Il Watergate e il Capitano

1972. 17 giugno. A Washington, al Watergate Hotel, sede del Comitato Nazionale Democratico, la base del grande partito americano, una guardia di sicurezza, Frank Wills, si accorge di un’effrazione compiuta da ignoti e avverte la polizia. L’indagine porterà all’arresto di cinque uomini. Poco tempo dopo, due reporter di punta del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, iniziano ad investigare sull’accaduto. Questo li porterà a pubblicare una serie di articoli sconvolgenti, ispirati dalle rivelazioni di una fonte anonima (“Gola Profonda“) che daranno il via al caso del Watergate, lo scandalo che costringerà il presidente Richard Nixon a dare le dimissioni due anni dopo. L’inchiesta sconvolge l’America. Solo poco tempo prima, ad inasprire ancora di più il clima era stata la pubblicazione dei Pentagon Papers, sempre sulle pagine del Post (e recentemente raccontata da Steven Spielberg), che gettava una luce inquietante sull’intera Guerra del Vietnam, da sempre impopolare.

Per la prima volta, il popolo americano si trova a dubitare del suo governo, dello stato, di quella stessa nazione che nei decenni lo aveva portato a vincere due conflitti mondiali e lo stava guidando nella logorante partita a scacchi della Guerra Fredda. Da quel momento, nulla sarà più come prima nel rapporto tra i cittadini e la compagine statale e il legame di fiducia reciproca verrà incrinato per sempre. Ce lo hanno raccontato bene film importanti come Tutti gli uomini del presidente e Gli intrighi del Potere, insieme ad un campionario infinito di libri, romanzi, approfondimenti e storie di vario genere. E poteva il fumetto esimersi da un simile compito? Certo che no. Ma c’era solo un personaggio che poteva trattare un simile argomento, l’unico che, da sempre, rappresenta quella stessa America che in quei drammatici anni è costretta a guardarsi allo specchio: Capitan America.

Che si tratti del lettore di una vita, oppure di un neofita spettatore delle pellicole del Marvel Cinematic Universe, tutti, bene o male, conosciamo Steve Rogers. Del resto, si fa presto a simpatizzare per quel ragazzo gracile che, determinato ad arruolarsi, decide di sottoporsi all’Operazione Rinascita che lo trasformerà nel primo supereroe della storia. Un combattente per la libertà dal volto pulito, ispirato da nobili ideali, pronto a sacrificare se stesso per il paese che ama. Così lo avevano ideato i suoi creatori, Joe Simon e Jack Kirby, lanciandolo in una serie regolare diventata nota perché faceva compagnia ai soldati al fronte durante il conflitto. Poi, la scomparsa. Tuttavia, nel 1964, quel geniaccio di Stan Lee decide di riproporlo al pubblico della neonata Marvel, che da alcuni anni sta portando consistenti novità nel mercato oltre che un nuovo cast di personaggi. Così, agli albori della Silver Age, il personaggio fa il suo clamoroso ritorno sul numero 4 dei Vendicatori, ma è leggermente diverso rispetto al passato. Ora i toni più prettamente nazionalistici sono stati accantonati e Steve Rogers mostra un’umanità nuova, che lo fa la coscienza e il grillo parlante di un’America in costante cambiamento. E sarà questa la chiave delle sue storie successive.

Dopo essere diventato un leader degli Avengers, infatti, Cap diventa protagonista di una testata tutta sua dove affronta i redivivi gerarchi del Terzo Reich, tra cui l’Hydra del Teschio Rosso. Non solo: comincia a combattere insieme alla sua nuova spalla, Sam Wilson alias Falcon, che diventerà presto il suo inseparabile compagno d’avventure, tanto che il serial viene ribattezzato Captain America and the Falcon. Ed è proprio qui che lo troviamo, prima della saga dell’Impero Segreto mentre scoppia lo scandalo Watergate.

