Di battaglie mecha e destini generazionali…

Anno 0096, gli indipendentisti di Neo Zeon, guidati dal gruppo terroristico Maniche, e la Federazione continuano a tramare e a darsi battaglia. Centro della contesa è il controllo dello Scrigno di Laplace, un misterioso artefatto il cui possesso è fonte di supremazia e di autorità politica. Chiamato dal destino, il giovane studente Banagher Links della colonia manifatturiera di Industrial 7, dopo aver salvato un’enigmatica fanciulla che si fa chiamare Audrey Burne ed essere entrato in possesso della chiave dello Scrigno, cioè dell’avanzatissima unità robotica RX-0 Unicorn Gundam, diverrà uno dei protagonisti di questo pericoloso e ambiguo gioco di potere.

Da queste premesse narrative prende il via Mobile Suit Gundam Unicorn, trasposizione in sette OAV delle light novel di Harutoshi Fukui, Yoshikazu Yasuhiko e Hajime Katoki, approdato recentemente nel catalogo Netflix.

Cuori di silicio: fra padri, figli e la necessità di cambiare.

Allargando lo sguardo d’insieme, nel tentativo di sintetizzare una geografia narrativa ed emotiva di questa serie, è evidente il risalto che viene costantemente dato al topos del paternalismo intergenerazionale, o meglio, del concetto per cui le colpe dei padri ricadono sui figli. Da qui il costante refrain (fin troppo martellante e asfissiante) che oppone adulti e ragazzi, che fa cozzare il destino genetico con la volontà individuale che deve -dovrebbe- essere capace di ribellarsi al potere costituito. Un invito alla ribellione, ma mai all’anarchia, nei confronti di una società sistematicamente corrotta che non andrebbe difesa a tutti i costi, come gli adulti si ostinano a fare, ma cambiata. E il cambiamento passa inesorabilmente attraverso le future generazioni. Anche in Gundam si tratta di una trasformazione non semplice, certo, osteggiata da velenose rivendicazioni, paure ed egoistiche pretese, ma comunque necessaria. Proprio per questo gli agenti della storia, gli adulti, vengono sollecitati dal destino, che loro stessi hanno plasmato e manipolato, a deporre il proprio potere decisionale e a fidarsi del futuro che, scalpitante, pretende di rivendicare uno spazio nel mondo.

Camminando sopra questo sottile filo interpretativo, è interessante osservare come il concetto stesso di “Newtype” (essere umani che a seguito di una prolungata permanenza nello spazio hanno sviluppato capacità sorprendenti) fosse, nelle intenzioni profetiche iniziali, proprio quel vento di novità, anagraficamente parlando, che avrebbe dovuto spazzare via le incomprensioni e legare in un nuovo e più profondo senso comunitario l’intera umanità, terrestre o spaziale che fosse. Un ruolo non facile, anzi così difficile e spaventoso da essersi costituito in realtà come una condanna alla diversità e all’isolamento socio-emotivo, come possiamo attestare fin da subito da una confessione/sfogo di Banagher Links.

Quanto sono belli questi robottoni, tuttavia…

Da un punto di vista tecnico l’anime non presenta sbavature: i valori produttivi messi in campo da Sunrise si notano tutti, specialmente nei confronti delle animazioni e della realizzazione dei mecha, il cui character design funziona alla grande e risulta azzeccato anche nel caso dei Mobile Suit “minori”. Uno sforzo tecnologico davvero notevole capace di fondere magnificamente l’animazione tradizionale con la computer grafica. Gli splendidi duelli fra i robot, i fendenti delle spade a energia che rovinano sull’avversario di turno, faranno la felicità degli appassionati e dei feticisti della modellistica. Di notevole fattura, anche il comparto sonoro regala allo spettatore splendide tracce orchestrate che aiutano l’immedesimazione durante le scene più spettacolari.

Purtroppo le interessanti suggestioni evidenziate e il grandioso livello tecnico messo in scena, non trovano un’adeguata corrispondenza qualitativa nella sceneggiatura e nel plot narrativo: la prima crolla sotto il peso di dialoghi fin troppo prolissi e didascalici, il secondo, invece, non riesce a sviluppare adeguatamente i nuclei tematici seminati qua e là, risultando privo di coraggio e di profondità, nonché di qualche situazione narrativa che avrebbe, forse, meritato maggiore attenzione.

Per fortuna, quando l’azione la fa da padrona (e a questo punto avremmo voluto solo combattimenti per tutto il tempo) tutto funziona alla grande: Gundam Unicorn diverte e intrattiene magnificamente.

Se Mobile Suit Gundam Unicorn vi è piaciuto
Recuperate la serie televisiva originale del 1979 firmata da Yoshiyuki Tomino e, perché no, date un’occhiata al giocattoloso mondo del modellismo con un Gunpla dell’Unicorn.

Andrea Bollini
Vivacchia fra i monti della Sibilla coltivando varie passioni, alcune poco importanti, altre per niente. Da anni collabora con diverse realtà (riviste, associazioni e collettivi) legate alla cultura e all'intrattenimento a 360 gradi. Ama l'arte del raccontare, meno Assassin's Creed.