Uno sguardo ad alcune delle leggende metropolitane più belle nella storia dei videogiochi

Con leggende metropolitane (anche se sarebbe meglio chiamarle contemporanee, visto che l’ambientazione cittadina non fa sempre da sfondo alle vicende), ci riferiamo a brevi racconti tendenzialmente ambientati ai giorni nostri. Queste storie, che spesso presentano elementi umoristici, macabri o cospirazionisti, si presentano come veritiere ma la cui scarsa credibilità non tarda a emergere rivelando l’intrinseca abilità dell’essere umano di creare delle costruzioni narrative di fantasia utilizzando fonti inattendibili o interpretate erroneamente. Sicché, pur non mancando le eccezioni che dimostrano talvolta l’esistenza e la veridicità della leggenda che smette quindi di essere tale, anche la storia dei videogiochi è costellata di racconti che narrano eventi e fatti mirabolanti. Per questo motivo, abbiamo deciso di raccoglierne qualcuna e di sviscerarla per voi. Buon divertimento e acqua in bocca!

Polybius e le cospirazioni governative

leggende metropolitane videogiochi

Quella dell’esistenza di Polybius è una delle leggende metropolitane più famose legate al mondo dei videogiochi. Tanto da essere citata, più o meno esplicitamente, in numerose produzioni pop contemporanee o aver ispirato il plot del secondo libro (Armada) del creatore di Ready Player One. Anche se prima del 2000 nessuno ne ha mai sentito parlare, sembrerebbe essere nata intorno al 1998 in un sito dedicato ai cabinati Coin-op per poi prendere la strada della viralità e aumentare di volta in volta in termini di dettagli e sfumature cospirazioniste.

La storia, ambientata nel 1981 a Portland, vede la CIA realizzare e installare il videogioco arcade Polybius in diverse sale gioco per effettuare uno studio governativo sul controllo mentale. Il gioco, infatti, aveva la strana capacità di indurre nei fruitori strani effetti collaterali, come allucinazioni, psicosi, o perdita di memoria e indurre a compiere azioni spinti dalla presenza di oscuri messaggi subliminali. I men in black, i celeberrimi uomini in nero dietro a molti complotti di questo genere, avrebbero controllato i dintorni delle sale gioco incriminate per tenere sotto controllo la sperimentazioni e annotarsi i punteggi dei giocatori più abili. Almeno fino a quando tutti i Coin-op di Polybius scomparvero improvvisamente nel nulla.

C’è da dire che gli agenti dell’FBI avevano l’abitudine di sorvegliare le sale da gioco, ma per la paura che potessero essere utilizzati per il gioco d’azzardo.

Leggende metropolitane e videogiochi:
Killswitch si autodistruggerà fra 10secondi

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Killswitch è un gioco che, secondo la leggenda, può essere completato una volta soltanto. Anzi, per essere più precisi, dopo aver scelto l’avatar (con la possibilità di scegliere anche il demone Ghast, invisibile persino al giocatore) ed essere riusciti a fuggire dalla miniera infestata di esseri e creature spaventose che si oppongono alla nostra libertà, arrivando a compiere la nostra missioni e terminare il gioco, Killswitch si autodistruggerà. Impedendo, tra le altre cose, anche di essere copiato o trasferito su un altro supporto per evitare la perdita di tutti i dati.

La Karvina Corporation ne avrebbe prodotte un numero limitatissimo di copie e quelle attualmente disponibili sarebbe ancora di meno, tanto da aver portato un certo Yamamoto Ryuichi a spendere una cifra elevatissima per accaparrarsi una copia su eBay, con l’obiettivo di documentare le sue partite attraverso una registrazione video. Sfortunatamente il film che Yamamoto Ryuichi pubblicò in seguito si limitò a ritrarlo in lacrime davanti allo schermo nei primi momenti di gioco.

Dietro al mistero, come spesso succede, si trova una storia sfuggita di mano e ingrandita grazie al passaparola: l’autrice di tutto questo sarebbe la scrittrice Catherynne M. Valente, che ha inventato di sana pianta l’esistenza di Killswitch e della casa di produzione Karvina Corporation, pubblicando anonimamente il suo racconto sul sito The Invisible Games.

