Sguardi eloquenti e amori celati

Orhan Sahin torna a Istanbul dopo vent’anni di assenza per aiutare il famoso regista Deniz Soysal a completare la stesura di un libro, in quanto suo editor. Il ritorno in patria di Orhan si dimostra però essere un potente tuffo nel passato che lo porterà a confrontarsi con una città che non sente più sua e ad affrontare i demoni che non smettono di tormentarlo, anche attraverso le persone della vita di Deniz, in particolar modo gli amici d’infanzia, Neval e Yusuf.

Rosso Istanbul è diretto da Ferzan Özpetek, ed è ispirato all’omonimo romanzo scritto dallo stesso autore e pubblicato nel 2013. Il film sarà accolto dalle sale cinematografiche dal 2 marzo, in contemporanea in Turchia e in Italia.

Uno straniero in patria

Ozpetek propone una storia ricca di sentimento e profondamente malinconica, probabilmente la più personale del regista, e in quanto tale difficile da cogliere, per alcuni forse anche da apprezzare. Il film non sembra inquadrarsi in un genere preciso: nonostante sia un’opera drammatica tenta di immettere diversi elementi del genere thriller, mentre altre volte gioca con situazioni quasi surreali, mescolando sogno e realtà.

L’autore si divide in due personaggi distinti, Orhan e Deniz: lo “straniero in patria” che ritorna dopo anni di assenza, e il regista tormentato che idealizza la propria vita tra le pagine di un romanzo. Il libro di Deniz è un racconto liberamente ispirato alla sua vita, i personaggi sono i suoi cari e la narrazione è uno specchio dei suoi sentimenti.
Figure importanti sia nel libro che nella vita di Deniz sono la bella Neval e il tormentato Yusuf, verso i quali prova sentimenti profondi e complicati. Gli eventi porteranno Orhan a doversi confrontare con entrambi, specie con Neval.
Orhan ha un approccio insolito con i personaggi della vita di Deniz, in quanto li ha conosciuti prima come figure descritte nel libro. In pratica lui già conosce tutti: la madre, le zie, gli amici, ma solo per come sono attraverso gli occhi di Deniz, mentre il confronto con le versioni “originali” sarà molto più incisivo di quanto lo sventurato editor possa immaginare.

Gli eventi porteranno Orhan ad occupare pesantemente la vita di Deniz, ad avvicinarsi ai suoi affetti e ad identificarsi con lui. I due uomini sono l’uno l’alter ego dell’altro, tanto che Orhan si sente come un fantasma  che infesta la casa di Deniz, che disturba e inquieta gli inquilini, i quali lo accolgono a volte con cortesia a volte con diffidenza, talvolta è un gradito ospite e talvolta viene tollerato con fastidio. La casa di Deniz è uno specchio della stessa Istanbul per Orhan, un luogo dove sembra sentirsi sempre di troppo, e andando avanti con la visione del film se ne scoprirà il motivo.

Di colori e di sguardi

Il rosso è il riservato protagonista della vicenda, che spicca in certi contesti esaltando particolari dettagli: la casa, lo smalto della madre o il giubbotto di Yusuf. Durante tutto il film questo colore si immette sulla scena evidenziando un determinato dettaglio, senza mai imporsi con prepotenza. La regia di Ozpetek si contraddistingue infatti per la delicatezza, che si percepisce anche nel rendere discreto un colore che viene solitamente legato a sentimenti forti. Vista sotto questa chiave di lettura, si potrebbe percepire la presenza del rosso sulla scena come emblema di passioni celate, di sentimenti repressi, della presenza di una vastità percepibile solo in piccola parte, effettivamente discreta ma ben visibile.

Altro elemento chiave della pellicola è l’importanza dello sguardo. Il regista non fa che inquadrare con morbosa insistenza gli occhi dei protagonisti. Più di una volta ci ritroviamo di fronte a strani silenzi, mentre la macchina da presa si sofferma sullo sguardo di un personaggio sempre mezzo secondo in più, quasi a suggerirci che la conversazione non sia finita, che ci sia dell’altro da dire ma che rimane lasciato in sospeso.

Tornare a casa

Orhan, tornando in patria dopo la lunga assenza riscopre Istanbul e lo spettatore la conosce attraverso i suoi occhi: l’antico e il moderno che convivono, i vecchi negozi e i grattacieli, la vita notturna e l’inquietudine della guerra che si fa sentire da lontano. L’uomo è un turista nella sua stessa città, che in più di un’occasione finge di non conoscere ma che giorno per giorno fa emergere una parte di lui, una sensazione che lo spaventa e lo spinge a ripartire, ma che al contempo lo trattiene e non lo lascia andare. Il suo rapporto con Neval è allo stesso modo un tira e molla, un festival di sentimenti celati e conversazioni mai avvenute. Il “vorrei ma non posso” è una tematica chiave di molti film di Ozpetek, e Rosso Istanbul non fa eccezione.

La regia tecnicamente fa il suo dovere, anche se a tratti il montaggio di alcune scene confonde lo spettatore, portandolo a chiedersi se la sequenza che sta vedendo sia reale o nella testa di Orhan; ma tutto ciò è probabilmente voluto.

Verdetto:

Il regista rimane indubbiamente fedele a se stesso, quindi non aspettatevi risate o momenti di leggerezza, ma non pensate nemmeno di versare copiose lacrime. Rosso Istanbul rimane in sospeso, non descrive il dramma, o il lutto o la disperazione, le emozioni forti rimangono ferme sulla soglia, a farsi osservare, mentre i personaggi si arrovellano il cervello chiedendosi se per qualche scherzo del destino le cose sarebbero potute andare diversamente. Per chi ama il genere si rivela una buona visione, per i “profani” rischia di essere solo un paio d’ore di lagne. Di certo non è il miglior film di Ozpetek, ma rimane comunque un’opera discreta di un regista eccellente.

A cura di Erika Pezzato