Tanto tempo fa, tra due trilogie lontane lontane…

…è ambientato Rogue One. O, per meglio dire, Rogue One: A Star Wars Story, titolo completo del film di qui a poche ore al debutto nelle sale italiane. Prequel e spin-off della saga cinematografica probabilmente più nota di sempre, pertanto primo di una specie “ibrida” di film satelliti che, lo sappiamo, si alterneranno una volta l’anno con quelli della nuovissima e terza trilogia. Ci sarebbero una marea di specificazioni da fare e parentesi da aprire solo su questo, ma ci limiteremo a dire che vedere un film di Guerre Stellari, che sia prequel, sequel, spin-off o meno, è sempre un’esperienza complessa, che mette in gioco aspettative alte (“deve rispettare la tradizione”) e allo stesso tempo basse (“non sarà mai all’altezza della tradizione”), sentimenti di intensa affezione (“è pur sempre Star Wars”) e scetticismo generazionale (“non è più lo Star Wars di una volta”). Cercheremo di astrarre il più possibile da quest’ultimi, nei limiti dell’umano, per darvi sia un riscontro tecnico della pellicola, senza comunque ignorare il lato emotivo che, si sa, al cinema è fondamentale. Dicevamo, tanto tempo fa…

Ormai lo sapete, è stato annunciato dallo stesso regista Gareth Edwards (Monsters, Godzilla), Rogue One non ha i titoli di testa tipici degli altri film di Star Wars. La cosa, a dirla tutta, ci aveva lasciati un po’ perplessi. Perché rimuoverli? Si vuole forse rendere subito chiaro che la pellicola non appartiene alla saga principale? E perché lo si vuole rendere tanto chiaro, sin dall’inizio? È forse un modo di rassicurare i fan che, per quanto il film sarà diverso, quelli della nuova trilogia non devieranno dalla strada tracciata davanti a loro e già nota e amata da tutti?

Tale impressione ci viene confermata, se non dai primissimi minuti, dalla pellicola in generale. L’universo è quello che conosciamo, sì, ma più cupo e meno fiabesco, molto meno fiabesco. E ha un ritmo diverso dal solito, molto veloce e frammentato, non sempre perfettamente, è vero, ma senza sfociare nel confuso. Comunque, per quanto il film sia diverso (e diverso, di per sé, è un valore neutro tendente al positivo), avremmo preferito che la cosa non gli fosse costata i titoli di testa. E non tanto per l’assenza di quest’ultimi, che data la grande apertura iniziale gli avremmo perdonato subito, quanto perché la soluzione alternativa risulta una via di mezzo indecisa non proprio convincente.

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Non possiamo rivelarvi granché e, tranquilli, è soltanto una sottigliezza. Parliamo del film vero e proprio. Si tratta di un prequel, quindi di fatto sappiamo come la macro-vicenda si concluderà. Quel che non sappiamo è come si svilupperà per arrivare a quella conclusione e che finale avrà la micro-vicenda. Ecco, Rogue One è una pellicola che sa sorprenderci in questo, rendendo la destinazione nota una variante intrigante. Quello che siamo affamati di conoscere è il percorso, e di carne al fuoco ce ne viene data in grande quantità.

La “cottura” di tale materiale, o se preferite il modo in cui ci viene servito, non è perfetto. Come anticipato, il ritmo ha qualche minimo singhiozzo nella prima parte e qualche prolungato sbadiglio nella seconda. Poi…

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…poi arriva il terzo atto e diventa tutto fantastico. Davvero, la conclusione di questo Rogue One sa come far esplodere un intreccio e obliterare tutte le sue incertezze in maniera spettacolare. La sequenza finale, e quella dopo, sono gemme, frutti di una visione personale e particolare su una saga arcinota. Cosa significa, in fondo, essere un ribelle?

Questa Ribellione è molto lontana dalla semplicistica Resistenza di Star Wars Episodio VII, ed è uno dei più grandi pregi di questa pellicola. Le sfumature più oscure richieste da un bene superiore non mancano di manifestarsi più volte a schermo, lasciandoci piacevolmente colpiti da una profondità di cui forse la “fiaba” principale è sprovvista e non può munirsi.