Pokémon e la sindorme di Lavandonia


Dato l’enorme successo, i creepypasta dedicati alla serie Pokémon sono innumerevoli: ne esistono di tutti i tipi e delle più svariate fatture. Uno dei racconti più conosciuti, diffusi sin dagli albori di Pokémon Rosso e Blu nel 1996, è quello che viene indicato con il nome di “Sindrome di Lavandonia”. Il nome deriva proprio da una delle città presenti nel gioco, Lavandonia appunto, che presenta delle caratteristiche particolari: è nota per ospitare il più importante cimitero della regione e frequenti avvistamenti di spettri nella Torre Pokémon, per la cittadinanza infestata dagli spiriti dei Pokémon defunti, e una particolare melodia accompagna il giocatore durante il suo soggiorno e il girovagare fra le strade. Ecco, proprio la particolare frequenza di quelle note, udibile soltanto da un pubblico di giovanissimi, avrebbe condizionato la mente di centinaia di bambini giapponesi portandoli al suicidio. Una macabra credenza presumibilmente alimentata da alcuni casi (il cui numero è stato ingigantito dalla successiva isteria di massa) di epilessia scatenati dalla visione di un episodio del cartone animato del medesimo franchise trasmesso nel corso del 1997.

Leggende metropolitane e videogiochi:
Et the Extra-Terrestiale o del mettere la testa sotto la sabbia

leggende metropolitane videogiochi

E.T. the Extra-Terrestrial, noto come E.T., è un videogioco basato sul film E.T. l’extra-terrestre sviluppato da Howard Scott Warshaw nel 1982 in sole cinque settimane – per approfondire la questione vi rimandiamo al documentario High Score disponibile su Netflix. Il pochissimo tempo a disposizione per lo sviluppo, la pressione di Atari per pubblicarlo entro natale e la fiducia nella potenza del nome come elemento di richiamo e di sicura monetizzazione, hanno infine portato alla commercializzazione di un prodotto scadente, estremamente limitato nelle meccaniche e graficamente povero. Rivelandosi, oltretutto, uno dei più grandi flop commerciali di tutti i tempi e causa di ingenti perdite per Atari (e per l’intera industria videoludica). Perché, nonostante le buone vendite, furono molte di più le copie rimaste invendute nei magazzini dei negozi del Nord America, costringendo l’azienda, secondo alcuni, a disfarsi di milioni e milioni di resi seppellendoli in una discarica nel Nuovo Messico (e non parliamo solo delle cartucce di E.T., ma anche di quelle di Pac-Man e Centipede). Ecco, da questo momento la leggenda si mescola con la realtà: perché, circa trentanni dopo, il 28 aprile 2014, queste celebri cartucce sono state non solo trovate ma recuperate dalla loro “tomba” nel deserto. Anche se, a dirla tutta, il numero di cartucce di E.T. si è rivelato essere decisamente minore rispetto al numero spropositato vagheggiato nel corso dei decenni precedenti.

4000 Playstation 2 per Saddam

Altra bufala, altro giro di giostra. Siamo nei primi anni 2000 e Sony ha immesso sul mercato PlayStation 2, una console destinata a fare la storia del medium e a diventare la console casalinga più venduta di sempre.

Un successo così scalpitante da far affermare al sito World Daily News, citando un presunto rapporto segreto e altrettanti misteriose fonti dell’intelligence statunitense, che Saddam Hussein in persona, colpito dalla straordinaria potenza ed economicità dell’Emotion Engine, la CPU interna alla macchina, aveva comprato addirittura 4000 PlayStation 2. Ovviamente il suo era un acquisto votato non a intrattenere se stesso o le sue milizie, ma allo scopo di unire tutte quelle console insieme per costruire un super computer in grado di essere utilizzato come sistema di guida missilistica. Anche il giornalismo italiano diede spazio alla “notizia”, titolando, parliamo de La Stampa cartacea, “La Playstation letale di Saddam””.

Gli esperti, quelli veri, sia delle varie intelligence governative che civili, smentirono la diceria bollandola come inconcludente e irrealistica, per propositi e capacità ingegneristiche irachene. Insomma, “non sottovalutare la potenza di Playstation” sì, ma fino a un certo punto.

