Anne ama Jean-Luc e Jean-Luc ama Anne, lei è una giovane attrice e lui è un famoso regista, anche troppo famoso, perché è Jean-Luc Godard ed essere Godard è un fardello estremamente pesante da portare sia per lui che per chi gli sta intorno.

Il mio Godard è l’ultima fatica del regista Michel Hazanavicius – vincitore del premio Oscar con The Artist – che propone una visione del tutto innovativa di uno dei più grandi registi della storia, nei cinema dal 31 ottobre.

Redoutable

Jean-Luc Godard (Louis Garrel) è alle prese con il suo ultimo film “La Cinese” assieme alla compagna Anne Wiazemski (Stacy Martin), che ben preso diverrà sua moglie. Una volta uscito il film verranno riscontrati degli esiti inaspettati che porteranno il regista ad affrontare un profondo viaggio interiore, esplorando nuove sfaccettature dell’avanguardia cinematografica, cavalcando goffamente l’onda dei moti politici delle rivolte studentesche del ’68. Questa riscoperta si rifletterà sulla giovane moglie che vivrà il tutto come in una sorta di limbo spesso difficile da comprendere.

Questo non può essere definito semplicemente un “film su Godard”, e non è quindi un biopic. È invece una storia d’amore triste e travagliata tra un uomo in continua lotta con se stesso e una donna che deve convivere con la grande ombra di un artista schiacciato dal suo stesso nome. Il titolo originale del film, Redoubtable, deriva dal nome del primo sottomarino nucleare francese. Tale denominazione, nonostante non sia stata adottata dalle distribuzioni di altri paesi, rispecchia alla perfezione la natura di Godard, presentando – proprio come afferma Hazanavicius – un termine con valenza sia negativa che positiva, una “personalità temibile”, il che può essere sia un bene o un male a seconda dei punti di vista.

La regia è impeccabile, il taglio delle scene è semplicemente stupendo. Un primo piano – cavallo di battaglia di Hazanavicius – apre il film raccontando già molto dello spirito della narrazione. Inutile dire che più di una volta compaiono citazioni alla regia di Godard, specie le lunghe carrellate che seguono le passeggiate in strada o la macchina da presa che passa dietro le colonne delle stanze. Si percepisce ad ogni scena il profondo rispetto per il personaggio, senza giudicare né idolatrare, cercando l’uomo dietro la leggenda e giocando con l’ironia in maniera ingegnosa. I personaggi, specie quelli secondari, si mostrano come figure iconiche senza scadere mai nello status di macchiette. Ogni sequenza è ben studiata, orchestrata con eleganza e leggerezza: ciò non vuol dire superficialità, ma il saper sfiorare argomenti pesanti con grazia. Il film non è mai pesante, ha un buon ritmo senza però essere mai frenetico, sa prendersi i suoi tempi riuscendo a coinvolgere attivamente il pubblico, rompendo anche più di una volta la quarta parete. Troveremo spesso i personaggi guardare in faccia allo spettatore lanciandogli messaggi diretti e chiari senza che ciò risulti aggressivo o puerile.

Chi è Godard?

Godard non è solo il regista, è un nome immenso, incarnazione della Nouvelle Vague, divinità del cinema d’avanguardia, un nome che eclissa l’uomo che lo porta, lo ingloba, a volte lo eleva e a volte lo schiaccia. Il protagonista è evidentemente scisso in due figure: Godard e Jean-Luc ed entrambi sono in costante conflitto, un conflitto nel quale Anne rimane coinvolta senza nemmeno capire come. Attraverso la creazione del movimento Dziga Vertov si scopre la frustrazione di un artista ossessionato dal presente, caratterizzato dalla sua inafferrabilità, e dal desiderio di rivoluzione assieme ad una generazione alla quale cerca disperatamente di appartenere. Sì, è vero, abbiamo tirato in ballo parecchi paroloni strani, ma il nostro unico scopo è quello di stimolare una certa curiosità riguardo un capitolo importante della storia del cinema, ed è quello che fa il film verso uno spettatore che potrebbe essere digiuno di cinema d’autore. Una volta terminata la visione sale la curiosità di vedere Fino all’ultimo respiro anche solo per capire perché viene nominato tanto spesso. La Nouvelle Vague è un movimento che ha – malgrado il desiderio di Godard di uscire dagli schemi – creato nuovi canoni cinematografici. Prima degli anni ’60 il cinema oggi identificato come “classico” era rinchiuso in una prigione di regole, sarà il movimento francese a cambiare le cose, mischiando le carte e spianando la strada a quello che conosciamo oggi.

Ci siamo presi la libertà di fare questo intermezzo accademico per ricordare che il cinema è un mondo incredibilmente vasto e Il mio Godard ce lo ricorda. Questo film ci pone degli interrogativi molto potenti. Cos’è davvero il cinema? Si può davvero rinnegare il passato? Esiste davvero l’originalità? È vero che tutto può essere politica? L’opera si apre a molte domande e ciò è più importante che fornire risposte. Di certo è interessante arrivare a questo genere di ragionamenti solo attraverso un episodio della vita di un regista degli anni Sessanta. Ciò porta a credere che la storia sembri quasi una scusa per richiamare l’attenzione su un argomento molto più vasto e sempre attuale: lo sfuggente spirito del vero cinema.

Verdetto:

La mano di un ottimo regista è evidentissima. Chi ama il cinema nella sua natura più viscerale non può che adorarlo, non solo per la messa in scena ma per i riferimenti alle tecniche e alle scuole di pensiero che adornano quella che risulta una storia piacevole. Il film è ironico, fresco e molto intelligente. Bello da vedere e ricchissimo di spunti di diversa natura. Apre argomenti attualissimi e stimola la curiosità verso il cinema d’autore. Mostra un appello appassionato alla volontà di non sminuire il cinema, ma anche di non prenderlo troppo sul serio. Brillante.

Erika Pezzato
Laureata in lettere, cinefila per vocazione e scrittrice a tempo perso. Appassionata di film cult, fumetti e videogiochi, con un amore spasmodico per la letteratura, in particolar modo per il genere fantastico. In costante attesa che uno stregone bussi all'uscio di casa per offrire una nuova avventura alla quale non si può rinunciare.