Il modo migliore di affrontare un tema difficile

9 novembre. Una data, un giorno all’apparenza qualsiasi sul calendario che segna lo scoccare del pieno autunno, è in realtà fondamentale nella storia della Germania e la memoria tedesca l’associa a tanti eventi che hanno caratterizzato il ventesimo secolo.

La prima volta, nel 1918, durante gli ultimi mesi della Prima Guerra Mondiale, viene proclamata la repubblica e la fine dell’impero. Nel 1923, nel tentativo di imitare Mussolini in Italia, Hitler marcia sulla capitale annunciando la rivoluzione nazionale ma, a differenza dell’italiano, viene incarcerato. Nel 1938, sempre lo stesso giorno, ha luogo quella che verrà ricordata come la Notte dei Cristalli. In tempi più recenti, c’è un momento particolare a cui il 9 novembre viene associato, molto più felice e gioioso rispetto a tutti quelli che lo hanno preceduto. Nel 1989, infatti, cade il Muro di Berlino, la complessa muraglia lunga 150 chilometri che divideva in due la città e segnava dal 1961 il confine tra la Repubblica Federale Tedesca (BRD) e la Repubblica Democratica Tedesca (DDR). In poco meno di un anno, la Germania verrà riunificata sotto il grido di “Siamo un popolo solo“. Ma il riavvicinamento tra i due stati è stato tutt’altro che indolore, nonostante l’incomparabile clima di festa, e nel corso degli anni ha mostrato delle complicazioni di varia natura, soprattutto per gli ex socialisti, che da un giorno all’altro hanno visto crollare il mondo a cui avevano dedicato se stessi. Questo fenomeno viene chiamato Ostalgie, la nostalgia degli abitanti della Germania orientale.

Tra tutti i film, i documentari e le pellicole che hanno raccontato questa storia, ce n’è una che merita di stare davanti per l’umanità e la sensibilità con cui ha saputo affrontare il tema. Noi di Stay Nerd ve lo suggeriamo per la nostra rubrica Consigli Cinematografici e vi assicuriamo che non ve pentirete. Anche perché non fa male, ogni tanto, confrontarsi con qualche racconto un attimino più impegnato, seppur raccontato con ironia e divertimento, merito che riconosciamo a Goodbye, Lenin!, uno dei più grandi masterpiece del moderno cinema tedesco, scritto e diretto da Wolfgang Becker.

1978. A Berlino Est, una donna di nome Christiane Kerner (Katrin Sass), madre di due bambini, Alex (Daniel Brühl) e Ariane (Maria Simon), viene interrogata dagli agenti della STASI (il mistero della sicurezza della DDR) a causa della fuga del marito nella Repubblica Federale. A seguito di questo evento, cade in depressione per qualche tempo, ma riesce a superare la cosa e decide di dedicare le proprie energie alla Repubblica Democratica. Undici anni dopo, nel 1989, in un clima di crescente protesta nei confronti del governo, la donna finisce in coma dopo aver visto il figlio Alex partecipare ad una manifestazione. Si risveglia otto mesi dopo e, nel frattempo, è cambiato tutto. La DDR e la BRD stanno per completare la riunificazione, la città è totalmente diversa dopo quella fatidica notte e niente è più come prima. Il socialismo è morto. Per evitare a Christiane di rimanere scioccata da questi eventi – cosa che potrebbe esserle fatale – Alex e Ariane, ormai abituati alla nuova realtà, cercano di nasconderle la verità riportando in vita la Repubbica Democratica nella sua stanza e impedendole di uscire. Ma lo spettacolo è destinato a durare poco e mantenerlo in piedi sarà sempre più difficile, anche perché le tracce dell’avvenuto mutamento cominciano a moltiplicarsi di continuo…

La caduta del Muro di Berlino è stato un evento clamoroso, inaspettato e, per certi versi sconvolgente, che ha certificato la fine della Guerra Fredda e impressionato l’opinione pubblica di tutto il mondo. La gioia era tangibile da un capo all’altro dell’Europa e in America si festeggiava per il disfacimento del decennale avversario, l’Unione Sovietica, mentre le due Germanie venivano riunite a passo di danza. Nei fatti, il processo fu molto più lento e travagliato, soprattutto sul piano umano e culturale. Dopo quarant’anni di socialismo, i tedeschi orientali vedevano crollare il proprio stile di vita, fatto di regole economiche, restrizioni e ideali contagiosi. Stava cambiando tutto e ad una velocità che chiunque avrebbe fatto fatica a metabolizzare.

Questo dramma è uno degli aspetti più chiaroscurali della nuova Germania, che da tempo cerca di farci i conti soprattutto là dove le impronte del vecchio regime sono ancora fresche, come nei territori della ex DDR. Si capisce come parlare di un simile tema sia complicato, soprattutto col rischio di scadere nel retorico o, peggio ancora, in una banalizzazione bipolare. Invece Goodbye, Lenin! riesce addirittura a farci ridere della cosa, a farci divertire raccontando la sua storia attraverso una chiave geniale e paradossale. Il film mette in mostra una sceneggiatura sorprendente, capace di unire riferimenti letterari colti (il dottor Zivago), a citazioni filmiche di pregio (Kubrick e Fellini su tutti), a battute brillanti (“Non sapevo che la Coca Cola fosse una bevanda socialista“) e personaggi altrettanto memorabili, oltre che simbolismi potenti, giocando tutto sulla metafora e sull’ironia, rappresentata dalla personale storia di Alex Kerner e del rapporto con la madre. Attraverso una complessa e articolata vicenda familiare, che a tratti pare diventare un’enorme metafora della stessa Germania, Goodbye, Lenin! ci parla dell’elogio funebre di uno stato che per quasi mezzo secolo è stato la casa di milioni di tedeschi e lascia intuire che, dietro al grande entusiasmo del biennio 89-90, si cela in realtà anche la nostalgia di un mondo, incarnato dal sogno socialista, a cui tantissimi avevamo creduto e avevano affidato la propria vita.

Così, di rimando, il film finisce per parlare anche dell’antagonista, economicamente parlando, del socialismo: il capitalismo, questo sistema produttivo, elevato ormai a rango di leviatano nella società moderna, capace di travolgere tutto ciò con cui entra in contatto e di inglobarlo. Tempo pochi mesi e la Berlino Est viene letteralmente invasa dai manifesti, camion e lattine di Coca Cola, standardizzando e uniformando il tutto, portando un inatteso benessere ma cancellando l’identità di una popolazione. Il capitalismo, che ormai ha vinto la sfida secolare col suo eterno avversario e che ora regna incontrastato. E che ci riguarda tutti.

consigli cinematografici goodbye lenin

A chi è consigliato?

Oltre a tutte queste motivazioni, che dovrebbero avervi convinto a guardarlo, la pellicola ha un merito di non poco conto: quello di aver lanciato a livello internazionale l’allora giovane stella di Daniel Brühl, diventato in seguito un attore apprezzatissimo in ogni sua interpretazione. Ma soprattutto lo raccomandiamo a quelli che vogliono approfondire un momento importantissimo della storia recente, non solo tedesca bensì europea e mondiale, attraverso un umorismo pungente, piacevole e una scrittura estremamente brillante.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!