Bianco, nero e rosso

Una legge non scritta nella storia di Hollywood e delle produzioni americane in generale è quella di idealizzare alcune figure professionali. I medici, primi tra tutti; in minor misura gli insegnanti; gli uomini di religione. E i poliziotti. Già, la polizia. Ma è possibile realizzare serie crime come quelle di una volta, con i membri delle forze dell’ordine mostrati come eroi positivi dopo gli ultimi anni?

Negli Stati Uniti scene di odio razziale con al centro la polizia e la sua avversione per i sospetti afroamericani si sono rincorse in tempi recenti sui notiziari con una frequenza allarmante. C’è sempre il sospetto che alcuni di questi casi siano stati ingigantiti anche dall’attenzione mediatica che è stata loro riservata, ma è innegabile che esista quello che è a tutti gli effetti un conflitto tra polizia e le comunità nere delle grandi città statunitensi. Volendo sarebbe possibile estendere questo argomento a molti altri luoghi nel mondo, cosa che tuttavia non rientra nello scopo di questo articolo.

Innegabile è però che l’argomento della sensibilizzazione razziale sia ora attuale come non mai. E, proprio questo argomento tanto corrente, è il fulcro dell’intera vicenda che muove la trama di Seven Seconds, serie Netflix di Veena Sud (The Following), prodotta in collaborazione con Fox 21 Television Studios, ispirata alla pellicola russa The Major.

È una mattina innevata in New Jersey, sulla sponda “sbagliata” del fiume, dove la Statua della Libertà non accoglie le masse di derelitti stanchi, ma sembra piuttosto dar loro le spalle. L’agente della narcotici Peter Jablonski (Beau Knapp) si sta precipitando in ospedale per assistere la moglie in avanzato stato di gravidanza, nel corso di una delle ultime ecografie. Non riuscendo a contattarla prende il cellulare, osserva la tastiera per comporre il numero, distogliendo lo sguardo dalla strada. E lì avviene il dramma: l’auto urta la bicicletta di un giovane afroamericano, Brenton Butler, travolgendolo. Non sapendo cosa fare il poliziotto chiama di suoi colleghi, che accorrono sul luogo cercando di far sparire le prove. Sostengono che il ragazzo sia morto e fanno andare via Jablonski, ricordandogli quanto sia sospetto che un poliziotto bianco uccida un ragazzo nero, specie in un momento come quello.

Ciò che Peter non sa è che il giovane Brenton è ancora vivo. I poliziotti non intervengono per salvarlo, lasciandolo a morire nella neve. Solo molte ore più tardi il ragazzo verrà ritrovato da un cane a passeggio nel parco, permettendo al suo padrone di chiamare i soccorsi. Brenton viene portato in ospedale, dove lo raggiungono anche i genitori Latrice e Isaiah (interpretati rispettivamente da Regina King e Russell Hornsby) e lì si troverà a lottare tra la vita e la morte.

A seguire il caso sarà il sostituto procuratore KJ Harper (Clare-Hope Ashitey), la quale si troverà di fronte a una scena del crimine gravemente compromessa dal depistaggio dei colleghi di Jablonsky, primo tra tutti l’agente Mike Diangelo (David Lyons). Con un falso colpevole trovato in un barbone il caso sembra già scritto, ma KJ, toccata dalla famiglia della vittima e convinta a che qualcosa non sia andato per il verso giusto decide di continuare a indagare. Nel farlo troverà uno strano alleato nel detective Joe “Fish” Rinaldi (Michael Mosley), con cui poco alla volta riuscirà a scovare il filo che la condurrà fuori dall’intricato labirinto di menzogne creato dai poliziotti di Jersey City.

seven seconds recensione

L’intera serie si sviluppa seguendo diversi filoni. In primo luogo ci sono le indagini di KJ e Fish per scoprire cosa sia realmente accaduto. Non un compito facile, come detto, in un clima in cui nessuno sembra volersi davvero impegnare per un ragazzo afroamericano, probabilmente affiliato ad una gang, per quanto proveniente da una buona famiglia. Lo scetticismo che accompagna tutta la loro ricerca sembra andare oltre ogni speranza di soluzione. Inoltre le figure dei due investigatori sono tutto fuorché positive.

