Siamo qui con Stefano Onofri, storico doppiatore di Tin Tin, Spider-Man e Gigi la Trottola, un personaggio che amo molto.

Beh, doppiare Gigi è stato un grande lavoro: tre turni al giorno per due mesi. Però è durato un anno soltanto, il numero di episodi era limitato. Mentre invece Spider-Man l’ho doppiato nel corso di decenni, tantissime stagioni. Gigi è durato una sola stagione, Gigi Sullivan mi ricordo, che poi in realtà si chiama Kappei.

Beh sì, prima era diffuso cambiare i nomi dei personaggi per renderli più vicini al pubblico italiano. A volte per mantenere una facciata di nome straniero più familiare si usava l’inglese, come nel caso di Gigi, appunto, che in italiano fa di cognome Sullivan.

Poi a quei tempi avevo valanghe di lavoro, passavo tutto il giorno davanti a un televisore minuscolo da solo a doppiare su uno sgabellone di quelli alti, davanti a un leggio. Guardavo solo il personaggio che doppiavo, quindi avevo difficoltà a capire quello che succedeva nel cartone animato. Anche il direttore del doppiaggio di Gigi la Trottola aveva problemi a capire quello che succedeva, perché era proprio surreale, quindi ci siamo affidati a una sorta di istinto primordiale. Penso che comunque l’istinto di un doppiatore, di un direttore, è fondamentale. Si tratta comunque di una sensibilità profonda.

Sono d’accordo, quel cartone animato funziona. Credi che oggi sia cambiato, il mondo del doppiaggio?

Beh, oggi i doppiaggi sono tecnicamente ineccepibili, ci sono delle scuole per futuri doppiatori, però rispetto alla perfezione che si riesce a ottenere a livello di sincrono o di dialogo, prima c’era una maggiore artigianalità, un’interpretazione, una specifica interpretazione a livello emozionale. Se ancora oggi un ragazzino si diverte guardando Gigi la Trottola, sono convinto che sia merito di questo apporto emotivo che riuscivamo a trasporre. C’era un’autenticità. L’emozione fa sempre parte di questo lavoro e non bisogna mai perderla di vista. Non si può fare questo lavoro con aridità.

La differenza poi si vede e si sente. Soprattutto in quei casi in cui si sono incontrati personaggi e voci totalmente azzeccate. Anche la scelta iniziale dell’interprete è molto importante.

Io non so per quale motivo mi abbiano scelto per interpretare Gigi, non ho neanche fatto un provino. Conoscevo il direttore di doppiaggio che si stava occupando di quel progetto e mi ha scelto. A suo tempo avevo doppiato Mickey Rooney nella serie di film del Giudice Andy Hardy, che interpretava il personaggio di un ragazzino simile a Gigi la Trottola, forse è stato per quello. Tante volte il mondo reale e quello dei cartoni animati, per quanto possano sembrare distanti, hanno dei punti di contatto incredibili.

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Andando ancora più indietro nel tempo: come è iniziata la tua carriera?

In realtà è iniziata con una carriera da cantante, perché io volevo fare, e vorrei fare tuttora, il cantautore. Avevo iniziato a cantare a 12 anni partecipando a vari concorsi, poi conobbi il mio primo produttore e agente, Corrado, il presentatore della Corrida, che promuoveva una rassegna canora per giovani talenti per Radio Montecarlo e Capo d’Istria. Partecipai e lo vinsi. Andai anche a Sanremo, avevo 16 anni, ma fui scartato alle selezioni.

Un po’ deluso dal mondo discografico, decisi di finire le scuole.

Beh, comunque andare a Sanremo a sedici anni è un ottimo traguardo. Oggi poi che i talent show si sono moltiplicati, è ancora più difficile far parte di quel mondo.

Io non riesco a guardare i talent show, perché soffro quando vedo le persone parlare male dei giovani, che magari ci stanno mettendo tutti loro stessi, in quell’esibizione. So cosa vuol dire essere giovane e sentirsi rifiutato. C’è chi ha il talento e chi no, ma in questi programmi vedo soprattutto persone che si presentano con tanta preparazione e poco talento, molta tecnica e poca anima. Vedo tanti cloni, come in tutti gli ambienti artistici. I veri talenti hanno sempre meno spazio, le persone non riescono neanche più a riconoscere la qualità. Ma quando c’è, il talento, arriva dritto al cuore, arriva sottopelle.

È questo che cerchi di insegnare ai tuoi allievi?

Lo spero. Il talento va ricercato dentro se stessi, va portato allo scoperto smantellando le sovrastrutture e le paure. Una volta trovato, il talento deve essere riconosciuto, ma soprattutto coltivato. In ogni mestiere serve il talento, sono convinto che se tutti noi riuscissimo a lavorare con passione, il mondo girerebbe meglio.

Che poi la cosa bella del talento è che non è mai troppo tardi per scoprirlo. Anche a settanta, ottant’anni, puoi scoprirlo. Mai dire mai, la vita è più sorprendente di quanto pensiamo.

A proposito di talento, cosa ne pensi della tendenza a inserire personaggi dei talent, o provenienti da youtube, come doppiatori?

Non ho un pregiudizio, se hanno talento perché no. Certo, ci sono persone che sono famose solo per essere diventati dei personaggi televisivi, che non è detto che siano per forza bravi come attori o doppiatori. Lì funziona solo il personaggio del momento, ma è solo un’operazione commerciale. Non ho nessun preconcetto, devi solo dimostrare di meritare il successo. Ci sono attori bravissimi che magari non sono per niente conosciuti, ma l’importante è comunque perseguire la propria passione.

C’è qualche altro consiglio che vorresti dare ai nostri lettori?

Approcciatevi alle cose sempre con curiosità e stupore.

Oggi tutti voglio visibilità, fama, altrimenti gli altri ti vedono come un fallito. Non è così. Vivere della propria passione e vivere la propria passione è più importante di tutto il resto.