L’oriente scritto dall’occidente: quando i libri parlano di folklore giapponese

Realizzare buoni libri quando si tratta una cultura distante dalla propria non è facile: ne sa qualcosa chi si è confrontato con il folklore giapponese. La cultura del Sol Levante è così distante dalla nostra, così diversa da apparirci spesso antitetica e quasi incomprensibile. Storie diverse creano mondi diversi e, quindi, letterature profondamente diverse. Quando noi occidentali pensiamo ai draghi abbiamo in mente creature portatrici di morte e avidi custodi di tesori. Per chi è cresciuto in oriente un drago è un essere quasi divino, saggio e donatore di prosperità.

La divisione è netta. L’occidente ha i suoi orchi, i suoi elfi e mazapegul; l’oriente i suoi oni, kodama e tanuki. Eppure molto spesso abbiamo visto come l’oriente abbia sfruttato la cultura occidentale. Ne ha rimodellato la letteratura e i suoi miti per creare opere che, ancora oggi, sono per noi motivo di fascino e piacere. Pensiamo alla produzione di Go Nagai, basata sulla religione cristiana. Oppure a I Cavalieri dello Zodiaco, che riscrive alcuni elementi della mitologia greca. Fino a produzioni recenti come My Hero Academia, dove Kōhei Horikoshi plasma la storia dalla mitologia contemporanea, i fumetti di Marvel e DC Comics.

Ma succede anche il contrario? Quanto spesso gli occidentali si sono confrontati con il folklore giapponese? E quali sono stati i risultati? Se pensiamo alla letteratura scritta da occidentali basata sul Giappone, raramente troviamo un’opera che ne rielabori la mitologia per creare una storia. Meno inusuale è che i libri occidentali parlino di folklore giapponese, inteso sia come racconti e miti, che come insieme di tradizioni del Sol Levante. Lo scopo sarà vedere quello che gli occidentali hanno amato del Giappone, al punto da farne parte integrante delle proprie opere letterarie.

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Dopo la restaurazione Meiji: i primi libri occidentali sul folklore giapponese di Algernon B. Mitford

L’impermeabilità della cultura giapponese presso gli occidentali si deve anche alla sua relativamente recente apertura verso il mondo. Solo nel 1854 fu posto fine al Sakoku, la politica di isolazionismo che, fino a quel periodo, aveva contraddistinto il Giappone facendone un paese eremita. A seguito della Convenzione di Kanagawa, fortemente voluta dal governo degli Stati Uniti e rappresentata dal Commodoro Perry, il Sol Levante iniziò gradualmente ad aprirsi all’occidente. Non stupisce che quindi i primi grandi “divulgatori” della cultura orientale in occidente fossero dei diplomatici.

Erano personaggi di cultura, viaggiatori e, per questo motivo, mediamente più aperti di mente di quanto non lo fosse l’élite di quel periodo. Proprio negli anni successivi al Trattato di Pace e Amicizia tra Stati Uniti e Giappone inizia a spiccare la figura di Algernon Bertram Freeman-Mitford che, dopo una prima esperienza in Cina, arriverà nel Sol Levante rimanendo affascinato dalla cultura del luogo.

Al Barone Mitford si deve il merito di aver diffuso per primo i racconti dell’antico Giappone, raccogliendo una serie di tradizioni orali e scritte che fino a quel momento non avevano avuto diffusione al di fuori dell’arcipelago. Suo merito può considerarsi una delle prime grandi diffusioni del racconto dei Quarantasette Ronin, che apriva il volume.

La sua opera fu senza dubbio importante, specie per l’anno in cui fu realizzata, il 1871. Da lodare quanto un membro della classe dominante britannica si sforzi di mantenere la mentalità aperta, raccontando non solo fatti ed eventi avvenuti, ma anche tradizioni e rituali. In questo il volume di Mitford diventa non solo una racconta di racconti, ma un vero e proprio spaccato del folklore giapponese nel suo senso più ampio. Qualcosa che certo non era facile da trovare nei libri dell’epoca.

Non chiamatelo gaijin: Patrick Lafcadio Hearn e il suo Kwaidan

Nel contesto di un articolo dedicato al folklore giapponese presente nei libri occidentali può apparire strano inserire l’opera di Lafcadio Hearn. Semplicemente perché l’autore, nato da madre greca e padre irlandese… non è un gaijin. Non nel vero senso della parola. Hearn studiò e lavorò per lunghi anni nel Sol Levante, tanto da ottenere la cittadinanza giapponese, cambiare il proprio nome in Koizumi Yakumo (Koizumi era il cognome della moglie, discendente di una famiglia di samurai) e stabilirsi in via definitiva a Tokyo, dove verrà a mancare agli inizi del Secolo XX.

Koizumi farà insomma in tempo a vedere l’Impero assurgere al ruolo di grande potenza sulla scena mondiale, ottenendo le prime grandi vittorie nella Guerra Russo-Giapponese. Ed è proprio in questo periodo che darà alle stampe l’opera di un’intera vita, il Kwaidan: Stories and Studies of Strange Things. Il termine Kwaidan indica i racconti dove compaiono i fantasmi, da lui raccolti in decenni di studio e minuzioso lavoro.

L’autore studiò i testi tradizionali e fu il primo occidentale (se non il primo autore in assoluto) a trascrivere storie fino ad allora tramandate oralmente. Ne è un esempio il racconto della Yuki-onna, uno yokai legato alla neve, fantasma di una donna morta assiderata. Essa si presenta di bellissimo aspetto ma con gli occhi crudeli, pronta a trascinare verso un infausto destino tutte le persone che si avventurano incautamente tra i monti durante le bufere di neve.

