Tessere il proprio arazzo.

Siete in fuga da molti giorni ormai. Avete da poco posto il campo, quando venite richiamati dal pianto di un bambino. Accorri per salvarlo, ma di fronte a te trovi uno dei tuoi nemici al momento della loro infanzia. Hai visto decine, forse centinaia di loro commettere atti atroci e il suo pianto non cancella ciò che è realmente. Non resta altro da fare se non decidere: vuoi salvarlo?

Tutti speriamo di non doverci mai trovare di fronte a una simile situazione. Certo, la vita pone sempre di fronte a questioni importanti, scelte che hanno cambiamenti e ripercussioni enormi sullo scorrere delle nostre esistenze. E non sempre abbiamo la possibilità di tornare indietro. Ma qualche volta, su carta o nel videogioco, questo diventa possibile.

Negli ultimi tempi abbiamo visto la componente narrativa diventare sempre più importante nel videogioco. Per i videogiocatori di oggi la trama e la tradizione di un titolo hanno assunto un valore pari a quello del gioco stesso. Un piccolo esempio potrebbe essere fatto con il tanto atteso Kingdom Hearts 3: quanti di noi vivrebbero un’attesa così febbricitante se non fosse per la volontà di capire come si concluderà una storia durata quasi vent’anni?

L’attesa, o hype nella sua variante “esterofila”, gioca molto a favore del desiderio dell’utente di mettere le mani su un titolo. Ma spesso ci si può trovare di fronte a una cocente delusione, quando la storia, così tanto agognata, non si rivela all’altezza delle aspettative. Per nostra fortuna non è stato il caso della saga che vogliamo celebrare con questo articolo e che, proprio questo mese, è giunta alla propria conclusione grazie all’uscita del suo terzo capitolo.

The Banner Saga è qualcosa capace di trascendere il mero concetto di gioco di ruolo e di lore videoludica. Il titolo creato da Stoic Studio è qualcosa di diverso rispetto a tante altre avventure testuali che abbiamo affrontato nel corso degli anni. Ci troviamo di fronte a un titolo che, al di là di un buon intrattenimento fornito da un discreto sistema di combattimento a turni, ci fornisce qualcosa di più. Qualcosa che chi ha avuto la forza di portare avanti un romanzo, riversando su carta le proprie idee, conosce bene. Stiamo parlando dell’emozione derivata dalla scrittura, trasposta in ambito videoludico.

Proprio per questa sua caratteristica tentare di recensire un singolo capitolo di The Banner Saga diventa un’impresa quasi impossibile. Ogni capitolo della storia è parte di un intreccio più grande, un ricamo che giunge al proprio compimento solo quando il giocatore avrà concluso di scrivere la propria avventura, compiendo le proprie scelte e i propri sbagli. Più facile è cercare di trasmettere quello che ci ha donato avventurarci in questa avventura, un ciclo di tre giochi capace di appassionare un amante del fantasy in maniera simile a una grande serie di libri game.

La storia di The Banner Saga prende il via da un’ambientazione di chiara ispirazione norrena: ci troviamo in una terra fredda, dove umani e giganti, i varl, convivono in pace ma minacciati perennemente dai Distruttori, una popolazione di uomini di ossidiana che preme sui confini e le cui motivazioni, al di là della mera volontà di fare tabula rasa di tutto ciò che incontrano, sembrano del tutto sconosciute.

Come se non bastasse gli déi di questo mondo sono morti da tempo e il sole, senza alcuna motivazione logica, è bloccato, fermo in un eterno crepuscolo che non riesce a scaldare completamente le ossa dei uomini e varl, rendendo quasi impossibile calcolare lo scorrere del tempo.

Sarà in questa terra così strana, intrisa di tradizioni, magia e violenza, che faremo la conoscenza dei nostri protagonisti, due carovane che si muovono verso la capitale degli umani, incalzate dall’impeto costante dei Distruttori.

Da un lato seguiamo la storia della carovana del varl Ubin, un soldato ormai ritirato che si dedica alla scrittura e alla stesura di un diario. Insieme ad Hakon, altro possente guerriero della sua razza, sta scortando l’avventato principe Ludin verso la capitale, Arberrang.

Dall’altra parte del regno seguiamo invece le gesta del cacciatore Rook e di sua figlia, Alette. I due si pongono a capo della gente del loro villaggio per fuggire dai Distruttori che stanno avanzando senza sosta, accompagnati dal solitario varl Iver, nella speranza di poter trovare una nuova casa dove difendersi dall’assalto dei mostri.

