Solitario nella notte va…

Per noi occidentali sarà sempre difficile capire fino in fondo la cultura giapponese. Non si parla solo delle tradizioni, come la religione, l’arte e la poesia. Spesso la nostra incapacità di comprendere a fondo la terra del Sol Levante è dovuta a una nostra incapacità di penetrare nei meccanismi della loro quotidianità, come il momento del pasto, il lavoro, il semplice togliersi le scarpe per entrare in un edifico, lo sport.

Già… lo sport. Per noi la competizione è importante, nutriti come siamo dalla tradizione ellenica e dallo spirito olimpico che è sempre rimasto, pur latente, nelle nostre vene. Per il Giappone è qualcosa di più. E questo si applica anche a diverse discipline. Tra queste, quella forse più impermeabile alla concezione occidentale, è il puroresu, ossia il wrestling giapponese.

In fondo cosa dovrebbe esserci di difficile da capire nel wrestling? Due uomini vanno su un ring, inscenando un incontro che è stato preparato a tavolino. Lo scopo finale non è la vittoria, ma lo spettacolo, dare al pubblico una storia appassionante, che doni una forte sospensione dell’incredulità.

Anche per il puroresu è vero questo concetto. Ma c’è qualcosa in più, una sottile linea che distingue chi verrà sostenuto dal pubblico da chi verrà fischiato nel corso della lotta. Questo perché il wrestler ha per l’appassionato giapponese le stesse caratteristiche di un atleta di una qualsiasi altra arte marziale. Non importa che lo spettacolo messo in scena sia vero o falso: l’importante è che tu stia dando il massimo, che tu ti sia impegnato e abbia faticato per raggiungere un certo livello, sacrificando te stesso per raggiungere degli obiettivi. Non a caso grandi atleti marziali come Minoru Suzuki hanno anche preso parte a diverse federazioni di wrestling (qualcuno sta cantando Kaze ni Nare?) o che, viceversa, campioni come Shinsuke Nakamura abbiano anche preso parte a incontri di arti marziali miste con buoni risultati.

In un simile contesto non deve sorprendere che uno dei personaggi più amanti dell’immaginario giapponese sia proprio un wrestler. O, per meglio dire, il protagonista di un manga spokon a tema wrestling, Tiger Mask, meglio conosciuto in Italia come Uomo Tigre.

Nato nel 1969 dalla penna di Ikki Kajiwara, il più grande interprete del genere spokon, Tiger Mask rappresenta una pietra miliare del genere. Il successo del manga fu enorme, tanto che in pochi anni, nel 1971, si pensò a una trasposizione animata, a cui diede corpo il recentemente scomparso Keiichiro Kimura.

La storia di Tiger Mask è celebre, ma non per questo meno bella da vivere e raccontare. Nato nel Giappone devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, Naoto Date è uno dei tanti orfani affidati a una struttura perché possa crescere per inserirsi un giorno nella società.

Il piccolo tuttavia non sembra rassegnarsi a una vita semplice. Il mondo gli è avverso e la stessa società che dovrebbe accoglierlo sembra aver dimenticato lui e gli altri orfani. Ripromettendosi di diventare “forte come una tigre” scappa dall’orfanotrofio, incontrando un emissario di Tana delle Tigri, un’organizzazione dedita a crescere i bambini con lo scopo di farli diventare dei wrestler spietati, fedeli solamente a chi li ha plasmati.

Naoto raggiunge così la sede di Tana delle Tigri, nascosta sulle Alpi e qui, dopo anni intenso addestramento, riesce a superare la prova finale e diventare così Tiger Mask, il più feroce dei lottatori della compagnia.

I primi numeri del manga ci mostrano Naoto come un feroce heel che, dopo essersi fatto un nome negli Stati Uniti per la sua crudeltà, al punto di essere soprannominato Demone Giallo, torna nel suo Giappone. La situazione non è molto migliorata; l’economia del paese stenta ancora a crescere e la povertà è sempre imperante. Sono ancora molti i bambini che, proprio come Naoto, sono rimasti privi di genitori e costretti a crescere negli orfanotrofi.

Nasce così poco alla volta il conflitto in Naoto: da un lato lui mantiene la sua natura di wrestler violento e scorretto, attirandosi l’odio del pubblico, che gli preferisce lottatori leali come Antonio Inoki e Giant Baba; dall’altro è pur sempre un giapponese che vede il proprio paese devastata, le persone che stentano a sopravvivere e l’abbandono di un’intera generazione che, proprio come la sua, è stata sacrificata, lasciata indietro nella folle corsa verso la riconquista della grandezza perduta.