Il volume si chiude con una serie di storie riguardanti gli insetti e tutte le caratteristiche che il folklore giapponese ha loro attribuito in svariati secoli di libri e letteratura in merito.

Yōkai in cattedra: l’opera di Michael Dylan Foster

I primi decenni del Secolo XX costituiscono un momento di profonda trasformazione nel rapporto tra Occidente e Giappone. La Seconda Guerra Mondiale, a cui farà seguito il bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki, porterà a una ridefinizione dei rapporti tra le parti. Vuoi per il lavoro di propaganda svolto nel corso del conflitto, vuoi per la distanza che sembra di nuovo farsi sentire, gli anni del secondo dopoguerra sembrano portare a un allontanamento dei due mondi.

Il disgelo sarà graduale e avrà all’interno della cultura accademica occidentale uno dei suoi punti di partenza. L’interesse mai sopito per lo studio della cultura giapponese nelle università permetterà gradualmente di portare alle masse la tradizione dell’oriente. Nel corso dei decenni proprio grazie a docenti e studiosi abbiamo un’importante base per la divulgazione della storia e del folklore giapponese attraverso libri e romanzi.

Nel contesto dei mostri e delle leggende del popolo giapponese merita una menzione a sé Michael Foster, studioso americano che nel 2015 diede alle stampe Il libro degli yokai. Si tratta di una raccolta di leggende del mondo giapponese che non si limita al solo racconto delle storie legate agli spiriti giapponesi. Foster analizza le radici dei racconti e individua quali possano essere i nuclei di verità alla base delle leggende su tanuki, kappa e kitsune.

I racconti così diventano sia un motivo di divertimento che di studio e riflessione. Grazie all’opera di Foster i lettori sono portati a interrogarsi su ciò che la mente umana può creare con la propria immaginazione. E, oltre a questo, su ciò a cui gli esseri umani sono disposti a credere.

Matthew Meyer: il tizio del sito degli yōkai

Nell’ambito delle raccolte di libri sugli spiriti e i mostri giapponesi ha fatto parlare di sé Matthew Meyer, conosciuto anche come “The yōkai guy”. Illustratore di origine statunitense, da anni è ormai trapiantato in Giappone, da dove collabora con un portale dedicato a raccogliere storie sugli yōkai.

Nel tempo ha pubblicato diversi volumi che raccontano la natura e le caratteristiche dei mostri della mitologia giapponese, cercando anche di collocarne la tradizione nell’area di diffusione e di provenienza, al fine di capirne al meglio l’origine. Il vero punto di forza della sua opere è tuttavia la sua capacità di artista. Attraverso le sue composizioni Meyer ridà vita alle creature del folklore giapponese, illustrando i propri libri. Questo permette senza dubbio alla sua produzione di differenziarsi, dandole l’occasione di spiccare rispetto alle altre opere del genere.

Cosa che, senza dubbio, farà piacere a molti lettori del Belpaese, i suoi libri sono anche tradotti in italiano, permettendo anche a chi non conosce l’inglese di apprezzarne l’opera. Quello che probabilmente distingue la produzione di Meyer è il suo inserimento nel solco del yōkaigaku. Si tratta di uno studio del folklore giapponese patrocinato dal governo stesso del Sol Levante, che vede in Meyer una voce insolita per via delle sue origini di gaijin.

Fantasy orientale: i due mondi di Julie Kagawa

Ciò che notiamo nei precedenti libri è l’assenza di racconti che sfruttino il folklore giapponese per creare ambientazione immaginarie. In una parola non è presente in questa lista nessun romanzo fantasy.

I mondi del fantastico e del Giappone non sono facili da far incontrare. Si tratta di un’operazione difficile che, pur avendo trovato negli ultimi anni maggiore spazio (anche in Italia) non sembra essersi prestata a composizioni di spessore. Ne potrebbe essere un esempio la Saga degli Otori, di cui già parlammo in passato. Il ciclo di Lian Hearn, pur sfruttando bene l’immaginario fantastico del Giappone Feudale, non era altrettanto rigoroso quando cercava di darsi attendibilità storica.

Per questo motivo desideriamo concludere questo viaggio nel lontano oriente consigliandovi un’autrice che racchiude in sé i due mondi cui abbiamo parlato. Il nostro occidente e il Sol Levante, due radici che intrecciate tra loro hanno dato vita alle opere di Julie Kagawa.

Nata da famiglia giapponese negli Stati Uniti, Kagawa riflette nei suoi romanzi le due stirpi che hanno dato origine alla sua storia. Quella dell’occidente, dove lei ha compiuto i suoi studi, e quello dell’oriente, dove si trovano le radici profonde dell’autrice. In questo lo stile di Kagawa mostra di essere un’amalgama delle due tradizioni. Due mondi che hanno trovato negli ultimi anni forma nella serie di Shadow of the Fox.

I tre libri, pur configurandosi come uno Young Adult con tematiche abbastanza classiche, riescono a spiccare per l’ambientazione, capace di dare corpo alla mitologia giapponese e ai mostri del suo folklore. Una lettura che può fornire spunti di interesse anche a chi, pur non essendo nel target di riferimento, desidera trovare nuove mitologie da sfruttare per le proprie ore di evasione.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.