Grazie innanzitutto per il tempo concessoci. Sappiamo che qui a Lucca ci sarà un evento speciale riguardo il tuo gioco da tavola, Le Leggende di Andor: vuoi dirci qualcosa a riguardo?

Sì, ho disegnato un personaggio speciale per il gioco, che sarà scaricabile gratuitamente dal nostro sito. È un mago ed ha il potere del tempo, un’abilità speciale che gli permette di acquistare, appunto, tempo, alla fine di un combattimento. Credo che si unirà agli altri eroi da questo dicembre.

Vuoi dirci invece qualcosa riguardo al gioco in generale? Com’è nato, ad esempio?

Le Leggende di Andor è stato creato per me e mio figlio quando era molto più piccolo. Adesso ha 17 anni, ma quando abbiamo iniziato il gioco ne aveva 9. Siamo entrambi fan del Signore degli Anelli, e stavamo cercando un gioco più o meno simile, ma che non fosse troppo complicato sia per lui che per me, perché non mi piace leggere troppe regole. Quindi alla fine decidemmo di crearne uno nostro. Abbiamo cominciato a giocarci durante le vacanze, e poi finivamo per giocarci ogni volta che avevamo tempo, e alla fine è cresciuto così tanto che abbiamo deciso di cercare qualcuno che lo pubblicasse, e per fortuna è successo. È un gioco di ruolo molto facile da giocare, quindi non devi necessariamente essere un fan del genere per giocarci, è fatto per chi è incuriosito dall’ambientazione, ma non gli va di leggere pagine e pagine di regole. Ha funzionato alla grande per essere un gioco nato per me e mio figlio.

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Ti aspettavi tutto il successo che ha avuto, e questo successo ti ha cambiato la vita in qualche modo?

No, ha venduto molto bene ma non mi sento una specie di celebrità. Trovo sempre il tempo di fare le faccende di ogni giorno. A volte le persone ti riconoscono, ma non capita poi così spesso.

Hai lavorato principalmente come illustratore per i giochi da tavolo, come ad esempio i Coloni di Catan. Com’è stato passare da illustrare al creare da zero un gioco? Come ti sei trovato a inventare regole e meccaniche di gioco?

Beh è qualcosa di completamente diverso. Come illustratore è più facile, ti dicono come vogliono che sia il disegno e tu lo fai. Certo, ci vuole passione e mi piace molto dipingere, ma non è poi un lavoro così creativo.
Sviluppare un gioco quello sì che richiede creatività, idee, ed uno dei motivi per cui Andor è diventato così popolare è che abbiamo principalmente pensato a cosa ci divertiva ed a cosa avremmo voluto giocare, prima di tutto il resto. Non pensavamo neanche di pubblicarlo all’inizio, e ciò ha reso il gioco più fresco ed imprevedibile, perché divertiva noi prima di tutto. E se mi ricapiterà di creare un altro gioco sarà per questo stesso motivo, per creare un gioco che ancora non esiste, ma che mi piacerebbe ci fosse.

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Come sei entrato nell’industria dei giochi da tavolo? Ne sei sempre stato un fan o è una cosa che ti è venuta col tempo?

In famiglia giocavamo veramente poco, quindi sono diventato fan dei giochi da tavolo a causa del mio lavoro, e non il contrario. Perché bisogna giocare prima di capire come illustrare un determinato gioco. Prima invece lavoravo nel campo dei videogiochi, facevo le textures per i modelli 3D, e così ho incontrato Klaus Teuber la prima volta. È stato abbastanza casuale perché anni dopo ho reincontrato persone di quel team che stavano facendo un gioco di carte, Manga Manga, e mi hanno chiesto di curarne le illustrazioni. Era la prima volta che disegnavo manga e non so se alla fine è venuto poi così bene, ma è stato l’inizio del mio percorso. Ed ho capito che era un percorso che non avrei abbandonato, perché è un’ottima occasione e un bellissimo lavoro.

Tu lavori principalmente in digitale o usi ancora carta, matite, ecc.?

Adesso è 100% digitale. Quando ho iniziato facevo ancora degli schizzi, ma ad un certo punto hai un’agenda talmente piena e così poco tempo che devi per forza lavorare direttamente al computer. Però è comunque arte, non c’è un pulsante che ti fa apparire i disegni, devi comunque lavorarci (ride). Solo che non devi più aspettare che si asciughino i colori e tieni le mani un po’ più pulite, quindi ha i suoi bei lati positivi.

Hai dei consigli da dare a chi vorrebbe lanciarsi nel campo dei giochi da tavolo, magari come autore?

Beh come autore principalmente mi sento di consigliare di fare ciò che più ti piaccia fare, di non aver paura di creare qualcosa di nuovo. Certo questo non significa necessariamente che si riuscirà a trovare qualcuno che pubblichi il tuo lavoro, ma essere soddisfatti del proprio prodotto alla fine è la cosa più importante di tutte.
Come illustratore invece forse la cosa più importante è tenersi in contatto con le fiere, non solo come Lucca, ma anche quelle più piccole. E di conseguenza anche con i grandi e i piccoli produttori. Magari presentarsi ad una grande casa editrice con un prodotto già finito è l’ideale, in modo che possano giudicarti grazie a qualcosa che ha già visto la luce. Quindi buttatevi prima sulle case minori, anche per meno soldi, ma in modo da avere qualcosa di concreto da mettere sul curriculum e da mostrare alle major, in modo da avere più chance di pubblicazione.

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Credi invece nel crowdfunding come mezzo per essere pubblicati?

Beh per un illustratore in realtà non è lo strumento migliore, perché devi aspettare per sapere se sarai pubblicato o meno, e se hai altri progetti è possibile che alla fine nessuno veda la luce, o che tutti vengano pubblicati, e ciò rende il lavoro molto più imprevedibile e difficile da pianificare. E poi credo che l’industria dei giochi da tavolo sia in crescita, perché anche nel periodo in cui ci troviamo, con tutte le difficoltà economiche, magari le famiglie rinunciano a una vacanza, ma alla fine si riuniscono tutti a giocare insieme, quindi la cosa più importante è continuare a creare prodotti di qualità che riescano a intrattenere le persone.

A cura di Eugene Fitzherbert e Gabriele Atero Di Biase

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