Paese che vai, proverbio che trovi

Alle volte non ci soffermiamo a riflettere su quale magia sia insita nelle parole, nella scrittura e nell’alfabeto. La capacità di comunicare creata dall’uomo è anche una delle cose che ha maggiormente permesso lo sviluppo della razza umana. E, sullo studio della parola, scritta e parlata, da secoli si concentrano diverse scienze storiche, come la paleografia, la filologia, la fonetica, la glottologia. La creazione di idiomi e scritture ha permesso all’uomo di progredire. Ma, almeno oggi, sembra essere una creazione che ha perso in gran parte la propria spinta creativa. Eppure esistono casi in cui creare un linguaggio è necessario e, anzi, fondamentale per poter sostenere la creazione stessa di un mondo. Stiamo parlando del fantastico.

Nel fantasy e nella fantascienza la creazione del mondo e del contesto in cui si svolgerà l’azione è una parte fondamentale dell’intera struttura del racconto. E, come detto, parte del mondo, una delle sue basi più sacre e intoccabili, è la parola. Per rendere godibile un mondo esso va progettato. Per renderlo unico, bisogna crearne la lingua e comprenderne la sua evoluzione.

Nella storia del fantastico esistono due grandi esempi in questo senso. Da un lato abbiamo quello di Tolkien, che nel creare l’intera epopea di Arda concepì anche le lingue elfiche, realizzandone ogni possibile aspetto, dalla declinazione delle parole fino alla forma del suo alfabeto. Un esempio differente, ma altrettanto importante, e rimasto praticamente un tentativo senza alcun successivo paragone. Stiamo parlando, ovviamente, dell’intero linguaggio dell’universo de La torre nera di Stephen King.

Quella che viene considerata, non a torto, l’opera magna dello scrittore statunitense, è un’opera difficile da inquadrare in un unico genere letterario. Certo si tratta di fantastico, ma riuscire a determinare se si possa parlare di fantasy, fantascienza, horror o steampunk quando si ha a che fare con le avventure di Roland di Gilead e del suo ka-tet è quasi impossibile. Il mondo de La Torre Nera non è qualcosa di facile da spiegare, così come non è semplice ricostruire l’intera genesi di questo universo. Il “Tutto-Mondo” (od Onni-Mondo) in cui si snodano le vicende del Pistolero, nasce traendo ispirazione da alcune delle opere preferite di King: per stessa ammissione dell’autore, a ispirare la creazione di questa ambientazione sono state opere come La terra desolata di T.S. Eliot, Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien e, soprattutto, Childe Roland alla Torre Nera giunse di Robert Browning.

Ci troviamo di fronte a un mondo che è “andato avanti”. La logica non sembra essere di casa e l’unico concetto capace di influenzare il destino di queste terre, dove lande aride, deserti e montagne si alternano tra loro, creando un paesaggio desolato dove gli esseri umani faticano a sopravvivere, sembra essere il caos. Le spiegazioni sull’origine dell’Onni-Mondo e su come esso sia “andato avanti” non sono sempre chiare. Certo, la conversazione su Golgota avvenuta tra Roland e l’Uomo in Nero ci fornisce qualche indizio, così come i molti riferimenti sparsi per la saga. Più certi e affascinanti sono gli effetti che questo ha avuto sul modo in cui le vite degli esseri umani, e non solo, sono state influenzate dall’evento che ha cambiato tutto. Uno degli effetti più interessanti, sotto questo punto di vista, si ha nel cambiamento della parola e del modo di esprimersi degli abitanti dell’Onni-mondo.

Nel fantastico, come accennato, la creazione di una lingua parlata e riuscire a rendere realistico il modo in cui si esprimono gli abitanti di una determinata realtà sono fattori importantissimi. Un esempio banale: possiamo definire “spartano” un ambiente semplice, spoglio, in un mondo dove Sparta non esiste? Certamente no. In questo senso, lo scrittore che si dedica a narrare storie in un’ambientazione fantastica non può esulare dalle regole della sua stessa ambientazione. Il suo mondo, privo di determinate città, persone e oggetti, sarà anche privo delle parole che da essi derivano.

E qui nasce la domanda che, probabilmente, si pose anche il giovane Stephen King: come potrebbero esprimersi le persone di un mondo che “è andato avanti”? Qual è la loro lingua e quali sono le loro espressioni colloquiali, i loro modi di dire e di salutarsi? Non è una domanda banale. Se diamo per assodato che, all’origine dell’ambientazione in cui si svolge la ricerca di Roland ci sia stato un evento catastrofico, avvenuto generazioni prima, dobbiamo anche dare per scontato che, nel frattempo, il linguaggio sia stato riscritto dagli eventi e dalla storia che quel mondo ha vissuto. Popoli che prima esistevano sono ora scomparsi e spazzati via, insieme a ogni loro retaggio culturale.

Da questo punto di vista, dobbiamo tornare ai principali testi di riferimento da cui King ha tratto la Torre Nera. Se Childe Roland, in un certo senso, ha fornito il tema principale del racconto e la sua stessa ossatura, dando all’autore spunto non solo per il protagonista e la sua missione, è dal Signore degli Anelli e dalla Terra Desolata che sembra aver tratto alcuni degli esempi più importanti per poter creare la propria ambientazione.

