A distanza di tre lunghi anni, Ubisoft ci riprova con The Division 2, seguito (e non solo) di uno dei titoli più apprezzati, ma discussi, degli ultimi anni

C’era una volta la voglia di innovare, di sorprendere, di stravolgere, una voglia che, almeno nel mercato videoludico, ha finito lentamente con l’affievolirsi sempre di più. Non è un mistero che ormai molte software house preferiscano andare a “colpo sicuro”, sviluppando prodotti dal solido affidamento quali seguiti, remastered, remake e quant’altro. Tutto questo, chiaramente, non è per forza di cose un sinonimo di scarsa applicazione o di qualità, ma risulta indubbiamente un passo indietro per l’evoluzione, flagellata da una mancanza di nuove idee a tratti quasi frustrante. La cosa peggiora ulteriormente se si dà uno sguardo al genere di appartenenza dei titoli offerti: sempre più open world, sempre più titoli gdr-like, sempre più battle-royale, per citarne alcuni, senza dimenticare i famosissimi “looter shooter” divenuti ormai prodotti all’ordine del giorno. Nel recente periodo, il genere in questione ha vissuto un momento caldo per quanto concerne le realease, con l’arrivo di un prodotto come Anthem, chiamato a scombussolare le leggi del settore ma che, alla fine, si è rivelato incompleto e soprattutto incapace di innovare e rinnovare il mercato.

Per tal motivo, le speranze della massa si sono focalizzate su The Division 2, seguito del tanto discusso shooter in terza persona targato Ubisoft, approdato ufficialmente sul mercato lo scorso venerdì. Vogliamo subito tranquillizzarvi: The Division 2 è un ottimo prodotto, divertente e appagante quanto basta, ma se avete prestato attenzione all’introduzione dell’articolo avrete già capito che qualcosa è andato storto. Analizziamo il tutto con calma, comunque: di cose da dire ce ne sono parecchie!

Tutto è in rovina

Sottolineando ancora una volta il fatto che ci troviamo dinnanzi ad una produzione che convince e funziona, la prima sensazione che si ha una volta iniziata la partita è quella di trovarsi di fronte a un prodotto tremendamente derivativo, facilmente catalogabile come “more of the same”. Del resto la mossa era piuttosto comprensibile e immaginabile, dato comunque l’ottimo impianto ludico offerto dal primo The Division, rovinato da problemi diversi, riguardanti, in particolare, la varietà e la quantità delle attività una volta raggiunto il tanto temuto end-game. Ubisoft da questo punto di vista ha svolto un lavoro sostanzioso ed encomiabile, riuscendo a portare sul mercato un signor videogioco che, pad alla mano, è capace di offrire una sensazioni più che piacevoli ai vari agenti impegnati nella difficile lotta contro il terrorismo, insediatosi ora in quel della capitale degli States: Washington D.C.

Il primo grande stacco col passato è del resto rappresentato proprio dalla location: lo sfondo alle vicende di questo secondo capitolo è infatti ben diverso dalla fredda e cupa New York, in grado di offrire una ventata di aria fresca tangibile sotto il profilo visivo. Washington è splendida da vedere e da esplorare, giacché ancora una volta il farming è una delle caratteristiche fondamentali della produzione, e la location rappresenta qui una vera e propria esplosione cromatica. Questo è chiaramente merito anche dell’ottimo lavoro svolto sul piano tecnico: il titolo, infatti, almeno nella versione da noi testata – Xbox One X si comporta egregiamente, sorretto da una risoluzione molto elevata e quasi sempre ancorata al 4K nativo, a un frame-rate piuttosto stabile sui 30 fps, ed a un ottimo lavoro svolto più in generale a livello di ottimizzazione.

