Addio, Sense8!

Giugno 2015. Netflix in Italia era di là da venire, eppure aveva già cominciato a far parlare di se in varie parti del mondo per le sue serie TV innovative, fresche e meravigliosamente cool. In realtà, all’epoca erano soprattutto due i cavalli di battaglia della sua scuderia: House of Cards Orange is the new black. Ma proprio quel roboante 2015 avrebbe cambiato per sempre il suo catalogo. Infatti, debuttarono prodotti dal calibro di Umbreakble Kimmy Schmidt, Narcos, Daredevil, Jessica Jones e Master of None. A pensarci bene, è stato proprio in quell’anno che la piattaforma ha iniziato a costruire le basi per il suo impero multimediale.

A questo ha contribuito in maniera determinante una serie particolare che riuscì a distinguersi per la sua carica rivoluzionaria, per il coraggio della sua visione e, specialmente, per l’enorme budget messo in campo da una produzione che voleva dare vita ad un innarrestabile terremoto nel campo dell’intrattenimento. Stiamo parlando di Sense8, sfortunato capolavoro del piccolo schermo ideato dalle sorelle Wachowski e da J. Michael Straczynski. Sfortunato perché, dopo due stagioni e 23 puntate, era stato cancellato da Netflix finché i fan, tramite i tam tam elettronici della rete, non ne hanno chiesto a gran voce un finale. Un finale che finalmente è arrivato tra noi venerdì 8 giugno, esattamente a tre anni dalla prima puntata.

 

 

Avevamo lasciato, un anno fa, il nostro cluster preferito al termine di una seconda stagione piena di colpi di scena e inaspettati mutamenti di fronte. Quasi all’improvviso, era cambiato tutto: la trama aveva avuto un’accelerazione imprevedibile seminando domande e interrogativi in ogni direzione, oltre che una buona dose di entusiasmo e qualche WTF. Una sola cosa, all’epoca, era certa: la terza stagione sarebbe stata a dir poco esplosiva. Un condizionale col senno di poi d’obbligo, perché appena un mese dopo Netflix aveva deciso di cancellare la serie, con buona pace dei fan. Fan che, a detta della direzione della piattaforma, non erano abbastanza numerosi per consentire alla serie di continuare.

Infatti, negli anni i sensate non sono riusciti a calamitare una fetta di pubblico necessaria a giustificare gli ingenti capitali investiti. Tanto per fare due conti, è stato stimato che la seconda stagione abbia toccato il costo monstre di 8 milioni di dollari a puntata. Se presi per buoni questi numeri e moltiplicati per le 23 complessive, arriviamo ad un totale tondo tondo di 184 milioni. Per farvi un esempio in spiccioli, quanto i soldi messi a disposizione per filmoni hollywoodiani dal calibro di Pacific Rim, Il Cavaliere Oscuro, La bussola d’oro e il primo delle Cronache di Narnia. Inoltre, Sense8 è costato più di Thor 2, Waterworld, Captain America: The Winter Soldier e Troy. Il paragone non è poi così peregrino, visto che stiamo parlando di un prodotto capace dare del tu a simili blockbuster.

Anzi, si capisce come i motivi di queste spese folli, a differenza degli altri sopracitati, siano in fondo più onesti e meglio giustificati, visto che la serie non è stata girata all’interno di favolistici ed esagerati studios americani ma in presa diretta. Ben 16 città e 13 paesi diversi, immortalati dalla camera da presa e un uso limitato degli effetti speciali moderni in favore dei classici “trucchi” del cinema, come il montaggio. È vero: in certi momenti Sense8 ha dato la sensazione di buttare volontariamente denaro dalla finestra, quasi come se il produttore di turno avesse deciso di fare una catasta di banconote e di gettarci sopra una tanica di benzina. Però, in fondo, è bene sottolineare come questi soldi siano stati usati per confezionare un prodotto onesto, girato veramente a Chicago, San Francisco, Londra, Mumbai, Seuol, Nairobi, Città del Messico, Berlino e a Reykjavik. Non è un aspetto secondario, soprattutto se pensate a quanti film teoricamente sono ambientati a New York, a Washington, a Pechino e a Parigi, o in qualche sontuosa capitale esotica a caso, mentre invece stanno tirando allo spettatore una sonora pernacchia. Oppure, peggio ancora, su una spiaggia qualunque dopo aver passato due ore e passa a rimarcare l’importanza di quella particolare spiaggia in quel determinato stato, tanto per citare il clamoroso caso delle Ali della Libertà il cui (struggente) finale non è veramente ambientato a Zihuatanejo.

