Abbiamo incontrato una leggenda del fumetto italiano, uno dei più talentuosi e storici disegnatori di Tex, in grande Fabio Civitelli. Ovviamente non potevamo che cogliere l’occasione per portare sulle pagine di Stay Nerd una succosa intervista.

Una domanda forse un po’ ‘spinosa’: ci darebbe un suo commento a caldo in qualità di storico e apprezzato disegnatore di Tex sulla recente vicenda che ha coinvolto Tex, Bonelli, e Mike Deodato Jr.?

unnamed (2)Io non l’ho seguita direttamente, ma solo da comune lettore, perciò posso dire poco. Penso comunque che la Bonelli si sia comportata correttamente. Bonelli mette un budget sul tavolo e se un disegnatore chiede più di quello che possono spendere la cosa semplicemente non si fa. Io però non conosco bene le trattative che ci sono state. Se c’è una cosa che posso criticare al disegnatore è il fatto di aver messo subito in rete una contrattazione mentre era ancora in corso. Mi spiace che alla fine la cosa non si sia concretizzata perché pare che Deodato ci tenesse molto a disegnare una storia di Tex.

Si dice tanto che il fumetto italiano non venda ma andando a spulciarci un po’ di dati scopriamo che Tex è ancora uno dei fumetti più venduti. È vero che parliamo di una leggenda ma a suo parere qual è il segreto di 70 anni di successo?

Beh ci sono vari motivi. Quello vero forse non lo sa nemmeno la casa editrice, altrimenti lo avrebbe replicato con tanti altri personaggi (ride NdR). Mentre di fatto gli altri non hanno avuto lo stesso successo di Tex, tranne forse Dylan Dog. Io penso che Tex sia nato bene, con delle caratteristiche molto particolari che lo hanno reso subito affascinante e simpatico ad un certo tipo di pubblico. Questo pubblico poi è cresciuto con lui e ha continuato a seguirlo. Noi abbiamo lettori di 80 e più anni; ne conosco qualcuno che lo legge dal 48, ovvero dal primo numero, senza smettere mai. Si è creato quindi ad un certo punto il famoso zoccolo duro di lettori che ha continuato a seguirci. La cosa che abbiamo cercato di fare -e secondo me ci siamo anche riusciti- è stata quella di non tradire lo spirito iniziale del personaggio ma farlo evolvere mantenendo le sue caratteristiche, come ad esempio una sua personale idea di legge e giustizia. O ancora il fatto che lui viva con gli indiani e quindi sia stato un precursore della riscoperta dei valori dei pellerossa. In Tex infatti gli indiani non sono tutti cattivi e i bianchi non sono tutti buoni, e questo è un concetto emerso nel fumetto prima ancora che nel cinema. E poi soprattutto è il suo modo di agire che piace, perché Tex è uno che va dritto e non guarda in faccia a nessuno, politici o militari che siano, per cui raggiunge il suo scopo senza tutti i problemi che normalmente avremmo noi. Tutti noi quando leggiamo un Tex pensiamo che vorremmo risolvere i problemi in questo modo, a suon di scazzottate, ma ovviamente non è possibile. Per cui c’è una sorta di immedesimazione nel personaggio: Tex è quello che noi vorremmo essere. Io la vedo in questo modo. Lo leggo da quando ero ragazzo quindi per me è anche un compagno che mi è stato affianco tutta la vita, per cui come lettore oltre che autore, trovo che sia sicuramente un personaggio ancora ricco di fascino.

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Dopo tanti anni passati con il personaggio di Tex, il quale l’ha accompagnata praticamente per tutta la sua carriera, come è stato confrontarsi con il personaggio di Dylan Dog?

Non semplicissimo. Io sono un lettore di Dylan Dog e conosco personalmente Tiziano Sclavi, ho lavorato con lui su delle storie di Mister No, perché prima di fare Dylan Dog, Sclavi ha fatto una sorta di ‘prova generale’ proprio con questo personaggio e con delle storie magiche e oniriche. Ne ho disegnate un paio che sono diventate celebri tra i lettori di Mister No, quindi quel tipo di atmosfere comunque mi piace già da tempo. Non solo, la storia di Dylan Dog su cui ho lavorato si rifà a una MIA vecchia storia di Mister No. Per quello sono stato chiamato a disegnarla. Dovete sapere che il personaggio di Ananga, lo Spirito del Male, è nato in una storia di Mr. No disegnata da me negli anni ‘80. Poi è diventato il personaggio di un’altra storia di Dylan Dog disegnata da Freghieri e infine quella in cui sono tornato io, è un po’ la conclusione del ciclo che parla di questo spirito maligno chiamato appunto Ananga. Mi sono perciò ritrovato a disegnare un personaggio su cui non mettevo mano da più di 20 anni. L’unico vero problema in tal senso è stato proprio il personaggio di Dylan Dog: mi sono rifatto al primo modello, che era costruito sui lineamenti Rupert Everett, e che poi negli anni è un po’ cambiato. Siccome il mio Dylan risultava un po’ ‘vecchio’ ho dovuto fare dei ritocchi al mio stile per adattarlo a quello odierno. Questo è stato l’unico ‘inconveniente’, per il resto è andato tutto liscio.