Leggende metropolitane nei videogiochi:
Diablo I e alcune amorevoli mucche

Diablo I è pieno zeppo di segreti e location misteriose che aspettano di essere scoperte. In effetti, ci troviamo di fronte al terreno perfetto su cui far germogliare numerose leggende metropolitane, fra le più sinistre e affascinanti dei videogiochi. Una delle più celebri in assoluto, riguarda il fantomatico Cow Level. Vale a dire, l’assoluta convinzione da parte di una larga fetta di utenza che all’interno di questo primo capitolo ci fosse un livello segreto raggiungibile grazie alla giusta combinazione di clic su alcune mucche presenti in un particolare livello. Indovinare la corretta sequenza, avrebbe permesso al giocatore di essere teletrasportato in un’altra dimensione interamente popolata di mucche guerriere arma di ascia.

Un mito così folle e stravagante da aver indotto la stessa Blizzard a inserire questa diceria come easter egg in altri sui titoli (come in Star Craft o in World of Warcraft) e a includere un vero e proprio livello bonus colmo di ruminanti in Diablo II e Diablo III.

Majora’s Mask: maledettte cartucce!

leggende metropolitane videogiochi

Direttamente dalle lande eccentriche di 4Chan, arriva la leggenda metropolitana legata a uno dei videogiochi più affascinanti di sempre. Parliamo di Majora’s Mask e della storia di una cartuccia maledetta.

Sembrerebbe che un utente sia entrato in possesso di una cartuccia vuota per Nintendo 64 con il nome Majora’s Mask scritto con un pennarello, con tanto di video e fotografie a prova della sua esistenza. Avviato il gioco, quest’utente avrebbe trovato un file di salvataggio intitolato “Ben”, anche se era la prima volta che stava avviando il gioco. Ignorando il save, aveva proceduto con un nuova partita ma si era presto accorto che tutti gli NPC si rivolgevano a lui chiamandolo Ben. Credendolo un qualche bug o glitch di sistema, racconta di aver proceduto a eliminare il file nominato Ben e di avere iniziato una nuova partita. Ma da questo momento, prosegue, le cose hanno iniziato a farsi strane: il gioco ha iniziato comportarsi in modo strano, con le musiche che che si riproducevano al contrario, con una statua del personaggio principale del gioco che inseguiva costantemente il suo avatar e altre stranezze uscite direttamente da una puntata di X-Files.

Comparso dal nulla un secondo salvataggio intitolato con un macabro “annegato”, la storia si conclude con il sopraggiungere della morte improvvisa e inaspettata del giocatore e la comparsa di inquietanti messaggi dal tono caustico e sardonico.

Leggende metropolitane nei videogiochi:
Final Fantasy VIII: vivo o morto X

Squall, anche se non ai livelli di Cloud di Final Fantasy VII, è un personaggio estremamente famoso e uno dei più popolari di Final Fantasy VIII. Una delle leggende metropoliane più affascinanti della storia dei videogiochi, lo vede parte di un mito cospirazionista che lo crede essere un fantasma. Alla fine del primo CD del gioco, infatti, Squall viene trafitto da un frammento di ghiaccio mentre si batte contro il boss Edea. All’inizio del secondo CD, Squall si risveglia senza ferite e senza che nessun altro personaggio faccia menzione del fatto che è stato letteralmente ucciso ed è resuscitato così, senza troppe spiegazione. Molti hanno visto in questo grossolano espediente narrativo, all’interno di un titolo fino a quel momento abbastanza radicato nel realismo (per quanto calato in un contesto fantastico, sia chiaro), la prova che Squall è morto a seguito delle ferite riportate e che la restante parte del gioco non sarebbe altro che un suo sogno, sotto forma o di una specie di coma giocabile o di un loop di eventi fantastici congelati nel tempo un attimo prima della sua dipartita.

Andrea Bollini
Vivacchia fra i monti della Sibilla coltivando varie passioni, alcune poco importanti, altre per niente. Da anni collabora con diverse realtà (riviste, associazioni e collettivi) legate alla cultura e all'intrattenimento a 360 gradi. Ama l'arte del raccontare, meno Assassin's Creed.