Quello che Sense8 ha voluto fare è stato coinvolgere i nostri sensi (come da copione, del resto) in un’esperienza appassionante, reale. E pazienza se alla fine non ha avuto il successo sperato, se ha scaricato qualche milioncino nel water (ah, il vil denaro!) o se non ha potuto vantarsi, rispetto ad altre serie, di un fandom così vasto che ne giustificasse l’esistenza. Ma noi, quegli appassionati irriducibili, a cui questo finale è dedicato e che abbiamo contribuito a creare, non lo dimenticheremo. Forse saremo anche “pochi” (che poi, sarebbe interessante sapere esattamente quanti), tuttavia siamo agguerriti e determinati, tanto da aver preteso e ottenuto (tramite una petizione online) un finale che potesse glorificare questa meravigliosa avventura. E, in fondo, adesso non ha molta importanza stabilire come e quando e perché Sense8 è stata cancellata. Quelli saranno pensieri pieni di risentimento e rancore a cui ci aggrapperemo nei momenti bui. Ora è tempo di aggrapparsi, semmai, ai fazzoletti. Perché, alla fine, una conclusione ce l’abbiamo. E vale la pena godersela.

A ben vedere, non è casuale che l’episodio sia stato trasmesso proprio l’8 giugno, per i riferimenti al numero 8 e al mese della libertà, del sole e, soprattutto, del pride. Perché Sense8 è la serie dell’orgoglio, dell’uguaglianza sostanziale a discapito delle differenze superficiali, dell’amore declinato in tutte le sue forme, libero, puro, condiviso e comunitario, senza barriera né limiti. Non a caso, il titolo di questo finale è Amor vincit omnia: “L’amore vince su ogni cosa”, verso tratto dalle Bucoliche di Virgilio. Un titolo che risulta da subito una dichiarazione d’intenti, un messaggio chiaro che prepara i fan ad un ricongiungimento doloroso, emozionante e catartico. Perché questo è, infatti, l’arduo compito che spetta a Lana Wachowski, di nuovo al timone della macchina da presa e della sceneggiatura (aiutata da David Mitchell e Aleksandar Hemon): dare al pubblico una conclusione che possa chiudere adeguatamente il cerchio e lasciare anche un qualcosa capace di sublimare il tutto. Una missione non facile, perché si tratta di condensare trame e idee inizialmente pensate per uno sviluppo lungo su più stagioni in due ore e mezza. E ce l’hanno fatta? Hanno toppato clamorosamente? Prepariamo i forconi e le torce?

In realtà, è difficile dirlo e una risposta univoca a questa domanda non esiste. È difficile dirlo, dato che durante la visione rimane un po’ di amaro in bocca per quello che Sense8 poteva essere e non è stato, per come sia stato stroncato sul più bello da un destino avverso. Un retrogusto che ostacola il concepimento di un giudizio il più possibile obiettivo, tra un tuffo al cuore e una lacrimuccia nostalgica.

Di sicuro, questo finale ha il merito non da poco di riuscire a riprendere egregiamente le fila da dove avevamo lasciato i nostri protagonisti, da quella scena conclusiva in cui la guerra stava per scoppiare, per poi chiuderli senza tentennamenti o dimenticanze. Su questo, non ci sono dubbi. Semmai, ne saltano fuori quando si analizza come si è giunti a questa conclusione.
L’episodio, infatti, è tutt’altro che perfetto fin dalle primissime battute. All’inizio si parte immediatamente sull’acceleratore, con una tensione palpabile e situazioni al cardiopalma, mentre vediamo coesistere (finalmente) in un unico spazio i personaggi che in questi due anni abbiamo imparato ad amare. Non solo i nostri sensate, ma anche tutti i comprimari che li hanno fedelmente seguiti nelle loro tribolazioni. Una situazione che porta, per forze di cose, ad un set strapieno dove agiscono almeno 10 attori nello stesso momento. Un inevitabile sovraffollamento, gestito comunque al meglio delle possibilità da Wachowski e dallo script, anche se finisce per sacrificare qualche pedina, come Lito (la macchietta comica di turno) e Capheus (autista designato della banda e basta). Altra conseguenza di questa pressione demografica è ridurre lo spazio a disposizione di molti protagonisti a quello necessario al completamento del proprio compitino. Cosa che, però, è ampiamente giustificabile considerando le esigenze della trama, che deve galoppare al più presto verso la fine. Un limite, questo, dettato più da circostanze esterne e dal tempo concesso che porta a rinunciare o a menzionare soltanto aspetti che, altrimenti, sarebbero stati approfonditi in ben altro modo. Alcuni, poi, veramente splendidi, interessanti e notevoli, soprattutto perché ampliano ulteriormente la realtà della serie, aggiungendo mitologie e contenuti.