KJ è un avvocato disilluso. Stanca e alcolizzata, non sembra più nutrire fiducia nel sistema e nel suo lavoro, arrivando al punto di non essere talvolta abbastanza lucida per poter presenziare in aula. A questo si aggiunge un rapporto conflittuale con la famiglia, specie il padre che al contrario di lei ha avuto una brillante carriera forense. Anche Fish non sembra essere nelle migliori condizioni per svolgere la sua professione: divorziato, con una figlia che non desidera più vederlo e una casa piena di vecchi cani a cui fa da padre, più che da padrone, sembrano convivere in lui l’etica per il lavoro e una certa pigrizia dovuta al desiderio di “non nuocere”, un vivi e lascia vivere che pare essere onnipresente nella sua carriera.

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L’altro grande filone seguito da questo show è quello della famiglia Butler. I genitori di Brenton vedono la propria vita distrutta da questo incidente. I costi dell’ospedale, le reciproche tacite accuse dei genitori per quanto avvenuto e per la cattiva strada intrapresa dal figlio e l’inevitabile reazione a tutto ciò sconvolgono la serenità familiare dei Butler, stimati membri della comunità afroamericana, lavoratori che hanno risparmiato per tutta la vita per potersi comprare una casa in cui il figlio non è riuscito nemmeno ad abitare. Un evento traumatico che sembra destinato a porre la parola fine sulla famiglia. A loro si aggiunge Seth, fratello di Isaiah, veterano dell’Afghanistan appena tornato dalla guerra e incapace di trovare un impiego, costretto quindi a tornare all’unica cosa che conosce realmente, la strada.

Oltre a questo c’è anche il colpevole, il motore della vicenda, Peter Jablonski. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non siamo di fronte a un poliziotto corrotto come il resto della sua squadra. Si tratta, invece, di un agente idealista, sinceramente sconvolto da quanto accaduto, ma che non ha la capacità di riuscire a costituirsi, un po’ per la paura di quello che potrebbe succedere, un po’ per il terrore di perdere la famiglia, la moglie e il figlioletto appena nato.

Con il progredire della trama ci rendiamo conto che la vicenda ha ripercussioni ben più estese di quanto si potrebbe credere. Presto i sospetti sulla polizia vengono a galla e l’opinione pubblica insorge. I media iniziano a seguire il caso con interesse e, come si può pensare, la comunità afroamericana inizia a protestare per quanto successo, chiedendo giustizia per Brenton.

Seven Seconds è perciò una serie fortemente radicata nella realtà e nell’attualità. I fatti analizzati potrebbero essere benissimo di cronaca, qualcosa fuoriuscito da un trafiletto su un quotidiano locale. Spacciatori, poliziotti corrotti, pubblici ufficiali disillusi che sprecano la propria vita in squallide bettole. Tutto è reale, ben distante da quell’aura di mitizzazione che potevano avere i poliziotti d’antan. Fish è l’antitesi del Tenente Colombo. Una serie insolita, che mostra una realtà sporca e che, in quanto tale, è più difficile da accettare. Ma proprio in questo risiede il grande fascino dello show, capace di appassionare per i ritratti realistici dei personaggi presentanti con naturalezza spietata. Insomma, una serie crime particolare, in cui la polizia viene analizzata sotto una luce diversa dal solito, non trascurando le vite e i fardelli personali degli uomini e delle donne che dovrebbero vigilare sulla vite dei cittadini.

Oltre alla polizia compare anche la sua onnipresente controparte, la strada. I ghetti, i quartieri depressi con le case popolari fatiscenti sono parte integrante dello show, un’ambientazione che si fa sempre viva, mostrando uno dei lati violenti e cupi dell’America. Uno scenario che porta a chiedersi se la criminalità sia figlia della depressione che vige nei quartieri sfortunati o se sia stato il contrario. Un caso tristemente noto di profezia che si auto-avvera, insomma.
E, in mezzo, le comunità. Quelle persone che cercano di vivere onestamente, magari tentando di passare indenni in mezzo a due fuochi, quello della malavita e quello della polizia, subendo le continue ripercussioni della lotta tra le due parti.

Verdetto

Seven Seconds potrebbe non essere la serie crime che vi aspettavate. Da subito l’intera vicenda viene fortemente influenzata dalla cronaca contemporanea e da un conflitto vecchio come il mondo, quello delle comunità che lottano contro la discriminazione e la violenza, al centro di un circolo vizioso che sembra impossibile da spezzare. I personaggi, straordinariamente umani per il contesto in cui sono inseriti, convincono e fanno appassionare alle loro vicende personali, portando presto al desiderio di seguire l’intero show.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.