Innanzitutto ti ringraziamo e ti facciamo i complimenti per il tuo lavoro, in particolare per Black Science che in redazione è stato adorato. Infatti la mia prima domanda riguarda questa serie: da dove è nata?

L’idea risale alla mia prima collaborazione con Rick Remender per Secret Avengers. Ci siamo trovati molto bene a lavorare insieme e lui aveva già in testa dei vari progetti. Mi ha proposto questa serie, di cui all’inizio non dovevo essere io il disegnatore. Quindi sono entrato nel gruppo all’improvviso, quando il primo volume era più o meno già completo, ma poi mano a mano sono diventato parte integrante del progetto.

Il concept ti è piaciuto da subito?

Sì, anche perché, essendo un fantascientifico, permette di cambiare molti particolari da numero a numero, come le pettinature e le ambientazioni. Questo mi consente di non annoiarmi e, visto che si tratta di una serie che andrà avanti per quasi 40 albi, c’è sempre il rischio per un disegnatore di annoiarsi. Di solito, dopo 4 o 5 uscite cominci ad essere un po’ stufo, ma qui sto realizzando il numero 24 e mi sto ancora divertendo. Poter variare mi aiuta molto in questo senso.

Tu hai lavorato anche su Deadpool, che in questo periodo sta forse vivendo il suo momento di maggior popolarità. Hai visto il film? Ti è piaciuto? Quali differenze hai notato tra la pellicola e il fumetto? Avresti cambiato qualcosa?

In realtà, quando ho cominciato a lavorare su diverse testate, nel 2010, si parlava già di dare una spinta al personaggio e di un film di prossima uscita. Poi è saltato tutto e sono state cancellate delle serie, tra cui quella dove stavo lavorando io. Sono contento che Deadpool stia avendo questa nuova vita. Il film l’ho visto e in generale mi è piaciuto molto, così come ho apprezzato Ryan Reinolds che dopo Lanterna Verde era finito per essere un po’ odiato da tutti. Penso che sia perfetto per la parte. Ho in mente di rivedermelo però in inglese, perché nella traduzione italiana si sono persi molti giochi di parole e riferimenti sullo stile di vita americano. Non sono sempre un fan delle trasposizioni, tendenzialmente, ma questa l’ho apprezzata.

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Tu hai disegnato fantasy, fantascienza e supereroi. Cosa ti piacerebbe fare in futuro?

Francamente, mi piacerebbe rimanere sulla fantascienza per quello che ti dicevo prima, dato che mi permette di rimanere attivo e di non fossilizzarmi. É il genere che mi da più soddisfazioni e non sono interessato a cambiare, anche se non si può mai sapere nella vita.

Ti piace più lavorare come copertinista o come disegnatore interno al fumetto? Quali sono le differenze?

Io nasco come disegnatore. Il lavoro da copertinista è venuto dopo e ho impiegato del tempo per capire la differenza. All’inizio, le mie erano più delle grosse vignette che copertine. Si tratta di due cose molto diverse, perché con le copertine devi vendere un’idea, mentre quando hai a che fare con le pagine devi vendere la storia. É molto diverso e l’approccio è particolare. Ora, appena finisco Black Science, mi piacerebbe prendermi un anno, un anno e mezzo, dove realizzare almeno tre copertine al mese, in modo da avere il mio nome sempre sugli scaffali, e riprendere un po’ la pittura, la mia passione di quando ero bambino, per applicarla magari alle copertine stesse.

Preferisci il digitale o il cartaceo?

Assolutamente il cartaceo. Più è “fisico” più posso toccare quello che ho fatto e più mi piace. Anche per quanto riguarda i lavori realizzati da altri. Quando un lavoro è sporco, più “vissuto”, lo trovo più autentico. Ormai quando scannerizzo le tavole non le ritocco neanche più perché mi piace che si veda il tocco del pennello.

C’è un fumetto che ti ha cambiato la vita? Hai un fumetto preferito o uno che ti ha spinto a dire “avrei voluto farlo io”?

É un po’ difficile perché ci sono diverse cose che mi hanno colpito. Forse quella che mi ha influenzato un po’ di più è stato Torment, uno speciale dell’Uomo Ragno scritto e disegnato da McFarlane. Una storia cruda, sanguinaria, magica e con uno storytelling stranissimo, fatto di vignette piccole e lunghe, molto “gotico”. Quello è stato uno dei fumetti che mi è piaciuto di più, come Watchmen, che però ho letto e apprezzato qualche tempo dopo la sua uscita. Questo perché maturando come disegnatore mi sono aperto anche a certi stili che da giovane trovavo indigeribili. É un atteggiamento che ho ritrovato spesso quando insegnavo. Molte volte dei ragazzi che impazzivano per i manga e per i tratti cartoon non riuscivano a vedere la qualità in alcuni classici.

