I segreti della disinformazione – Settima puntata

Come si combatte la disinformazione

Abbiamo visto fin qui come opera la disinformazione. Riassumo alcuni concetti, per chi non avesse letto gli articoli precedenti.

Primo, l’obiettivo della disinformazione è quello di orientare le decisioni di una o più persone. Per far questo, la disinformazione può operare in due modi.

Uno, più sofisticato, utilizzato prevalentemente dai servizi di intelligence che hanno le risorse necessarie per realizzarlo, è quello di creare ad arte un’informazione falsa che tuttavia risulti attendibile anche di fronte a verifiche accurate. È il modo più difficile di creare disinformazione ed è usato prevalentemente dai governi e dalle grandi industrie.

L’altro, fa leva soprattutto sulle emozioni, in modo da indebolire l’analisi critica da parte del bersaglio della disinformazione, e utilizza in massima parte materiale vero, attendibile, in modo che sia difficile confutare il singolo elemento d’informazione. Viene usato soprattutto dai media, dai partiti politici, da quelle organizzazioni che vogliono sostenere una particolare tesi. In piccolo, gli stessi meccanismi sono alla base di quelle che si chiamano in rete “bufale”.

In genere una bufala è un singolo elemento “tattico” di disinformazione, inteso soprattutto a ingannare una certa audience. Per arrivare a parlare di disinformazione vera e propria dobbiamo porci su un livello “strategico”, ovvero su un insieme di flussi informativi pianificati nel tempo, anche su canali differenziati, il cui obiettivo è inculcare in un target specifico di persone un certo concetto.

La disinformazione migliore è infatti “mirata”, ovvero costruita per influenzare determinate persone.

bufala

Secondo punto da aver sempre ben presente: la disinformazione non può essere smascherata solo perché si è “intelligenti”. Il pericolo maggiore è quello di credere di essere immuni dalla disinformazione perché si ha spirito critico. In realtà chiunque, per quanto intelligente e preparato, può cadere vittima della disinformazione, anche chi di disinformazione è esperto, perché è basata su strategie intese proprio a far questo. Se pensate che il bersaglio della disinformazione di un servizio segreto sono spesso gli analisti del controspionaggio avversario, capirete che se possono essere ingannati loro, chiunque può esserne vittima.

I motivi sono essenzialmente tre: innanzi tutto la disinformazione presenta solo una parte dei fatti ricontestualizzata e rappresentata in modo opportuno. Quindi il problema non è analizzare la disinformazione per smascherarla, ma capire cosa manca, qual era il contesto originale, cosa è stato omesso o alterato. Questo richiede tempo e capacità di ricerca, oltre che competenze specifiche, e questo è il punto debole su cui la disinformazione conta. Non tutti hanno quindi, secondo punto, le conoscenze, il tempo e tutto sommato la motivazione per fare tutte le ricerche necessarie a individuare il punto debole di una strategia di disinformazione. Terzo aspetto è quello dell’emozione. La disinformazione si poggia su principi acquisiti, fedi solide, valori consolidati. Tutti questi elementi, uniti alla capacità di suscitare, presentando le cose nel modo giusto, rabbia, indignazione, dolore, fastidio, repulsione, indeboliscono fortemente la capacità critica di un individuo.

Da notare che le emozioni negative sono strumenti molto più efficaci di quelle positive, come la gioia, l’amore, la speranza e via dicendo. Questo perché in genere, a fronte di un’emozione negativa, si può individuare un potenziale bersaglio per quell’emozione: qualcuno da odiare, su cui riversare la propria rabbia o indignazione.

Se a questo aggiungiamo una fede politica o religiosa, il gioco è fatto. Difficilmente metteremo mai in discussione un’affermazione che ci conforta nei valori in cui già crediamo. Questo meccanismo funziona bene in tutti i Paesi, ma trova in Italia un terreno ancora più fertile a causa del nostro radicato campanilismo che fa sì che di ogni cosa ne facciamo una questione di fede: politica, sport, persino scienza o, più propriamente, pseudoscienza.

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Come fare allora a combattere la disinformazione? Il primo passo è la consapevolezza che qualsiasi informazione riceviamo potrebbe far parte di una strategia di disinformazione. Volendo cadere nel banale, potremmo dire che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, oppure che a pensar male si ha spesso ragione. Il problema è che se dovessimo applicare questo principio a ogni cosa che ci dicono, non ne usciremmo più, ovvero smetteremmo di prendere decisioni finché non fossimo sicuri di aver preso quella giusta, ovvero praticamente mai.