Un mondo cupo e minaccioso

Se dal punto di vista grafico è impossibile non notare e apprezzare il cambio di rotta offerto dagli sviluppatori, lo stesso non si può dire per la struttura narrativa che accompagna questo secondo viaggio in compagnia della creatura di Ubisoft. Il cambio di rotta, da questo punto di vista, non c’è stato quasi per niente: la trama di fondo, raccontata per altro in modo ancor più confusionario e frammentato che in passato, è quasi completamente accorpabile a quella del primo, differenziandosi in minima parte su aspetti come le fazioni avversarie e poco altro. Ancora una volta ci si ritrova per strada a fronteggiare orde di bande armate fino ai denti, sia di armi sia di soluzioni più avanzate, quali armi batteriologiche e quant’altro, desiderose di portare scompiglio e caos per le strade della città. In verità la storia si svolge proprio continuando quella del primo, in cui gli agenti della divisione, dopo i nefasti eventi di New York, hanno assistito impotenti al propagarsi dell’insana follia di massa che aveva precedentemente distrutto buona parte del Paese.

Una volta giunti in man forte degli agenti rimasti in quel di Washington le cose si mettono subito in salita: le truppe armate che pullulano per le strade, che siano i minacciosi True Sons, le Iene o i Reietti, hanno tutti in comune un’aggressività del tutto nuova, quasi senza precedenti. Il grande lavoro svolto sotto il profilo dell’intelligenza artificiale dei nemici è in tutta onestà encomiabile, laddove anche il più debole degli avversari è sorretto da una capacità fuori dal comune di tendere sempre ad accerchiare il giocatore, a prenderlo alla sprovvista, terminando molto facilmente la sua esistenza, a causa anche di una quantità di danni ingente che quasi sempre riesce a infliggere. Qualcuno potrebbe definire questa scelta come un tasso di sfida importante ma a noi, onestamente, in molti casi è parso di confrontarci con uno sbilanciamento eccessivo della curva di difficoltà, sempre tirata verso l’alto, certo, ma che più di una volta tocca apici quasi ingiustificabili.

Divertimento e innovazione: due facce della stessa medaglia

Tirando le somme, quindi, in The Division 2 si corre e si spara a ripetizione? In buona sostanza sì, ma non è del tutto vero. A onor di cronaca, è giusto specificare che il prodotto di Ubisoft si comporta piuttosto bene in termini di attività e varietà sin dalle primissime battute. Il problema di fondo è che tutto si traduce in una sparatoria quasi immediatamente, in cui quasi sempre il numero elevato di nemici vi “costringerà” a cercare maggiori fortune affidandosi alla collaborazione di agenti scelti a caso da un ottimo sistema di matchmaking. Il grado di difficoltà elevato va di pari passo con la voglia degli sviluppatori di focalizzare maggiormente il tutto sia sull’importanza della vena ruolistica sia sulla cooperazione tra giocatori e sono riusciti nel loro intento.

Scegliere con calma le abilità da impiegare, il giusto equipaggiamento con i bonus più adatti, qui è fondamentale, e sicuramente questo è un grosso punto a favore. Quel che non convince, però, è che, al netto di una varietà spropositata di armi, il loro feedback è quasi sempre nullo o comunque discutibile: ogni arma appare sempre “leggera”, complice anche una cattiva introduzione della vibrazione sui controller, che sembra fuori sincrono e sin troppo delicata in più di un’occasione. A questo si deve aggiungere un fastidioso fenomeno di micro scatti che ogni tanto torna ad affacciarsi sulla scena, andando così a complicare ulteriormente alcuni scontri. Al di là di tutto, comunque, The Division 2 è un gioco difficilmente attaccabile sul lato gameplay: al netto delle mancanze elencate, è impossibile non divertirsi nell’andare a caccia di casse Shade (fondamentali per potenziare le vostre abilità o per sbloccare i fondamentali “Vantaggi”) o semplicemente andare a esplorare la varie porzioni di mappa, alla ricerca forsennata di un qualcosa capace di evolvere la qualità del vostro alter ego.

