Hentai e ecchi sono forse i generi più seguiti ma anche i più misconosciuti

Pensare che l’industria manga campi di soli shonen, per quanto di successo, sarebbe piuttosto ingenuo. Sappiamo bene quanto il sesso sia il motore di istinti e fetish tra i più svariati e particolari a cui viene fornita una valvola di sfogo, tra le altre cose, grazie a riviste e film per adulti. In Giappone, la pornografia si è estesa anche a illustrazioni e cultura pop in generale, seguendo un preciso percorso storico e sociale che ha portato allo sviluppo di categorie specifiche: i generi hentai e ecchi hanno similitudini e differenze che li rendono l’uno la diretta conseguenza dell’altro, pur mantenendosi su livelli ben distinti.

Cresce la domanda, aumenta l’offerta e anche negli anime più recenti possiamo cogliere elementi tipici quantomeno dell’ecchi che si ripetono in maniera quasi sistematica, anche quando l’opera in questione è classificata sotto un altro genere principale. Tale è l’influenza di questi stili di narrazione, attraverso i quali sono passati, oltretutto, non pochi mangaka che hanno poi raggiunto il successo con altre opere e dunque per questo, come generi a sé stanti, hentai e ecchi non andrebbero considerati  completamente del mero materiale pornografico.

 

Hentai e ecchi: la nascita dell’immaginario erotico giapponese

Tutto nasce qualche secolo fa, nientemeno che nei quartieri di piacere. Vi abbiamo già parlato delle donne che vi lavoravano e della distinzione tra una oiran e una geisha, due tipi di artiste ma anche di bellezze che venivano scelte come soggetti delle stampe prodotte dal XVII secolo in poi. In particolare, i bijin-ga, letteralmente “immagini di belle donne” nacquero grazie a Harunobu Suzuki, che con il suo libro illustrato rappresentò queste donne sottolineandone la sensualità dei loro visi, del loro fisico e delle loro movenze, così come l’eleganza delle loro vesti. Successivamente, Utamaro fu colui che contribuì ancora di più a portare alla ribalta questo tipo di xilografie, ritraendo le cortigiane più famose per la loro bellezza e le loro abilità seduttive, e che andavano ad aggiungersi alla diffusione sempre maggiore degli shun-ga.

Tuttavia, non si deve cadere nell’errore di pensare che l’erotismo dell’epoca fosse effettivamente quello rappresentato nelle immagini pornografiche che cominciarono ad essere prodotte verso la metà di quel secolo. In effetti, gli abitanti dei quartieri di piacere preferivano mantenere un certo decoro, nonostante ciò che avveniva tra le mura delle case da tè. I cosiddetti shun-ga citati poco fa, ovvero “immagini erotiche” (anche se, letteralmente, si traduce in “immagini di primavera”), erano in realtà fruiti dagli abitanti di Edo, i quali se non erano abbastanza facoltosi per permettersi di entrare nel “mondo fluttuante”, potevano solo immaginare cosa potesse accadere in quei luoghi lussuriosi.

Inoltre, la rigida etica confuciana del governo Tokugawa faceva sì che le produzioni artistiche dei quartieri di piacere fossero le prime a passare al vaglio della censura, dunque tutto ciò che le cortigiane sapevano riguardo pratiche sessuali e trucchi del mestiere veniva tramandato oralmente alle loro apprendiste, come un segreto che, se rivelato, avrebbe rovinato gli affari. Ed effettivamente questi ambienti prosperarono proprio grazie a questo mistero che aleggiava attorno alle loro mura, lasciando che fossero le fantasie degli artisti dell’epoca, da Utamaro all’ancor più famoso Hokusai, a stuzzicare quella dei clienti.

La categoria delle cortigiane venne poi sostituita, col passare degli anni, da quella delle geisha (che, ricordiamo, non era tenuta a favorire prestazioni sessuali di alcun tipo) e insieme agli eventi storici che videro il Giappone adottare nuove riforme politiche, economiche e sociali, anche il materiale pornografico subì un drastico calo di produzione. Questo vide la propria grande rinascita nel XX secolo, solamente grazie alla fotografia e ai manga, le “immagini derisorie”.

Cosa distingue hentai e ecchi?

A un osservatore poco esperto, i due generi potrebbero non avere alcuna distinzione particolare ma hentai e ecchi, in realtà, hanno effettivamente preso strade diverse per rispondere a esigenze altrettanto diverse, senza contare che l’utilizzo di questi termini, in Giappone, è diverso da quello occidentale.