In Naoto matura così una doppia personalità: il Demone Giallo sul ring, l’angelo benefattore nella vita, desideroso di aiutare i bambini donando loro la borsa dei suoi incontri. Questo tuttavia lo pone in aperto contrasto con Tana delle Tigri, dato che la legge dell’organizzazione prevede che metà dei proventi dei wrestler vadano alle sue casse. Naoto diventa un traditore e un bersaglio, ma è poco alla volta sempre più un idolo per i suoi piccoli tifosi, che vedono in lui un esempio da seguire. Proprio questo aspetto lo porterà alla scelta di cambiare i suoi metodi, rinunciare del tutto alle tecniche scorrette apprese da Tana delle Tigri e diventare un wrestler leale, sostenuto dal pubblico.

Naoto Date negli anni di pubblicazione (e poco più tardi in quelli della messa in onda dell’anime) diviene un vero e proprio eroe nazionale. Un simbolo di un Giappone desideroso di ripartire, di lasciarsi alla spalle il suo passato.

Non sembra quindi un caso che proprio la Germania, lo stesso paese che un tempo fu alleato e “padrone” dei destini del Giappone, sia diventato la sede di Tana delle Tigri. La metafora funziona e fa il successo dell’opera di Kajiwara.

Naoto Date è il Giappone. Un uomo che, poco alla volta, riesce a rialzare la testa, a scrollarsi di dosso il suo passato di sgherro di un’organizzazione malvagia, e a diventare un lottatore leale e amato dal grande pubblico. Proprio ciò che stava cercando di fare il Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo scrollarsi di dosso il loro manto di alleato della Germania nazionalsocialista per diventare, dopo molta fatica, un paese amato e rispettato all’interno della comunità internazionale.

Fuor di metafora, Naoto era ciò che ogni giapponese voleva essere in un momento critico della storia del proprio paese. Una persona capace di conquistarsi col sudore (e, spesso, con le lacrime e  con il sangue) una vita migliore, di diventare il punto di riferimento per la propria comunità, aiutando gli altri in maniera tale da essere sprone ed esempio per tutti. Questo ci appare chiaro se pensiamo che nel 2011, anno del terribile tsunami che colpi la costa del Giappone, le donazioni anonime a orfanotrofi ed enti di carità per la ricostruzione portavano spesso il nome Naoto Date come benefattore. Quando si dice lasciare un segno!

L’anime si chiuse il 30 Settembre del 1971. Naoto Date aveva concluso la sua vendetta contro tana delle Tigri e il mondo era un posto migliore. Ma Tiger Mask aveva ancora qualcosa da dire.

Una decina di anni dopo, nel 1980, fu prodotto un nuovo anime. I risultati furono deludenti, ma il suo retaggio fu un altro. Tiger Mask prese corpo, ossa, carne e sangue, nella persona di Satoru Sayama: la NJPW per il lancio della nuova serie affidò la gimmick, cioè il personaggio di Tiger Mask, a un wrestler vero.

Sayama era un wrestler spettacolare, nutrito dalle imprese dei luchador messicani, di cui aveva appreso le tecniche migliori per diventare un grande lottatore. La sua carriera come Tiger Mask non durò moltissimo, ma gettò il seme per far germogliare un personaggio che avrebbe avuto altri importanti interpreti, tra cui spicca il quarto lottatore a indossare la maschera del felino, Yoshihiro Yamazaki, allievo dello stesso Sayama e il lottatore che si è tolto in assoluto più soddisfazioni e ha vinto più titoli col personaggi di Tiger Mask.

E, in tempi recenti (fine 2016), anche negli anime è tornato a mostrarsi un nuovo Uomo Tigre, anche lui di nome Naoto, con Tiger Mask W, una serie che tutti gli appassionati del puroresu e dell’anime originale dovrebbero recuperare.

Un nuovo lottatore, una nuova maschera, sia nella vita reale che nella serie televisiva. Cambia chi indossa le vesti delle tigre, ma non la sua missione il suo messaggio, quel desiderio di dire al mondo che, indipendentemente da chi vestirà i panni di Tiger Mask, ci sarà sempre qualcuno disposto a lottare per il bene.

 

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.