Quindi dobbiamo fare una valutazione del rischio. Il concetto di rischio è molto semplice e risponde a due domande chiave: quanta probabilità ho che qualcosa avvenga, e quale danno potrei avere se dovesse avvenire. Questo modo di ragionare si applica a qualsiasi decisione, da dove andare al cinema stasera al fatto se sia il caso o meno di sposarsi. Non è l’obiettivo di questo articolo spiegare come si gestisce il rischio, tuttavia, per cui ci limiteremo ad assumere che ognuno di voi abbia un qualche modo di valutarlo.

Se credere a una certa affermazione potrebbe essere rischioso, allora vale la pena di approfondire. Altrimenti no. È quindi una questione di valori. Ci potrebbe essere qualcuno, ad esempio, che non considera la possibilità di aver votato il candidato sbagliato in un’elezione un problema tale da non farlo dormire la notte. Altri potrebbero pensarla diversamente e voler arrivare al voto in modo molto più consapevole e preparato. Selezionare quando approfondire e quando no, è quindi una questione etica.

C’è chi verifica ogni singolo articolo pubblicato su Facebook alla ricerca di bufale e c’è chi si beve tutto, non perché sia un idiota, ma semplicemente perché non gli interessa. Sono approcci validi entrambi. Ovviamente se poi, a fronte dell’aver creduto in una certa affermazione si è fatta una valutazione sbagliata e presa una decisione che ci ha penalizzato, allora avremo commesso un errore e la prossima volta faremo più attenzione.

rischio

Stabilito che l’essere consapevoli che (1) qualunque affermazione possa far parte di una strategia di disinformazione, (2) che l’essere intelligenti o esperti in qualche campo non ci mette al sicuro dall’essere ingannati in campi diversi dal nostro, e (3) che il farsi ingannare può anche essere una scelta valida, se si ritiene che questo non abbia conseguenze negative, passiamo al secondo passo.

Abbiamo detto che per disinformare ci vuole metodo ma soprattutto tempo e risorse. Analogamente per smascherare una disinformazione. Bene, allora appoggiamoci a chi questo “lavoro” lo fa regolarmente. Ci sono individui e organizzazioni che si occupano prevalentemente di smascherare disinformazioni. Alcuni sono più affidabili di altri, come Paolo Attivissimo; altri sono specializzati in particolari tipi di disinformazioni, come il CICAP, che combatte tutte le affermazioni pseudoscientifiche. Ogni qual volta ci viene il dubbio che una certa affermazione sia fuorviante, la prima cosa da fare è andare a vedere se qualcuno l’ha demistificata. In inglese questo genere di persone si chiamano debunker. Questo tuttavia vale per piccole forme di disinformazione, come le “bufale”, già nominate in precedenza. La cosa diventa più complessa quando parliamo di disinformazione professionale, come quella operata da lobby, partiti politici e addirittura governi. Anche qui esistono organizzazioni che operano per combattere queste forma di disinformazione, ma si tratta di mettersi contro organizzazioni potenti e spesso trovarsi, per assurdo, dalla parte dell’illegalità, specialmente se a fare disinformazione è il proprio governo. Un esempio sono WikiLeaks e Anonymous. Non è obiettivo di questo articolo esprimere un giudizio su queste organizzazioni, ma è un dato di fatto che abbiano spesso smascherato vari tentativi di disinformazione anche di una certa rilevanza.

E in mezzo? Cosa possiamo fare quando ci troviamo di fronte a una qualche strategia che sia un po’ più di una bufala e un po’ meno di un “complotto internazionale”? Beh, allora dobbiamo cavarcela da soli.

Non esistono regole, o meglio, ci sono una serie di regole euristiche che si possono applicare, ma alla fine diventa una questione di esperienza, qualcosa a metà fra la scienza e l’arte.

wikileaks

La prima regola è: non fidarti di ciò in cui credi. Ovvero, se qualcuno vuole ingannarti lo farà dicendoti qualcosa di cui sei già convinto. I latini dicevano: “trahit sua quemque voluptas”, ovvero, ognuno è attratto da ciò che gli piace, e anche “quæ volumus, credimus libenter”, ovvero, crediamo volentieri a ciò che vorremmo.

