Innanzitutto la ringraziamo per il tempo che ci sta concedendo…visto che stiamo parlando con un autore dalla grande esperienza, vorremmo chiederle cosa ne pensa della salute del mercato fumettistico italiano.

Il mercato del fumetto sta vivendo una crisi, ma le crisi sono molto importanti perché in questi momenti qualcosa muore e qualcosa nasce. Io in queste manifestazioni vedo decine di ragazzi, pieni di talento, che hanno voglia di fare e si mettono all’opera. Oggi grazie ad internet un giovane di Palermo o di Aci Trezza può mettere le sue opere online e confrontarsi con il mondo, non solo con l’Italia. E questa mi sembra una cosa straordinaria, perché è uno stimolo e anche una vetrina incredibile, così come questo genere di eventi. Soprattutto l’Etnacomics sta diventando una delle maggiori manifestazioni del paese.

Sarebbe stata la mia seconda domanda… dunque lei vede di buon occhio la possibilità di poter sfruttare un canale preferenziale per gli autori di oggi, in modo da farsi conoscere liberamente attraverso la rete, e il passaggio dal fumetto al web comic?

Assolutamente. Noi una volta giravamo per le case editrici bussando alle porte senza riuscire ad andare oltre. Oggi, invece, ci si presenta attraverso internet. E dove c’è il talento, prima o poi viene riconosciuto.

C’è qualcuno tra i nuovi talenti italiani che le piace particolarmente?

Proprio stamattina ho visto Rob Di Salvo, che fa delle cose straordinarie e bellissime. É siciliano, di Palermo e mi ha molto colpito per la qualità del suo lavoro.

Una curiosità… è vero che suonava la chitarra in gioventù?

La suono ancora, nella vecchiaia.

Suonare uno strumento aiuta a mettere in movimento la macchina creativa?

La musica è fondamentale, perché una storia, una narrazione, senza ritmo non è nulla. Qualsiasi cosa, anche una barzelletta, se tu vuoi che sia efficace devi raccontarla in maniera sintetica e con un certo tempo. Io mi occupo di teatro, fin da quando ero ragazzo, è lì i ritmi sono basilari. La musica mi ha insegnato molto come storyteller. Mi capita spesso di cominciare un racconto in tono minore o in tono maggiore, a seconda del momento, dell’influenza e, addirittura, delle condizioni metereologiche.

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Può raccontarci qualcosa della sua trentennale collaborazione con Ivo Milazzo?

Noi eravamo compagni di scuola. Lui disegnava meglio di me e io scrivevo meglio di lui. Quindi abbiamo messo insieme le nostre forze. In più, io all’epoca suonavo e cantavo. Allora capitava di essere seguiti da alcune fan e Ivo, pur non sapendo usare uno strumento, veniva e suonava il tamburello per farsi vedere. Siamo stati amici, fratelli, per tantissimi anni e abbiamo realizzato molti lavori insieme, aiutandoci reciprocamente nello sviluppo della nostra professionalità. Poi arriva un momento, nella vita di ciascuno, in cui si avverte il bisogno di uno spazio personale. La trovo una cosa naturale. Ma dopo tanti anni ci siamo ritrovati per ristampare uno dei nostri “figli”, perché noi siamo un po’ una coppia che ha dei figli di carta. Si tratta di Ken Parker, di cui la Mondadori ci ha chiesto un episodio nuovo. E così abbiamo realizzato quest’ultimo episodio, che ha lasciato un po’ l’amaro in bocca perché nella pagina finale sembra che se ne sia morto, anche se non è detto. Chissà.

E com’è stato dare il saluto a Ken dopo così tanto tempo?

É stato straziante. E, al di fuori delle battute, quando ho scritto l’ultima pagina sono uscito dal mio studio e sono andato in spiaggia, dato che abito vicino al mare, e ho pianto. Ho pianto la morte di un figlio, che era per me anche un fratello e forse perfino un padre.

Parliamo invece di Julia Kendall. Lei l’ha creata nel lontano 1998… quanta strada ha fatto secondo lei e cosa dobbiamo aspettarci nel suo futuro?

Julia è una protagonista del nostro tempo, perché la donna è la protagonista dell’epoca in cui viviamo. É una donna normale, con la sua sensibilità, con la sua professionalità, con la sua cultura e la capacità di ascoltare, di saper mettersi nei panni degli altri, senza giudicare, nel tentativo di capire. É un insegnante e anche io avrei dovuto esserlo. Ho seguito un corso di criminologia per rinfrescare gli argomenti che sarei andato a trattare. Julia è l’oggi, è la realtà. Attraverso di lei io posso parlare di tutto, usando la normalità, senza ricorrere a personaggi fantastici e stravaganti che vanno molto di moda tra i giovani. Questo perché i giovani tendono ad estraniarsi dalla realtà, hanno paura della vita e cercano di evitarla anche nelle letture. Julia no. E Julia è anche un modo per prendere contatto, a volte ridendo e a volte no, con la realtà. Di recente sta venendo spesso in’Italia, ha un fidanzato che, casualmente, è genovese. Io, onestamente, facevo il tifo per Webb, che un po’ mi somiglia, ma Julia ha scelto un’altro. Dico “scelto” perché i figli, le figlie in particolare, una volta che li metti al mondo e hanno una loro personalità poi si scelgono la vita, come gli esseri umani. Quindi io non so se durerà questa storia con Ettore, ma per il momento va avanti. Vedremo in futuro.

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Lei ha detto che scrive le sue storie in corso d’opera, facendosi portare dove vogliono loro. Un autore da dove prende l’ispirazione?

Dopo 45 anni di mestiere, io posso scrivere una storia anche su un paio di stringhe. Il problema della musa non ce l’ho e non l’ho mai avuto. In passato mi hanno aiutato molto le bollette del telefono e della luce, che sono grandi fonti di creatività. Oggi sono un po’ più tranquillo e semplicemente mi lascio “permeare” da quello che incontro, sia una giornata ventosa, un incontro al bar… io sono ipersensibile e certe cose mi smuovono una serie di emozioni che poi si traducono in narrazioni.

Ultima domanda: progetti futuri?

Diciamo vivere, vivere serenamente… adesso sto portando uno spettacolo teatrale su Jimi Hendrix in giro per l’Italia, dove recito dei monologhi e di cui ho curato la regia. Si chiama “The Jimi Hendrix Night”, con la presenza di Andre Cervetto, che mi ha aiutato l’anno scorso a fare un mio cd di 14 canzoni. Questi sono al momento i miei progetti. Domani ne avrò degli altri.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!