Le Indie Orientali colpiscono ancora

Il format della miniserie televisiva ha una marcia in più, rispetto ai serial classici. Il perché è presto detto: niente filler, l’azione procede spedita e il non dover rinnovare la serie per la stagione successiva garantisce allo spettatore una conclusione in tempi ragionevoli. Almeno in teoria.

La BBC, questo inverno, ci propone una storia particolare, dove interessi economici e occulto si mescolano in un’ambientazione di inizio ‘800, con un ottimo cast di supporto e una trama che, nonostante le premesse non molto originali, promette allo spettatore di non rivelarsi banale.
Nasce così Taboo, serie scritta da Steven Knight e diretta da Kristoffer Nyholm, basata su un’idea del suo attore protagonista, Tom Hardy.

Di nuovo a casa

Siamo nel 1814, in Inghilterra. La storia si apre con la morte di Mr. Delaney, commerciante proprietario dell’omonima impresa di navigazione, a seguito della quale il figlio James, dato da molti per scomparso, fa il suo ritorno nella terra di sua maestà Giorgio III in tempo per il funerale del padre.

I parenti, sorellastra compresa, non sembrano del tutto felici di vedere l’avventuriero, sul quale circolano storie poco piacevoli di alcune imprese avvenute in Africa, dopo il congedo disonorevole dal servizio della marina britannica. Per sua sfortuna, il giovane si trova presto invischiato in una situazione ereditaria spinosa, ottenendo un’eredità insignificante a cui però si aggiunge una piccola proprietà nel Nuovo Mondo sulla terra di origine della madre (una nativa americana), che il padre aveva “acquistato” insieme al piccolo territorio in cambio di un mucchio di polvere da sparo, spacciando poi la donna per italiana (eh?) una volta tornato in patria.

La terra, priva di ogni interesse economico, è invece di straordinario interesse tattico, essendo posta in una zona che garantirebbe il libero accesso all’intera isola di Vancouver e, per estensione, a una rotta sicura per le Indie Orientali. Situata sul Pacifico, al confine tra Stati Uniti e Canada, l’insignificante eredità di James finisce per essere di grande interesse nella guerra tra la neonata nazione americana e il Regno d’Inghilterra, per via della sua alta rilevanza strategica che la compagnia delle Indie Orientali, guidata da Sir Stuart Strange, vorrebbe sfruttare.

James, tuttavia, non sembra assolutamente intenzionato a cedere l’eredità paterna: rifiuta le offerte della Compagnia e si prepara a salpare per il Nuovo Mondo, dopo aver sistemato gli affari di famiglia in Inghilterra. La cosa, ovviamente, attirerà su di lui non solo l’astio di Sir Strange, ma anche quello del marito della sorellastra, la quale sembra nutrire un interesse più profondo dell’affetto fraterno verso James.

La storia, inutile dirlo, non sembra brillare per originalità: famiglie della ricca borghesia inglese impegolate in questioni ereditarie? La Compagnia delle Indie Occidentali che si comporta come una massa di carogne con la tendenza al genocidio? Già visto; classico dramma in costume, passiamo oltre.

A rendere nuovo e, quindi, interessante il concetto è la vena di oscurità e misticismo che si nasconde dietro l’intera rappresentazione. Da un lato c’è l’Inghilterra pre-vittoriana, che già mostra quel sistema di valori ambivalente, dove facciata e contenuto sono fortemente antitetici; dall’altro ci sono le tradizioni che James sembra aver appreso in Africa, un misto di magia sciamanica e religione sconosciuta, a cui si uniscono le conoscenze dei nativi americani che il padre sembrava aver ereditato dalla prima moglie. Ci troviamo di fronte a qualcosa che sembra sfociare, inevitabilmente, in un racconto di esoterismo voodoo, al centro del quale si erge il personaggio di James.

Che la serie sia stata scritta da Tom Hardy e suo padre è evidente quando si osserva l’interpretazione del fu Mad Max: il ruolo di James è studiato e concepito sul suo modo di recitare e imporsi al pubblico, facendo risaltare la sua recitazione e rendendola naturale agli occhi dello spettatore.