Una disinformazione è fatta di due oggetti: un contenitore e un contenuto. Il contenitore è il famoso “dono” portato dai “greci” di cui non ti devi fidare (“timeo danaos et dona ferentes”). Il contenuto è l’inganno. Entrambi sono fatti di informazioni, ovvero una notizia può essere il contenitore, una parola o un elemento di quella notizia l’inganno. La notizia sarà vera, attendibile e in linea con ciò in cui credete; la parola o l’elemento sarà apparentemente secondario e vi si inculcherà nella mente. Facciamo un esempio: siamo in una situazione di crisi e qualcuno vi dice che se si farà una certa cosa verranno creati 100mila posti di lavoro. Da dove è uscito quel 100mila? Nessuno lo sa, ma suona bene. Dopo un po’, a furia di dirlo, tutti si concentreranno sul sostenere o sull’opporsi al far partire quel progetto, a seconda della loro fede politica, ma nessuno per assurdo si porrà il problema di verificare quel numero. Verrà dato per scontato persino da chi non ritiene che quella cosa vada fatta.

A volte l’inganno è nella presentazione, come abbiamo visto quando abbiamo parlato di dati e grafici. A volte in una foto a corredo della notizia o nell’aver decontestualizzato nello spazio e/o nel tempo la notizia stessa. A volte persino nell’accostare o nel tenere lontane fra loro due notizie diverse. In ogni caso c’è sempre una struttura portante, solida, verosimile, e un elemento ingannatore.

Applicare la prima regola ci porta quindi a dubitare proprio di ciò che viene detto da chi sta dalla nostra stessa parte, non dall’avversario. Poi, ovviamente, anche ciò che dice chi la pensa diversamente da noi può essere disinformazione, ma lì siamo più portati a non fidarci e a investigare.

cui prodest

Seconda regola: a chi conviene? Di nuovo il latino ci viene incontro: “cui prodest”? Non è un caso che gli antichi romani fossero grandi esperti di complotti e inganni. Attenzione: la domanda vale anche se l’informazione è vera. Ogni affermazione porta vantaggi a qualcuno e svantaggi a qualcun altro. Capire chi si avvantaggia del fatto che io creda a una certa affermazione, tuttavia, è un processo mentale che andrebbe sempre attivato, disinformazione o no.

Terzo: cosa manca? “Gustas, si quid deest, addes”, ovvero, assaggia e se manca qualche ingrediente, aggiungilo. Quali informazioni non sono state fornite? E qui la disinformazione gioca sul nostro maggiore punto debole: la pigrizia. Cercare, studiare, approfondire, richiede spesso molto tempo e una buona dose di fatica. Se poi parliamo di un argomento di cui non siamo esperti, allora ci tocca partire dalle basi. Ad esempio, come possiamo ragionare su quello che sta succedendo in Medio Oriente senza una solida base di Storia dell’ultimo millennio in quei territori? Come possiamo comprendere l’Islam senza averlo prima studiato? Il punto è che da una parte abbiamo una notizia sul giornale di un recente attentato che dice qualcosa che già ci convince, dall’altra il dover leggere per diversi giorni testi affidabili di storia e di geopolitica per poter valutare se quell’articolo è attendibile. Voi che fareste? Onestamente, ne vale sempre la pena? Certo, uno potrebbe dire: se non approfondisci allora non commentare, ma il punto è che comunque, che si commenti o no, un’opinione su quell’evento o su quel fenomeno ce la faremo comunque e quell’opinione finirà per influenzare il nostro modo di vivere, di votare, di sostenere o di opporci a questa o quell’iniziativa.

Torniamo all’esempio dei 100mila posti di lavoro. Assumiamo sia vero, anzi, che magari possano anche essere di più, diciamo 120mila. Ma di che posti si tratta? E per quanto? A tempo determinato o indeterminato? Chi ne usufruirà e come? Quale sarà il salario d’ingresso? Che succederà dopo? E soprattutto, dov’è la fregatura, ovvero, quale sarà il prezzo di quel risultato? A volte si scopre che quello che ci viene dato ci costa alla fine molto di più che se non l’avessimo avuto. Capire questo richiede una forte motivazione ad approfondire, motivazione che spesso non c’è, salvo scoprire a posteriori che avremmo fatto meglio ad averla.