Hentai 変態, letteralmente, significa “anomalia, anormalità” ma, usato come aggettivo, è l’abbreviazione dell’espressione hentai seiyoku, ovvero “anomalia sessuale”, dunque un certo tipo di desiderio sessuale fuori dal comune, che si origina da un cambiamento strano hen, a tratti esagerato, di ciò che è considerato normalità. È sotto questo termine che si riuniscono, dunque, diversi tipi di perversioni (e so che ne avete in mente diverse, non mentite!), includendo però anche atti legati alla sfera amorosa e passionale come il suicidio d’amore, quando la parola hentai veniva usata soprattutto negli studi di psicologia.

Quando quest’espressione è però uscita dall’ambito accademico, ha letteralmente fatto scattare la molla dell’interesse per la sessualità, dando origine a produzioni che andavano dalle riviste ai fumetti. Il primo titolo che possiamo riconoscere come hentai è stato realizzato nientemeno che da Hideo Azuma, il creatore della piccola Pollon combinaguai! Il suo stile comprendeva personaggi femminili dai tratti vagamente infantili e carini, per questo è considerato il “padre delle Lolicon”, che d’altra parte oggi è solo uno dei tanti tipi di personaggi che possono essere protagonisti di entrambi i generi hentai e ecchi.

hentai ecchi

Tuttavia, se gli hentai rispondono ai bisogni di una situazione immaginata e desiderata dai fruitori, per darvi poi sfogo appunto con la visione di questi materiali, si può dire che gli ecchi invece servano solo a stuzzicare quelle fantasie in maniera decisamente più leggera e meno esplicita, almeno secondo l’utilizzo del termine in Occidente: gli espedienti usati vanno dal coprire parti intime con inquadrature e prospettive apposite, o in scene particolari come quelle in cui i personaggi fanno il bagno si utilizza il vapore per rendere più indistinte proprio le parti del corpo più d’interesse, stimolando così l’immaginazione senza superare il confine, seppur piuttosto sottile, che separerebbe l’opera dal genere hentai.

In realtà, ecchi non è altro che la pronuncia della lettera H, iniziale di hentai, in inglese, dunque in Giappone sta a indicare comunque l’atto sessuale, mentre per come lo abbiamo assunto noi occidentali, spesso le situazioni di alcuni ecchi rasentano solo il limite: quando non è più sufficiente la vista della biancheria intima, si passa alle “aggressioni involontarie” che faranno finire qualche faccia o mano su seni prorompenti, scatenando il caratteristico sangue al naso che fa guadagnare poi l’appellativo ecchi al “malcapitato”. Non avremo mai un’esplicita rappresentazione dell’atto sessuale, che semmai verrà fatto intuire tramite escamotage quali ombre o frasi apparentemente inequivocabili che si riveleranno poi essere di tutt’altra natura. Ma l’intento di attrarre e intrattenere piacevolmente lo spettatore o il lettore sarà stato comunque raggiunto.

Si possono considerare arte?

Assolutamente sì, è la risposta non solo degli appassionati ma anche la mia dopo questo excursus sui generi hentai e ecchi. Da questi si sono sviluppati nuovi media, come gli eroge o i galge (anche genericamente classificati sotto il termine più ampio visual novel), e molti altri generi ne fanno uso come parte della loro narrazione.

Gli isekai, ad esempio, che oggi sono sulla cresta dell’onda, sfruttano la forte presenza di personaggi femminili per provocare situazioni imbarazzanti ascrivibili all’ecchi, oltre a dar vita al sottogenere harem (o reverse harem, se è invece una protagonista femminile a esser circondata di baldi giovani); oppure sono state create serie con personaggi dalle fattezze parzialmente mostruose, aliene o animalesche, che in alcuni casi vanno ovviamente a richiamare elementi dell’hentai come gli ormai conosciutissimi tentacoli.

Insomma, i generi hentai e ecchi sono essenzialmente la risposta ai nostri desideri reconditi e nonostante le controversie di cui sono spesso vittima, non si può negare la loro rilevanza storica, sociale e soprattutto di intrattenimento.

Alessia Trombini
Torinese, classe '94, vive dal 2014 a Treviso e si è laureata all'università Ca' Foscari di Venezia in lingua e cultura giapponese, con la fatica e il sudore degni di un samurai. Entra in Stay Nerd nel luglio 2018 e dal 2019 è anche host del podcast di Stay Nerd "Japan Wildlife". Spende e spande nella sua fumetteria di fiducia ed è appassionata di giochi da tavolo, tra i quali non manca di provare anche quelli a tema Giappone.