E, in mezzo a loro, si combatte intanto un’altra battaglia, qualcosa che pochi potrebbero comprendere, e in cui gli incantatori Juno ed Envyd sembrano avere una ruolo principale, mentre un misterioso serpente gigante ha iniziato a muoversi, squarciando la terra e abbattendo con le sue spire boschi, città e montagne. Insomma, c’è abbastanza per spingere il giocatore a immergersi in questa storia, giocandola battaglia dopo battaglia, decisione dopo decisione fino alla fine, per poter così comprendere la realtà celata dietro gli eventi che sta giocando.

In questo lo spirito del giocatore che si approccia a The Banner Saga potrebbe benissimo ricordare quello del lettore in preda a quella smania che molti di noi conoscono e che possiamo chiamare “solo-un-altro-capitolo-e-poi-smetto”. Il mito e le tradizioni dei popoli del nord vengono rielaborati con successo per creare un’ambientazione unica, un mondo che si trova davvero di fronte a un lunghissimo inverno e dove le divinità sono davvero andate incontro al loro fato. Come in ogni saga fantasy che si rispetti Stoic Studio è riuscita a creare un universo di gioco complesso e affascinante: ha realizzato quel lavoro mitopoietico, codificato da Tolkien, e necessario per poter creare un mondo fantasy in grado di rapire l’attenzione del lettore (o del giocatore) e trasportarlo davvero in una terra parallela, dove il sole è bloccato nel crepuscolo. 

Spinti dal desiderio di esplorare e scoprire che cosa succederà ci troveremo perciò a giocare una partita dopo l’altra. L’evoluzione della trama non si dimostra mai banale, e concede al giocatore diversi momenti di riflessione e quesiti etici non da poco per poter continuare l’avventura. In un certo senso ci spinge davvero a metterci nei panni dei protagonisti, a domandarci quale siano le soluzioni più adatte per poter proseguire il gioco, salvando il maggior numero di compagni nel tentativo di portarli al sicuro, in una terra che permetta loro di ricominciare a vivere, o in una città con mura abbastanza solide da poter sostenere la ruggente marea di ossidiana dei Distruttori, comandata dal vermiglio Bellower.

La trama, insomma, è la grande forza di questo ciclo di giochi. Ma in questa saga videoludica c’è molto di più. C’è infatti la possibilità di crearsi da sé il proprio cammino. Ogni scelta che andremo a compiere nel gioco infatti influenzerà gli eventi della storia, portandoci anche ad avere finali diversi in base a ciò che abbiamo scelto. I nostri personaggi giocatore potrebbero anche non farcela se, nel corso della nostra avventura, prenderemo la decisione sbagliata. Il lato affascinante di The Banner Saga è proprio quello di essere un librogame in formato digitale, dove non si può tornare indietro. I giocatori, trasformati in scrittori, dovranno convivere con le loro scelte, pagando il prezzo di quelle sbagliate.

Che la grande tradizione del librogame sia stata la fonte di ispirazione di questo gioco appare innegabile.

Come in un librogame ci si trova costretti a compiere delle scelte e ogni volta la storia prenderà pieghe diverse. Tanto nel gioco quanto sulla carta. La differenza principale tra il giocatore con in mano un libro game e lo scrittore è che il primo può sempre tornare indietro. Il secondo no. Quante volte, prendendo in mano un libro di Joe Dever e calandoci nei panni del Lupo Solitario ci siamo trovati a voler tornare indietro, potendolo fare semplicemente sfogliando le pagine? In questo il libro game mantiene una sfumatura unica rispetto a tutti gli altri generi, permettendo al lettore di avvicinarsi davvero allo scrittore, di crearsi la propria storia e il proprio cammino tra le pagine.

Un personaggio può morire, un altro essere mutilato, altri ancora possono essere feriti o rapiti per colpa nostra. Le nostre scelte possono creare malumore e qualcuno dei nostri alleati potrebbe tradirci o abbandonare il gruppo. E, dietro a un nutrito gruppo di protagonisti e coprotagonisti, si trovano le comparse, gli uomini e le donne che fanno parte delle due carovane e che dipendono dalle decisione che prenderemo. Il viandante che abbiamo appena incontrato è un guerriero di cui possiamo fidarci? Oppure ci tradirà uccidendo qualcuno che ci sta a cuore? Possiamo raccogliere del cibo in questa fattoria abbandonata senza timore di un’imboscata? Insomma, le variabili sono tantissime e per niente scontate.