Già, perché ricordiamoci che questo è un film “diverso”, e si prende delle licenze dove può e deve. Sotto un certo punto di vista, è più facile per un prequel spin-off variare dal corso, ma non per questo si può darlo per scontato. Tanto più che lo fa, fin da subito, con regia, fotografia e trama. Tutto ci riporta “a casa”, ma ce la mostra attraverso le fessure più buie del legno, non ci fa passare dal luminoso salotto, no. Rogue One è la cantina delle Guerre Stellari, un posto pieno di ombre e polveroso, non proprio accogliente ma a cui, altrettanto velocemente, possiamo affezionarci.

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Al di là di qualche metafora sentimentale, trattato il montaggio, soffermiamoci su altri aspetti tecnici. La scrittura è l’aspetto più somigliante alla saga tradizionale. Personaggi convincenti, seppur numerosi, si alternano a schermo quasi senza mai risultare superflui, ognuno con un proprio carattere e, spesso, con la propria ironia. A sorpresa, il personaggio che ci ha convinto meno è quello principale, una Jyn Erso (Felicity Jones) un po’ troppo osservatrice degli eventi. Non che sia irrilevante, per carità, la sua stessa esistenza è scintilla motrice per la storia, ma avremmo preferito vederla sporcarsi le mani un po’ di più (in senso figurato).

Visivamente, Rogue One sa essere seriamente spettacolare. Già nei primi minuti abbiamo visitato una gran quantità di pianeti, diversi e diversamente ispirati. E poi ci sono le battaglie, di cui il film è ricolmo, che non devono invidiare nulla ai capitoli numerati che l’hanno preceduto negli anni, e anzi lasciano sperare benissimo per i successivi spin-off. A questo punto, torna prepotente la domanda: è davvero tanto necessario distinguere tra spin-off e saga principale?

È vero, questo Rogue One ha difettucci tecnici in misura forse maggiore di un Risveglio della Forza a caso, ma sicuramente osa di più (seppure, come anticipato, sia più facile osare quando il percorso narrativo generale è già tracciato) e convince alla grande.

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Fotografia e impatto visivo, quindi, promossi a pieni voti. La colonna sonora di Michael Giacchino, accompagnata pochissimo dai brani originali di John Williams, fatica a tenere il passo nella nostra memoria proprio con quest’ultimi. Un paio di temi si distinguono ma, forse, ricordano troppo i “fratelli maggiori” per godere di luce propria, almeno dopo un solo ascolto. Nulla di cui potersi lamentare, ad ogni modo, dato che il lavoro della soundtrack è svolto in maniera discreta. Il doppiaggio italiano, invece, ci ha lasciato un po’ freddi. Sicuramente, se non avete problemi, vi consigliamo di guardare il film in lingua originale.

Detto ciò, ribadendo la validità registica di un ottimo Gareth Edwards, non resta che parlare dei personaggi e degli eventi da questi messi in moto. Bisogna soprassedere un paio di cadute di tensione, sacrificate all’altare dei riferimenti all’universo espanso (quello “nuovo”, non quello cancellato dei fumetti pre-Disney). È facile, se dovessimo tirare a indovinare, ipotizzare almeno un paio di scene aggiunte a posteriori. E forse, per muovere un’altra critica a malincuore, la ricostruzione digitale di Tarkin stona un po’ col resto, anche perché tra l’altro più volte in scena e con un ruolo di rilievo.

Per il resto Rogue One conferma tutte le speranze che si potevano avere per un film come questo. Mostra una prospettiva diversa, attraverso una visione peculiare, una ventata d’aria fresca (e dark) graditissima. Non si abbandona a facili sentimentalismi, e anzi ne introduce di complessi. E a una partenza col botto, fa corrispondere un finale col botto triplo. Alcune sequenze di entrambe le parti brillano, talvolta letteralmente. Non possiamo soprassedere in questa sede a tutti i difetti tecnici che la pellicola presenta (aggiungendo che le battaglie stellari, per quanto spettacolari, emozionano sempre fino a un certo punto se nessuno dei piloti è un personaggio principale), ma siamo nel complesso molto soddisfatti. Tutto sommato, anche il cinema si fonda sulla speranza, no?