In quel concitato periodo, al timone di Cap c’era Steve Englehartun grande professionista oggi un po’ dimenticato a cui era toccato l’ingrato compito di succedere ad autentici miti come Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko. Englehart rimane particolarmente sconvolto dai Pentagon Papers e dal Wategarte, e non è il solo in casa Marvel ad esserne influenzato. Non a caso, nell’ormai leggendaria Guerra Kree-Skull, datata 1971-1972 e scritta da Roy Thomas, compare una figura insolita, inedita del panorama dei fumetti fino a quel momento. Si tratta di un politicante aizzatore delle folle, tale Craddock, che spara a zero sui Vendicatori mettendone in dubbio l’operato e contribuendo a creare un clima teso nell’opinione pubblica. Era però solo un personaggio di sfondo, sintomo della difficile atmosfera che si respirava negli Stati Uniti. Ed Englehart, riprendendo quell’idea, decide di ampliarla ulteriormente in una storia che rischia di sconvolgere la vita di Capitan America, creando un autentico “Watergate” a fumetti. In quei drammatici numeri 169-176 della serie, nel 1974, imbastisce un vero e proprio scandalo che trascina dentro Steve Rogers.

Infatti, la Sentinella della Libertà viene messa al centro di una compagna diffamatoria che lo trasforma da eroe apprezzato da tutti ad autentico criminale, da simbolo della nazione a nemico giurato del popolo. La colpa è di un pubblicitario dai misteriosi obiettivi, comandato da una sconosciuta organizzazione segreta piena di risorse, talmente potente che riesce perfino a far passare Cap per un omicida a sangue freddo. Da questa terrificante vicenda che prende vita l’Impero Segreto, una saga che porterà Cap a scontrarsi con una setta di tipi mascherati e numerati (comandata dal temibile Numero 1), chiamata appunto l’Impero Segreto. Questo perché il loro obiettivo è quello di conquistare il mondo, infiltrando in ruoli chiavi dei governi di tutte le nazioni alcuni uomini di fiducia, Stati Uniti compresi. E così, contando sull’aiuto del nuovo Falcon, per la prima volta provvisto di ali (gentilmente concesse da Pantera Nera) e dagli X-Men di Charles Xavier, Steve cercherà di scongiurare la minaccia dalle fondamenta, fino ad arrivare alla Casa Bianca, dove scoprirà che anche la più alta carica governativa del paese era in combutta con quei farabutti… A seguito della terribile rivelazione, Cap deciderà di appendere al chiodo il suo scudo a stelle e strisce, ormai simbolo di una nazione in cui non crede più, e inizierà a vagare le strade con l’identità segreta di Nomad.

Difficile giudicare una storia simile a distanza di tanto tempo, soprattutto perché è ancor più arduo tentare di sintonizzarsi con lo spirito di un’epoca lontana da noi. Eppure, è necessario fare uno sforzo per capire come questa saga di Cap sia stata uno spartiacque decisivo nella leggenda del personaggio e anche per comprendere quale impatto ha avuto l’Impero Segreto sulla cultura americana. La popolazione si era resa conto di non poter credere al suo governo, a quello stesso stato a cui molti avevano immolato anima e corpo, andando a morire sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale. L’aria era pesante e carica di sfiducia, si respirava rabbia e disillusione. La rabbia era così tanta che, nelle intenzioni iniziali di Englehart e del suo collaboratore ai testi, Mike Friedrich, sotto la maschera del Numero 1 dell’Impero dovesse celarsi nientemeno che Richard Nixon in persona, scelta poi accantonata per evitare guai alla Marvel. Ma il riferimento è comunque chiaro e deciso, un vero e proprio schiaffo in faccia ad un’opinione pubblica già abbattuta nel morale. Senza contare come si era arrivato a quel fatidico momento, con Steve diffamato e calunniato da un uso distorto dei mezzi d’informazione (argomento più che mai attuale) e costretto a confrontarsi con uomini assetati di potere, disposti a qualunque cosa pur di ottenerlo, anche ad ostacolare la giustizia (anche questo tema particolarmente vicino a noi).

Inoltre, nella narrazione un po’ kitsch e datata (erano pur sempre gli anni 70′, un millennio fa fumettisticamente parlando), Steve Englehart riesce a restituirci il dramma di un uomo distrutto da una verità schiacciante, costretto a fare i conti con un paese che sta peggiorando sempre di più. Un confronto drammatico che illustra come tra patria e popolo possa crearsi una distanza irreparabile e di come questo possa causa orrori d’ogni genere. E Englehart trasforma Cap, seguendo l’esempio Joe Simon prima e Stan Lee poi, nell’elettroencefalogramma di una nazione che sta perdendo se stessa. A rileggere questa indimenticabile saga, si capisce perché Nick Spencer ha deciso citarne il titolo per il suo Secret Empire.

 

 

 

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!