Tutte cose che contribuiscono ad aumentare il senso di rammarico per quello che avremmo potuto vedere se le cose fossero andate diversamente. Non a caso, questa sensazione sembra confermata anche dalla stessa Wachowski, che nella puntata decide di lasciare più di un dolcetto ai fan. E lo fa riempiendo lo schermo con scene bellissime, in puro stile Sense8, dove i personaggi ballano, cantano, si divertono e vivono orge multisensoriali, ovvero fanno quello che avevano fatto anche nelle precedenti stagioni, ma all’ennesima potenza.
Stavolta sono il senso ultimo dell’episodio, il perché, il suo centro di gravità, quell’idea di comunità e di condivisione che è il cuore pulsante della serie. Siamo tutti umani, ci dice la storia, meravigliosamente umani, e saremmo migliori se riuscissimo ad accettarci e ad entrare in contatto gli uni con gli altri. E questa è forse la consolazione ideale che aiuta i fan a dimenticare che si tratta, purtroppo, dell’ultima volta: la conferma che questi ideali vincono su ogni cosa e che vale la pena combattere per preservarli.

Però l’amaro rimane.

Secondo le voci di corridoio, inizialmente le Wachoswki e Straczynski avevano in mente ben 5 stagioni in cui tratteggiare il vasto dipinto del loro mondo popolato da sapiens, sensorium e BPO. E questa certezza lascia tanto, tanto rammarico, perché il pensiero dei tanti anni in compagnia di Will, Lito, Riley, Wolfgang, Sun, Kala, Nomi e Capheus che ci sono stati negati fa piangere il cuore. Ma non sono solo loro che ci mancheranno. Ci mancheranno anche Amanita, Bug, Diego, Hernando, Daniela, Felix, Jela, Rajan, Jonas… Perfino gli arcinemici come Joong-Ki Bak, Valeria Facchini, Bendix, Rajan e l’inquietante Whispers, tutti esponenti di un cast funzionale, strepitoso e, soprattutto, ecumenico.

Ecumenico perché rappresenta la razza umana nella sua splendida globalità. In linea con la visione globale dei suoi creatori, Sense8 ha potuto fregiarsi di una vastità di caratteri, generi e culture raramente ammirata sia sul grande che sul piccolo schermo. Non solo l’omosessualità e le comunità LGBT, la transessualità, l’empatia e l’amore libero, ma anche religioni diverse, spiritualità diverse, modi di vivere differenti che trovano ciascuno il proprio spazio in un immenso mosaico che diventa, nei fatti, un inno alla varietà, a quella agognata società multiculturale che oggi sembra sotto attacco da ogni parte. E questo lo rende, trasversalmente, anche il prodotto simbolo della Netflix del presente e del futuro prossimo. In fondo, non è quello che fa la piattaforma tutti i giorni? Ospita e finanzia serie in vari parti del mondo, serie che sono emanazioni dirette del paese dove sono state girate, prodotte e realizzate. Di fatto, chi ha un abbonamento Netflix può accedere alla cultura televisiva dell’intero pianeta tramite un tasto. Esattamente come i nostri sensate. Ed è anche per questo che fa così male l’idea di rimanere senza di loro.

sense8 finale recensione

Verdetto

Dopo 3 anni, due stagioni, 23 puntate, uno speciale di Natale e un finale di oltre due ore, Sense8 è arrivato alla sua conclusione. Una conclusione non perfetta, com’era logico supporre, ma degna in tutto e per tutto, capace di dare ai fan quello che meritavano. E di farli piangere per quello che la serie poteva essere non è stata.

Ma siamo sicuri che sia finita davvero? In fondo, si tratta di un universo narrativo gigantesco, enorme, dove possono essere ambientate tantissime storie diverse… E se proseguisse, in qualche modo? Magari su carta? Lancio una piccola provocazione. Non sarebbe una cattiva idea, per esempio, ora che Netflix ha deciso di improvvisarsi editore di fumetti con The Magic Order di Mark Millar e Olivier Coipel, trasporre anche alcune delle sue serie in formato comic book. Una di queste potrebbe essere, perché no, proprio Sense8. Ciò sicuramente, abbatterebbe i costi di produzione e permetterebbe a questo capolavoro di continuare, di allargarsi ulteriormente. Forse è impossibile ed è solo un pensiero piacevole a cui aggrapparsi prima di scoppiare in lacrime, ma sognare non costa niente.

Addio, Sense8.

I said: hey, what’s goin’ on?

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!