Un tocco di… classe

Lo snodo fondamentale per la valutazione di The Division 2, ma più in generale di tutti i prodotti del genere, è rappresentato però, ovviamente, da elementi quali l’evoluzione del personaggio e – soprattutto – l’end-game. Sotto questo aspetto, il titolo Ubisoft non delude, anzi, risultando in realtà, come dicevamo in apertura, ben carico di attività da svolgere. Una volta giunti al level cap (ancora una volta fissato a quota 30), poi, si aprono le porte alle tanto amate “Specializzazioni”, grazie alle quali sarà possibile scegliere più nello specifico il futuro del vostro personaggio e il ruolo con cui volete che esso si approcci all’interno dell’economia del titolo. Che sia l’esperto di Sopravvivenza, l’Occhio di Falco o l’esperto di Demolizioni, il gameplay subirà diversi cambiamenti in base alla classe scelta: questo, come potrete ben immaginare, non fa altro che accrescere enormemente la qualità del titolo sul lungo termine. La quantità di attività è impreziosita anche dalla presenza delle taglie che, un po’ come accade in altri titoli, danno la possibilità di andare alla ricerca di avversari particolarmente ostici e ben protetti che però, una volta sconfitti, lasciano a terra un loot di tutto rispetto. Tutti questi elementi sono pezzi fondamentali di un mosaico che risulta completo e soddisfacente ma che, se lo si guarda da più vicino, mostra il fianco a diversi difetti più o meno evidenti.

Non è tutt’oro quel che luccica

In apertura vi avevamo già accennato alcune importanti mancanze che il titolo porta con sé. Un po’ come ormai siamo abituati recentemente, a far storcere il naso più di tutto è la papabile assenza di elementi veramente innovativi, capaci di stravolgere le fondamenta del genere e di dare un grosso scossone a tutta l’industria. The Division 2, infatti, per quanto bello e divertente sia, è poco più che una versione riveduta e corretta del primo capitolo, cosa che potrebbe anche non essere vista come un difetto, ma che a conti fatti, ancora una volta, dà un forte scossone – in negativo – a tutto il settore. La volontà di osare, di mettersi in gioco, sembra quasi non appartenere più a buona parte delle software house contemporanee, Ubisoft compresa. È impossibile non rimanere leggermente delusi da questo punto di vista, laddove la compagnia canadese ha avuto il grande merito, negli ultimi anni, di lanciare sul mercato un prodotto incompleto e ricco di difetti di sorta, ma che non ha avuto alcuna paura nel cercare di portare qualcosa di veramente nuovo sul mercato.

Ci riferiamo, ovviamente, al controverso For Honor che, al netto di tutte le mancanze di questo mondo, ha saputo innovare e rinnovare il mercato. In The Division 2 questo non accade, o comunque si vede soltanto in piccola parte, giacché il titolo non riesce a introdurre alcuna novità, né sotto il profilo delle meccaniche da looter shooter né per quanto concerne il sistema di progressione. Ci aspettavamo qualcosa in più da questo punto di vista, magari anche cercando di fare non soltanto i conti con gli errori del passato, in buona parte sistemati, ma anche e soprattutto con la scarsità di idee e di innovazioni che il mondo dei videogiochi porta dietro ormai da troppo tempo. Lo stesso Anthem ha fallito miseramente la sua missione – sia chiaro, The Division 2 è nettamente superiore – e vedere un nuovo tracollo dell’ingegno, a pochi giorni di distanza, non può che fare male. Ci troviamo di fronte, per dirla in breve, a un dualismo intrinseco, in cui la voglia di sfidare la sorte va di pari passo a quella di dormire sonni tranquilli, andando sul sicuro ma lasciando ancora una volta un vuoto talmente profondo da far risultare impossibile non cascarci dentro.

A conti fatti, il “nuovo” pargolo di Ubisoft è un titolo di tutto rispetto, divertente e alienante quanto basta, sorretto da diverse migliorie sul fronte tecnico e ludico, ma che, tutto sommato, si mostra come un mero “more of the same” sia del genere di appartenenza sia del suo stesso precedessore. Sia chiaro, le ore di gioco sono assicurate, e se giocate insieme a un gruppo di amici, il divertimento pure, tra orde di nemici agguerritissimi, boss molto forti e attività extra da svolgere. Quello che però in The Division 2 non troverete, ancora una volta, è un qualcosa di veramente nuovo, di capace di offrire un barlume di speranza a tutti gli appassionati del genere in questione. Se cercate uno shooter in cui elementi ruolistici, esplorazione e divertimento si fondono splendidamente siete nel posto giusto, su questo non ci piove, ma se vi aspettavate anche soltanto una piccola ventata di aria fresca, beh… siete nel posto sbagliato, e nessun clan al mondo potrà cambiare questa triste verità.

Salvatore Cardone
Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.