Il film Netflix La Vetta degli Dei è un piacere per gli occhi, semplice e diretto

Appena una settimana fa, nella recensione del live action Netflix di Cowboy Bebop, abbiamo parlato di quanto la nostra generazione sia in fondo fortunata: spesso le opere che amiamo vengono riprese e reinterpretate, magari attraverso un nuovo medium, per conoscere una nuova giovinezza. Per continuare questo discorso su remake e reboot oggi parleremo di La Vetta degli Dei, il nuovo film d’animazione Netflix basato sull’omonimo manga di Jiro Taniguchi. Un’opera che cattura subito l’occhio e cela un importante punto di vista sul senso della vita. Andiamo a scoprirla insieme.

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La Vetta degli Dei su Netflix, ovvero come rendere spettacolare l’alpinismo

È passato tanto tempo da quando l’appellativo di nerd era riservato a una certa categoria di persone, tra le quali quella di rifuggire a tutti i costi l’attività fisica era una delle regole più ferree. Oggi, invece, dobbiamo mettere le mani avanti: se tra di voi c’è qualche appassionato di alpinismo, gli chiediamo di saltare qualche riga perché il pensiero che stiamo per esprimere potrebbe offenderlo. L’alpinismo, per quanto affascinante, è uno sport monotono. Agli occhi dei profani, in fin dei conti, appare come una sequenza di movimenti standardizzati ripetuti all’infinito, coordinazione estrema contro forza di gravità. Una disciplina molto difficile da rendere spettacolare.

Uno dei principali pregi de La Vetta degli Dei su Netflix, però, è proprio quello di saper portare anche lo spettatore non appassionato di scalata dentro la vicenda. L’atmosfera opprimente, l’aria rarefatta e il fiatone dei personaggi sono quasi palpabili, vivi: quando il protagonista Makoto Fukamachi ansima, geme o impreca contro una tempesta in arrivo, noi lo facciamo insieme a lui. Le scene ambientate sulle pareti di ghiaccio o di roccia lasciano percepire il pericolo di morte che si cela dietro ogni sasso, su per ogni crinale. Lo spettatore può sentire l’ebbrezza e la paura di uno sport totalizzante, senza mezze misure, in cui o arrivi in cima o muori.
Questi grandi risultati sono il frutto di una regia che azzecca tutte le inquadrature, con una predilezione per i lunghi primi piani: le animazioni dei volti sono essenziali ma molto precise, capaci quindi di far trasparire tutti gli stati d’animo dei personaggi, nel loro continuo cambiamento.

La vetta degli Dei Netflix 2

Variazioni sul tema e incursioni del soprannaturale

Con La Vetta degli Dei Netflix e il regista francese Patrick Imbert donano nuova vita al manga di Jiro Taniguchi finito di pubblicare in Giappone nel 2003. Il maestro di Tottori non è certo noto per aver dato molto spazio al soprannaturale, scegliendo invece sempre il realismo per i suoi disegni e le sue storie. Nel film sono però presenti un paio di deviazioni dal reale, che si manifestano sotto forma di visioni. Durante una sfortunata spedizione sulle Alpi francesi il prodigioso scalatore Habu Joji, vero protagonista della vicenda, rivede il fantasma di un giovane compagno morto parecchi anni prima. Nelle fasi finali del film tocca a Fukamachi: le fitte alla testa causate dall’alta quota gli riempiono il campo visivo di un’aura rosso sangue, che lo risucchia fino allo svenimento.

Queste scene sembrerebbero fuori luogo in una storia che fa del realismo una delle sue caratteristiche principali, ma aiutano a portarla su un altro piano. Un piano più totalizzante, universale. Siamo abituati a immaginare gli alpinisti come una sorta di superuomini, capaci di resistere alle basse temperature e dotati di forza sovrumana. Grazie all’espediente soprannaturale, invece, capiamo che sono esseri umani esattamente come noi, prede di rimorsi e paure, errori passati e presenti.

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La Vetta degli dei su Netflix: una gioia per gli occhi e le orecchie

Sin dalle prime scene La Vetta degli Dei rapisce lo spettatore grazie a un comparto tecnico di altissimo livello. In una storia ambientata per la maggior parte tra i ghiacci e le rocce, non ci sono molti colori con cui lavorare per appagare l’occhio, e nemmeno troppi effetti sonori da inserire. L’aria è rarefatta e il silenzio regna sovrano. Ecco perché ogni rumore conta, e questo il film sembra saperlo molto bene. I suoni sono molto realistici e sembra che il clangore del metallo e lo scorrere della corda nei moschettoni avvengano a pochi metri dallo spettatore. Una sensazione davvero immersiva che fa da contrappeso all’ambientazione remota e alle inquadrature da lontano.

Uno dei punti di forza delle opere di Taniguchi è sempre stata la capacità di rappresentare la natura nella sua accezione più imponente, in contrapposizione alla piccolezza della figura umana. Anche nel film i paesaggi sembrano dipinti ad acquerello e abbondano i campi larghissimi, in cui il bianco dei ghiacci minaccia costantemente di mangiarsi quelle piccole macchie colorate che sono gli uomini. I tratti delle persone, al contrario, sono essenziali, ma precisi e capaci di comunicarne gli stati d’animo.

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Qualche appunto sul senso della vita

Ma di cosa parla La Vetta degli Dei? Un giornalista specializzato in fotografie di scalatori sente del ritrovamento di una macchina fotografica capace di stravolgere la storia dell’alpinismo e parte alla sua ricerca. Questo lo porta a incrociare il cammino con quello di un’ex promessa giapponese della disciplina, ritiratosi dalle scene da diversi anni ma ancora ossessionato dall’idea di scalare l’Everest sul lato più difficile, in solitaria. I due organizzano così la spedizione, che li aiuterà a trovare, almeno in parte, le risposte che cercano.

Al di là di questa trama stile Wikipedia, La Vetta degli Dei è soprattutto la cronaca di due ossessioni. Makoto Fukamachi, attraverso le foto contenute nella macchina misteriosa, vuole scoprire la verità sull’esito della scalata di George Mallory, che sarebbe arrivato in cima all’Everest prima di tutti, nel 1924.

Habu Joji vuole raggiungere la vetta in solitaria, senza ossigeno, facendo registrare un nuovo record. L’ossessione, però, è soprattutto la modalità attraverso cui i protagonisti trovano il senso della propria esistenza. Entrambi inseguono qualcosa e, quando la raggiungono, cercano di andare oltre: c’è sempre un’altra vetta, un altro record da battere, un’altra verità da scoprire. Il film ci esorta quindi a trovare qualcosa che amiamo davvero fare e dedicarvi completamente la vita. Un consiglio che tutti dovremmo tentare di seguire.

La Vetta degli Dei è un’ottima aggiunta al catalogo di film d’animazione Netflix, capace di coinvolgere anche chi non si interessa minimamente di alpinismo. Le emozioni dei personaggi e l’immensità della natura che permea ogni immagine sono infatti universali, così come il punto di vista sul tema dell’ossessione.

Marco Broggini
Nasce con Toriyama, cresce con Ohba e Obata, corre con Shintaro Kago. Un percorso molto più coerente di quello scolastico: liceo scientifico, Scienze della Comunicazione, tesi su Mission: Impossible, scuola di sceneggiatura. Marco ha scoperto di essere nerd per caso, nel momento in cui gli hanno detto che lo sei se sei appassionato di cose belle. Quando non è occupato a procrastinare l'entrata nel mondo del lavoro, fa sport che nessuno conosce e scrive racconti in cui uomini e gatti non arrivano mai alla fine.