Hai saputo di DC Ribirth? Pare che stiano allineando l’universo di Watchmen a quello DC. Cosa ne pensi?

Ti rispondo subito che non lo sapevo, perché non sono informato sugli universi narrativi. Ho visto alcune cose, però in generale non sono un fan degli universi superoistici, perché ci sono serie infinite e, volente o nolente, per attirare l’attenzione dei lettori devi sparare sempre più in alto, riportando in vita serie passate e inventando grandi stravolgimenti. Dal mio punto di vista lo capisco, perché bisogna comunque trovare un sistema per portare avanti le testate. Ma secondo me è una cosa che toglie alla storia, perché preferisco quelle che hanno un inizio e una fine, che siano dieci o cento numeri. Mi interessa di più vedere a chi vengono affidate le serie per vedere le reinterpretazioni sui personaggi. Non sono un appassionato. Penso che adesso la mossa giusta la stanno facendo quelle case editrici, come la Image, che stanno cercando di far capire alla gente che il fumetto non è solo supereroi. Stanno attirando un diverso tipo di pubblico ed è una differenza che vedo da qualche anno nelle fiere americane. Ci sono nuove tipologie di persone che hanno scoperto il fumetto e molto è dovuto, ad esempio, all’uscita di Walking Dead, che unendo fumetto e serie tv ha spinto tanti a scoprire l’opera originale. Mi sembra un tipo di lavoro più in linea con il mio stile.

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Una tendenza che sta continuando, dato che da poco è uscito anche Outcast.

Sì, assolutamente. Secondo me quella è la strada per attirare nuovo pubblico, perché credo che il fumetto sia un genere di nicchia. Quindi, o si rimane all’interno di questa cerchia di appassionati e si continua così, perdendo ogni tanto qualche lettore e rischiando l’estinzione, oppure si cerca di dargli una nuova vita attraverso strategie di questo tipo. Infatti sono un po’ contrario a questa idea degli universi zero. Però seguo comunque quando si tratta di vedere un disegnatore che mi piace, per dare un’occhiata alle tavole.

Tu lavori da anni oltreoceano. Cosa ne pensi del mercato fumettistico italiano? C’è qualche talento nostrano che ti piace particolarmente?

In realtà, non sono un grande conoscitore del mercato italiano, perché è da quando ho 24 anni che faccio fumetto americano. Comunque nel paese c’è un grande amore e interesse. Sopratutto ho visto molti ragazzi giovani attratti da diverse tipologie di letture. Dunque crescono con tante influenze, cosa senz’altro positiva in una prospettiva futura. Il fumetto italiano adesso ha una forte radice popolare e ci sono delle regole basilari da seguire, se vuoi fare qualcosa che venda. Parlo ad esempio della Bonelli. Io onestamente faccio un po’ fatica a rapportarmici perché non ho quel tipo di approccio verso il fumetto. In Italia si è ancora legati al concetto di “personaggio”. Tu sei conosciuto come autore perché hai lavorato su Dylan Dog, su Tex, quindi sei rappresentato dal prodotto su cui hai messo le mani. Cosa che è assolutamente rispettabile, solo che io non mi ci trovo molto e sto cercando di fare l’opposto, cioè di proporre il mio nome. Non sono molto inserito in questa prospettiva. Però, vedendo ad esempio Zerocalcare, mi accorgo che anche in Italia c’è la possibilità di avere un grande successo. Quindi non c’è solo la linea guida del fumetto popolare e ora, grazie ad internet, si stanno affermando nuove strade. Anzi, si  può dire che le diverse culture fumettistiche, proprio in virtù di questo, si stanno aprendo.

Tu mi hai detto che sei stato insegnante alla Scuola Internazionale di Comics. Hai qualche consiglio da dare ad un aspirante fumettista?

Innanzitutto, devi essere molto cosciente di quelle che sono le tue capacità. Una persona che si sottovaluta ha perso in partenza ed è allo stesso livello di chi si sopravvaluta. Non sapersi valutare è una cosa molto negativa. Tu devi sapere a che punto sei del tuo progresso a livello artistico. Poi è fondamentale la convinzione e l’intraprendenza in quello che si fa. Capisco che all’inizio sia difficile, soprattutto per chi è giovane, fare questo tipo di ragionamento. Però è anche vero che oggi abbiamo dei mezzi che quindici anni fa non esistevano.