Da Tolkien, King sembra aver mutuato una lezione importante: l’ambientazione deve essere ben definita ed essa sarà sempre preminente su quanto narrato. In effetti il Professore, nella realizzazione del Signore degli Anelli e dell’epopea di Arda, prese mitologia, folklore e opere letterarie a lui care per rimodellarle in modo da creare un contesto originale. King sembra aver fatto la stessa cosa, non limitandosi a prendere spunto da quanto realizzato da Tolkien. Si è ispirato direttamente al suo lavoro e, attenzione, non ai frutti di esso, ma al suo metodo, al suo modo di realizzare e concepire la storia. In questo, King sembra aver trasceso quanto indicato dal suo illustre predecessore, proponendo una nuova concezione di quell’opera di mitopoiesi che Tolkien, nei suoi scritti, usava come metodo di lavoro. La base per poter ricreare questo lavoro in King si basa su modelli preesistenti come il mito e le tradizioni popolari, ma decisamente differenti rispetto a Tolkien. Il grande retaggio che ha accolto il maestro dell’orrore richiama, sotto diversi punti di vista, una rielaborazione della Terra Desolata e quelle opere che sono state per essa motivo di spunto e ispirazione.

Il capolavoro di Eliot, scritto negli anni ‘20 durante un profondo periodo di crisi dell’autore, costituisce una pietra miliare nella storia della letteratura anche grazie alle sperimentazioni stilistiche e linguistiche perpetrate dall’autore. Ci troviamo di fronte a una serie di sovrapposizioni culturali che riescono a unire, in maniera omogenea, diverse fonti, tra cui la Bibbia, il Ciclo Arturiano, la Commedia e i sermoni di Buddha. L’autore concepì e scrisse quest’opera in un periodo immediatamente successivo alla fine della Grande Guerra, quando il mondo e l’Europa, quasi ignorando il terribile monito costituito dai terribili anni tra il 1914 e il 1918, sembrava avviarsi nuovamente verso la propria rovina. In certo senso, anche la Terra Desolata ci parla di un mondo che, dopo la catastrofe, è andato avanti, nell’indifferenza e nel vuoto spirituale.

Nella Torre Nera assistiamo allo stesso fenomeno: dopo quella che doveva essere la fine, il mondo ha continuato ad esistere. Ed è un posto che diviene sinodo di diverse realtà per colpa della “sottilità” con cui i mondi comunicano tra loro e che permette a culture, espressioni e tradizioni differenti di entrare in contatto tra loro e mescolarsi. Così come nella Terra Desolata di Eliot si fondevano riferimenti diversi a diverse culture del nostro mondo, nell’Onni-Mondo di King, dopo la caduta, l’uomo ha dovuto raccogliere quanto seminato, cercando di ricomporre il poco che era rimasto da frammenti e cocci sparsi, ricreando e rimodellando quanto di più prezioso possiede l’uomo. La parola, e la magia insita in essa.

Così King raccoglie parole, concetti ed espressioni idiomatiche di origine diverse, miscelandole e riscrivendole per creare un linguaggio nuovo. Noi lettori, al nostro primo approccio con la Torre Nera, ci troviamo di fronte a una serie di frasi che non conosciamo. C’è una familiarità in quello che leggiamo, c’è persino l’intuizione dietro al loro significato. Ma si tratta di qualcosa di nuovo, qualcosa che riusciamo a comprendere solo per “osmosi”, un po’ come forse riusciremmo a comprendere un dialetto simile a quello tipico della nostra zona o un idioma che non è la nostra madrelingua in base al contesto in cui esso viene utilizzato.

Il modo formale di salutare le persone, quel lunghi giorni e piacevoli notti che diventa parte integrante del glossario della Torre Nera, per esempio: nel momento in cui leggiamo per la prima volta questa frase non la identifichiamo subito come una forma di saluto. Ci vuole qualche istante prima di poter intuire la sua funzione nel mondo della Torre Nera e della sua lingua. Stesso dicasi per yar, un sinonimo di “sì” derivante dall’inglese medievale, dove ha il significato di una parola onomatopeica che indica l’emissione di un rumore. E, sullo sfondo, la Lingua Eccelsa, misterioso idioma parlato da pochi eletti tra l’Entro-Mondo, il Medio-Mondo e il Fine-Mondo, che ogni tanto affiora qua e là all’interno della saga, retaggio di un’epoca remota dove l’uomo aveva raggiunto un diverso livello di conoscenza e di cui poco è rimasto.

Il lavoro svolto da King sulla Torre Nera, nel panorama del fantastico contemporaneo, ha pochi corrispettivi. L’autore riesce a creare una lingua nuova, prendendo termini da diverse culture, fondendoli con l’inglese e realizzando un modo di parlare completamente nuovo, al tempo stesso distante e familiare. Nel panorama dell’opera di Stephen King l’intera epopea di Roland Deschain assume quindi un valore più alto di quello di mera opera letteraria. L’intero ciclo de La Torre Nera potrebbe essere considerato un termine di paragone per quanti, in futuro, vorranno cimentarsi con la creazione di nuovi mondi, portando la cosa a un livello superiore, scegliendo di definire non solo popoli e creature, ma anche le loro tradizioni e le loro parole.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.