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Tra le altre cose lei ha lavorato anche con alcuni personaggi Marvel. C’è stata una parentesi della sua vita, seppur piccola, in cui ha disegnato personaggi come Spiderman e i Fantastici 4 quando questi venivano pubblicati su Super Gulp. Legge ancora Marvel? E che ne pensa di questo universo?

Io sono stato influenzato moltissimo dai disegnatori americani. All’inizio da Alex Raymond (Flash Gordon) e Hal Foster (Prince Valiant), e dopo dai disegnatori Marvel. Nella fine degli anni ‘60 ho scoperto le pubblicazioni della Corno che stampavano per la prima volta I Fantastici 4, Thor, Spiderman, ecc. Io li leggevo tutti. Alcuni disegnatori come John Buscema e John Romita Senior mi hanno influenzato molto. Per cui ho continuato a leggere tanto fumetto americano fino agli ultimi anni in cui ho diminuito un po’ la lettura se devo essere sincero, anche perché gli autori di oggi mi piacciono un po’ meno. Comincio a sentirmi vecchio in termini di gusti e allora finisce che oggi io apprezzi di più gli autori classici. Degli ultimi mi piacciono molto Bryan Hitch e Alan Davis: quando escono i loro lavori li recupero sempre.

Sappiamo che tra le sue passioni c’è anche la fotografia. Ci chiedevamo in che modo il disegno è influenzato dalla fotografia, e viceversa, nella sua esperienza.

Il disegno insegna come comporre l’inquadratura in fotografia, a inserire gli elementi. Nel disegno decidiamo noi cosa e dove collocare il tutto, nella realtà invece gli elementi sono già presenti ma possiamo spostarci finché non si piazzano nel punto giusto. Personalmente dalla fotografia ho appreso molto sull’utilizzo della luce, il chiaroscuro, e come dare profondità al disegno. Per esempio, a volte mi chiedono perché perdo tanto tempo facendo molti puntini a mano nei miei disegni per dare il senso di sfumatura di grigio, e la risposta è che ho bisogno di avere più toni. Nel disegno c’è il bianco e il nero, ma se io disegno una scena notturna e devo disegnare una silhouette di un personaggio di notte sarei costretto a fare un contorno bianco intorno al personaggio per staccarlo dal cielo, ed è una soluzione che non mi piace, perciò uso il grigio per lo sfondo, così il primo piano può restare nero.

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Lei si è occupato anche delle illustrazioni di Tex Willer – Il romanzo della mia vita, un’autobiografia del personaggio scritta da Mauro Boselli. Sfogliando il volume abbiamo apprezzato particolarmente lo stile ottocentesco dei suoi disegni. Secondo lei perché in 70 anni di Tex un volume simile è uscito soltanto nel 2010? Le andrebbe di parlare del progetto?

Per le questioni sui tempi di pubblicazione devo dire che è una cosa che compete alle case editrici. In realtà la Mondadori sembra avesse intenzione di fare una collana dedicata alle autobiografie dei personaggi dei fumetti. Prima di questa ne era uscita una su Diabolik anche piuttosto interessante che avevo personalmente letto per prepararmi al lavoro. Ma dopo quella di Tex non è stato fatto più niente in pratica, la cosa un po’ mi è dispiaciuta. Però so che ha venduto molto bene, perché comunque Tex ha un pubblico estremamente vasto. Riguardo al disegno invece è stata una precisa scelta artistica quella di utilizzare uno stile più vecchio. Volevamo dare l’impressione delle stampe dell’800 perché in quell’epoca non si stampava a retino come oggi, i grigi non si vedevano quindi i disegnatori lavoravano con tante linee per dare l’idea delle diverse gradazioni di scuro. Io ho cercato di sfruttare quella tecnica, invece dei puntini ho usato le linee. È venuto un lavoro molto particolare e apprezzato, tanto che gli originali sono stati venduti per la maggior parte.

Ci siamo imbattuti in una curiosità molto particolare sull’inizio della sua carriera. Le andrebbe di parlarci in breve del suo amico Pablo de Almaviva?

Pablo de Almaviva non lo vedo da un po’ di tempo, diciamo 35 anni! Pablo è stato il mio alter ego. Agli inizi della mia carriera, ero molto giovane, ancora frequentavo il liceo quando già disegnavo professionalmente e facevo i disegni anche in classe. Avevo conosciuto questo studio di Milano tramite una rivista che cercava disegnatori, lo Studio Origa, gestito da Graziano Origa, che per tanti anni è stato nel settore del fumetto, e lui mi trovava il lavoro, la nostra collaborazione è durata 5 anni. Dopo i primi due o tre anni però mi dispiaceva non firmare le mie tavole e Graziano mi suggerì di trovare uno pseudonimo. Siccome secondo lui andavano di moda i disegnatori spagnoli mi sono inventato questo Pablo de Almaviva. La cosa però ha creato un piccolo problema perché Bonelli che vedeva le mie tavole firmate Pablo de Almaviva, cercava questo disegnatore spagnolo senza ovviamente trovarlo mai. In Bonelli si sono resi conto di come stavano le cose quando personalmente sono andato in redazione, facendogli scoprire che in realtà Pablo de Almaviva è toscano!

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!