parte – ovvero quella coperta dall’anime – ruotano attorno ai 5 ragazzi prigionieri e alle 3 ragazze che li “sorvegliano”, più qualche altro personaggio secondario che avrà di tanto in tanto un ruolo importante.
I maschi sono quanto di più stereotipato e grottesco ci possa essere: il belloccio; l’intelligentone con la passione per la storia; il grassotello masochista; il bullo ed il tenebroso dal cuore tenero. Non hanno la minima esperienza con il genere femminile e perciò si ritrovano spesso a far discorsi e pensieri di una tale demenza da portar più volte il lettore a farsi domande sulla loro effettiva sanità mentale.

Le ragazze invece appaiono un po’ meno assurde, e nel loro cinismo cercano di essere serie per quanto possibile, ma nemmeno loro riescono a restar fuori dalla follia che domina quest’opera. Ciò che infatti muove le vicende è la “genialità malata” dell’autore. Ogni volta che si crede di aver toccato nuove vette dell’assurdo, ecco che Prison School ti colpisce in pieno volto con un nuovo bislacco ragionamento dei ragazzi, con l’ennesimo piano del consiglio studentesco o con un insensato discorso del preside. Quest’ultimo, tra l’altro, darà vita a quello che probabilmente è il più “alto” livello di genialità mai concepito dal genere umano: una conversazione fra lui ed i ragazzi che è in grado distruggere, in poco più d’un capitolo, ogni concezione di moralità, pudore e razionalità (non vi diciamo altro, ma provate a leggerlo e capirete immediatamente di cosa parliamo quando ci arriverete).
Nonostante la banalità di superficie, i personaggi sono comunque ben caratterizzati, e pur se ragionano in modo inusuale, reagiscono in modo “appropriato” alle incredibili situazioni che si trovano a vivere.

A livello tecnico Prison School si presenta egregiamente sia nella sua versione anime con ottime animazioni, sia – e soprattutto – in quella cartacea. L’autore usa il chiaro-scuro in maniera fantastica, facendo risaltare ulteriormente tavole già dettagliatissime; in particolar modo i volti, spesso mostrati con espressioni assai caricaturali, ma realizzati con un tale livello di attenzione da apparire quasi reali.

È interessante notare anche i “punti di vista” scelti dall’autore. Normalmente una sequenza è disegnata in modo che il lettore possa osservarne lo svolgimento da una posizione da cui appare chiara e fluida, ma qui questo concetto è completamente stravolto, sacrificando spesso tutto ciò in favore di una migliore visuale sulle forme delle ragazze.

Hiramoto inserisce inoltre nella sua opera stereotipi presi direttamente dai classici manga Shonen o perfino dagli Hentai, usando come spunto anche le commedie degli equivoci e andando poi a deridere questi ”classici”, esagerandoli al punto da renderli assurdi ed esilaranti.

Sangue e tette

Il punto di forza dell’opera, oltre alla già citata tendenza ad enfatizzare, è senza dubbio in fanservice. Ciò può ovviamente non piacere a tutti, soprattutto per il fatto che è una serie che si rivolge maggiormente ad un pubblico maschile, tuttavia l’ottima realizzazione del maestro Akira può strappare una risata a chiunque.
Il fanservice è principalmente di 2 tipi: le “forme” delle ragazze e la violenza sanguinaria. Nel primo caso vediamo una forte tendenza dell’autore a mostrare le ragazze con outfit parecchio risicati o aderenti, esibirsi in movimenti non particolarmente consoni a tali abiti, e quando ciò non basta le inquadrature finiscono il lavoro. Non manca poi qualche scena di nudo integrale, ma per non sfociare nell’hentai le classiche nuvolette di vapore andranno a coprire zone “scomode”. Ogni scusa sarà buona per far mettere in mostra una ragazza dalle forme aggraziate, dai lavori forzati ad un interrogatorio e perfino durante una sfida a braccio di ferro, nessuna occasione viene sprecata.
La violenza invece è data dalle continue punizioni che i ragazzi ricevono da parte dei membri del consiglio. Il paradosso è che questa sia uno dei principali motivi di ilarità del manga, poiché nonostante venga rappresentata in maniera estremamente brutale e cruenta è portata all’eccesso al punto tale da non risultare neanche più credibile. Vedere dei ragazzi venir letteralmente massacrati e nella scena dopo star perfettamente bene non aiuta certo a prender sul serio l’accaduto. Ma il tutto rientra assolutamente nello stile di quest’opera.

prison school

Una perfetta dualità

L’anime di Prison School è realizzato in maniera eccellente, e conta 12 episodi fedeli all’opera originale, andando coprirne la prima maxi saga (circa 9 volumi). Animazioni incantevoli e fluide, con colori vivi e carichi o scuri e cupi a seconda dell’occasione, ne fanno un prodotto di assoluto livello. La particolarità di questo adattamento è che riesce, pur seguendo sempre le vicende del manga, a portare sullo schermo un qualcosa di diverso. L’anime si basa su l’ilarità delle situazioni, le scene violente per esempio – come già detto – sono rese estremamente crudeli ma al contempo tanto esagerate da strappare una risata. Al contrario il cartaceo si basa più sul fattore erotico e sull’assurdità delle vicende. Non tutte le bizzarre situazioni dell’anime riscuotono lo stesso effetto su carta, ma in molte occasioni leggendo si nota il fattore Ecchi.

Forse, se siete alla ricerca di una trama piuttosto profonda, l’opera di Akira Hiramoto potrebbe non fare per voi, ma qui l’autore ha dato vita ad un prodotto inusuale, che nella semplicità dei fatti narrati riesce a farvi divorare un episodio/capitolo dopo l’altro. Le situazioni sono un susseguirsi di assurdità e fanservice, e più d’una volta vi fermerete a chiedervi cosa diamine stiate leggendo, senza però riuscire a smettere. Tra risate e un bel po’ di piccantezza, Prison School è un’opera leggera che vi consigliamo comunque di provare se volete godervi un momento di pausa da prodotti più impegnati.

Mirko Ferrari
Nasce in uno sperduto paesino della Lombardia, e sin da piccolo adora friggersi il cervello con videogiochi vari fin quando non scopre l’oscuro e dispendioso tunnel dal quale non uscirà mai: i fumetti. Accanito lettore e collezionista soprattutto di manga, scrive cercando di condividere la sua opinione su qualunque cosa gli passi fra le mani, anche quando nessuno la richiede. Quando non sta leggendo boiate o morendo su Bloodborne, si dedica alla sua passione per la musica (credendosi un chitarrista), alla scoperta di nuovi video di gattini nell'internet o alla ricerca dell' One Piece. Frequenta la facoltà di ingegneria, per lo meno fin quando non riuscirà ad avverare il suo sogno di conquistare il mondo.