In questo The Banner Saga potrebbe assomigliare a un qualsiasi altro gioco di ruolo visto negli ultimi anni con finali multipli. Quello che invece va sottolineato sono i profondi cambiamenti che può subire la parte giocata con le nostre decisioni. La vita o la morte di un personaggio possono cambiare radicalmente gli esiti di uno scontro e, di conseguenza, quelli della storia. Ed ecco che il lettore si trasforma in scrittore, con l’onere di tessere un racconto capace di dare un finale degno di questo nome ai suoi personaggi.

Il retaggio che questa serie videoludica ha ricevuto dalla letteratura fantasy è un altro dei suoi cardini. Lo sviluppo dei personaggi segue molto spesso quello degli archetipi fantasy a cui siamo abituati. Vecchi guerrieri ormai ritirati, veterani desiderosi di proteggere le nuove generazioni, persone umili costrette a imbracciare le armi per colpa degli eventi in cui sono stati coinvolti.

Nella stesura di un romanzo uno dei conflitti più ardui da gestire è quello tra ragione e sentimento. Da un lato la logica consiglia allo scrittore di far svolgere le cose nella maniera più lineare e realistica possibile, poco importa che questo vada contro quella che era l’idea che ci eravamo prefissati quando, molte pagine prima, abbiamo iniziato la stesura della storia. Ma ecco che interviene l’amore per quello che stiamo scrivendo, anzi per chi stiamo scrivendo. Difficilmente uno scrittore non si affeziona ai propri personaggi, e in questo compiere determinate scelte di trama diventa sempre difficile (a meno che voi non siate George Martin…). La volontà è quella di dare a personaggi che abbiamo creato e visto crescere e trasformarsi da un ammasso di inchiostro in qualcosa di vivo il finale che vorremmo per noi stessi, dargli la possibilità di concludere in maniera felice la loro storia. Questo purtroppo non sempre è possibile.

E, tale conflitto, è stato trasposto magistralmente in The Banner Saga. I personaggi presenti nel gioco sono uno dei punti di forza di questa saga, poiché capitolo dopo capitolo noi giocatori impariamo a conoscerli e ad apprezzarli. I rapporti umani che si creano nel party e nelle carovane sono qualcosa di ben diverso dalla semplice complicità presente nei party degli RPG. Poco alla volta il lato umano e affettivo si fa strada anche nel giocatore, influenzandone le scelte. Amiamo un personaggio al punto di volerlo salvare? Questo potrebbe renderci impopolari presso i guerrieri della carovana, oppure costerà la vita a un altro personaggio.

Un ultimo importante collegamento con il librogame è quello che potremmo definire come l’aspetto etico della vicenda. Non è insolito che gli autori, come i master dei giochi di ruolo, possano porre i propri giocatori di fronte a questioni morali importanti. Nei romanzi, volenti o nolenti, dobbiamo sempre farci andare bene quelle che sono le scelte dei nostri protagonisti. Frodo sceglie di abbandonare la Compagnia, Ned Stark di appoggiare Stannis Baratheon, pur prevedendo a quali rischi si sarebbe esposto, Harry Potter decide di andare al Ministero della Magia scatenando una serie di eventi che porteranno morte e dolore. Tutto questo però è già stato deciso dall’autore, per il lettore non è possibile intervenire e contrastare la loro volontà. Di fronte a un librogame tocca direttamente a chi ha in mano le pagine essere posto di fronte a scelte difficili, spesso enfatizzate dal sapiente uso della seconda persona singolare.

The Banner Saga non fa eccezione in questo. Avete sconfitto i vostri nemici e ottenuto un bel bottino? È il momento di scegliere come usarlo, se incrementando i parametri dei vostri eroi, acquistando equipaggiamenti che permettano loro di sopravvivere alla prossima battaglia, oppure provviste per la carovana, in vista del lungo viaggio. Il tipo di decisioni che spettano a un leader, quelle che possono attirare un odio immeritato, ma che permetterà di guardare più in là nel futuro, e un amore esiziale, destinato a essere di breve durata e a portare dolore.

La differenza principale però consiste nella necessità di dover gestire un gruppo composta da un nutrito numero di persone, ognuna della quali si relaziona ad altri membri della carovana e cambierà in base alle nostre scelte. Ciò che decidiamo in un gioco avrà effetto anche nella partita in quello seguente e potrebbe ripercuotersi a lungo sul nostro cammino, sotto questo sole crepuscolare che non vuole tramontare, osservati dalle antiche pietre degli dei morenti.

Solo affrontandole il giocatore potrà veramente capire l’emozione di tracciare la propria strada. Tessere il proprio arazzo, filo dopo filo, scelta dopo scelta. Un’emozione da vivere, capitolo dopo capitolo.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.