Soprattutto è fondamentale differenziare le fonti e cercare sempre una terza se non una quarta opinione. “Timeo hominem unius libri”, ovvero temo l’uomo che crede in un solo libro.

effetto ottico

Quarto: guarda oltre, ovvero, chiediti se quello che ti stanno mostrando è davvero quello che ti hanno detto oppure è qualcos’altro. Come già detto nei precedenti articoli, la decontestualizzazione e ricontestualizzazione è uno degli strumenti principi della disinformazione. Un soldato colpisce una donna: la foto è del 1980 in Uganda, ma a qualcuno fa comodo affermare che sia avvenuto ieri in Sudafrica. Se l’uomo è in mimetica e non si vede bene un eventuale simbolo o stemma sulla divisa, chi può confutarlo? Solo se trovassi la stessa foto con una diversa didascalia potrei riuscirci. Cercare tutte le istanze di quella foto e andare a vedere le corrispondenti didascalie potrebbe essere un approccio ma ci sono due problemi.

Il primo è che la disinformazione si propaga, per cui è probabile che grazie al “copia e incolla”, una singola pubblicazione ne abbia generato altre migliaia, tutte uguali, che per giunta rischiano di rafforzare il lettore nel credere veritiera l’immagine, senza rendersi conto che in realtà sta vedendo migliaia di copie della stessa “bufala”. La seconda è ritenere che tutto ciò che esiste è in rete e tutto ciò che è in rete esiste. Non è così. Chi pensa che, facendo una ricerca su Google e non trovando qualcosa, questo basti a dimostrare che quel qualcosa non esiste, sta commettendo un grave errore. In rete c’è moltissimo, ma non tutto. Molti testi antichi, affermazioni, modi di dire, eventi, non si trovano in rete perché nessuno ce li ha messi. A casa ho decine di foto che vanno dai primi del Novecento agli anni Cinquanta e che non troverete mai in rete, a meno che non sia io stesso a metterle. Quando ancora non esisteva Amazon.it, se aveste usato Amazon per cercare i libri che avevo pubblicato, tramite ISBN, non li avreste trovati. Almeno il 70% degli oltre quattromila libri che ho a casa non hanno alcun ISBN, perché pubblicati quando questo non era ancora utilizzato in Italia. Alcuni di quei libri non li troverete mai neppure nominati in rete, neppure su Wikipedia.

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La decontestualizzazione può anche essere temporale. Ad esempio, può essere conveniente invertire l’ordine cronologico in cui sono avvenuti due eventi. Ecco allora che un altro controllo dovrebbe essere sulle date. E qui gioca molto come si assemblano più informazioni, cosa che vedremo meglio quando parleremo in un prossimo articolo di giornali e telegiornali.

Quinto: quantizzare. Non sto parlando di meccanica quantistica ma nel verificare il valore di alcune affermazioni, in senso quantitativo. Quando leggete che “lo ha detto il celebre scienziato”, andate a verificare quante pubblicazioni quello scienziato ha davvero fatto, dove lavora, che risultati ha ottenuto e che riconoscimenti ha ricevuto. Quando poi leggete “gli psicologi hanno detto che…”, andate a verificare chi abbia effettivamente detto quella cosa e quanti nello stesso settore la condividano. Trasformate gli avverbi in numeri, gli aggettivi in fatti.

Sesto: leggere l’originale. Recentemente il lavoro di una ricercatrice che prevedeva una riduzione dell’attività delle macchie solari sul sole nei prossimi anni, è diventato presagio di un cataclisma nel quale il sole avrebbe ridotto del 60% l’irraggiamento della Terra scatenando una vera e propria era glaciale. Purtroppo non tutti conoscono la lingua in cui è stato scritto originariamente un articolo, anche se, soprattutto in campo scientifico, ormai sono quasi tutti in inglese. Anche qui, vi possono venire in soccorso alcuni forum e gruppi di discussione in rete e nelle reti sociali. Si tratta solo di sceglierli con attenzione, ovvero andare dove ci sono persone competenti.

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Ci sono molte altre raccomandazioni che potrei fare ma queste sono le principali. Dove non riuscite da soli, fatevi aiutare. Soprattutto siate cauti, prudenti, non date mai nulla per scontato, non assumete mai che qualcosa debba essere vero a tutti i costi. Alcune forme di disinformazione possono essere facilmente riconosciute dal tono sensazionalistico con il quale vengono riportate le notizie, ma quelle migliori sono subdole, vestite di buon senso e competenza. E ricordate sempre che la disinformazione è sia una scienza che un’arte, e come dicevano gli antichi, la vera arte consiste nel celare l’arte: “ars est celare artem”.

de Judicibus