Il personaggio di James vive in quella sottile linea d’ombra tra il banale e l’innovativo, una striscia di grigio in cui la recitazione di Hardy riesce a dargli una marcia in più. Si tratta di un avventuriero dalle doti militari eccellenti, il migliore del suo corso accademico, che improvvisamente perde il senno e inizia a ribellarsi all’autorità, sparendo per ben dieci anni dalla faccia della Terra. James non si dimostra un personaggio semplice da analizzare. Apparentemente è il classico antieroe dell’era contemporanea della fiction televisiva, ma presto ci rendiamo conto che il protagonista di Taboo non è affatto un “duro dal cuore tenero”.
James ha una propria morale e segue solo quella, poco importa se questo lo porta a sfrattare da un edificio di proprietà delle prostitute che non hanno fatto del male a nessuno o ad aggredire verbalmente alcuni degli uomini più potenti dell’Impero Britannico. E, dietro a tutto questo, gli anni passati in Africa, che hanno inevitabilmente cambiato l’avventuriero, dandogli un bagaglio di esperienze che sfociano nel soprannaturale, quel suo “conosco qualcosa della morte” che sembra la summa del personaggio. È sempre una mossa avanti ai propri avversari, risultando informato di tutto nonostante i dieci anni di esilio volontario e, soprattutto, parla con i morti, come fosse uno sciamano.
Il personaggio di Tom Hardy è un eroe grigio, di cui seguiremo l’evoluzione con molto interesse.

Attorno a lui, la BBC ha riunito un cast di tutto rispetto. I fan di Game of Thrones riconosceranno senza dubbio diversi attori della miniserie. Nel ruolo di Sir Strange è facile vedere l’Alto Passero, Jonathan Pryce, il quale ci appare in forma smagliante e ci farà dimenticare, con la sua vena sadica e sarcastica, il personaggio contemplativo e sornione della serie HBO; altro ruolo di spicco è quello di Oona Chaplin, al tempo moglie di Robb Stark e oggi sorellastra di James.

Insomma, tra il cast, l’interpretazione di Hardy e la curiosità verso l’evoluzione del personaggio, ci sarebbero già abbastanza elementi per poter guardare la serie. Ma a destare interesse è soprattutto la scelta del periodo storico che fa da sfondo alla vicenda. Si tratta di un’età di mezzo della storia recente, quel XIX che i libri di storia non riescono a classificare come età moderna, ma che gli storici non avvertono ancora come contemporanea. Particolare, inoltre, la collocazione cronologica, un periodo di sospensione delle guerre napoleoniche, quando l’Imperatore era ancora in esilio sull’Isola d’Elba e il nemico era, momentaneamente, la nuova federazione statunitense.

Il periodo è ricostruito piuttosto bene, mescolando ambientazioni marittime alla “Master & Commander” con altre più sfarzose, mostrando i due volti dell’Inghilterra di inizio ‘800. L’economia, le classi agiate che vivono nel lusso e discutono di politica davanti al caminetto da un lato, i poveri che si suicidano dal ponte di Black Friars e i postriboli dall’altro. Tuttavia, visto che presto l’ambientazione cambierà per spostarsi sulla costa occidentale del continente americano, risulta parecchio interessante capire come evolverà lo scenario e se verrà ricostruito bene il tutto.
Nel frattempo possiamo apprezzare un’ottima fotografia, che riesce a disegnare bene un ambiente grigio, dai toni molto cupi, che si sposa alla perfezione con quel sottofondo sovrannaturale che sembra emergere ogni tanto dalla narrazione.

Cosa ci piace?

Il personaggio interpretato da Hardy con i suoi chiaroscuri, il cast di buon livello e l’intera ricostruzione del periodo storico sono ampiamente promossi.

Cosa non ci piace?

In attesa che l’elemento sovrannaturale emerga nel racconto, cambiando le carte in tavola, la storia appare un tantino stantia, proponendo tematiche poco innovative. Insomma, i personaggi della serie sono, al momento, più interessanti della serie stessa.

Continueremo a guardarlo?

Certamente. Si tratta di una miniserie di soli otto episodi, e questo basterebbe anche se non fossimo interessati all’evoluzione dei personaggi. Inoltre l’impressione che un plot twist possa cambiare, da un momento all’altro, tutto quello che credevamo certo in Taboo, è dietro l’angolo.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.